COPPA DAVIS – 36esima presenza per Lleyton Hewitt, che salterebbe uno Slam pur di non perdere una serie con l’Australia. Giocherà 3 punti per riportare i Canguri nel World Group dopo sei anni. 
La casacca dell'Australia è una seconda pelle per Lleyton Hewitt

Di Riccardo Bisti – 13 settembre 2013


Ci sono giocatori con più tecnica. Altri hanno la potenza, altri ancora la rapidità. E poi ci sono quelli che giocano con il cuore. Checchè ne dicano gli snob, il cuore si vede soprattutto in Coppa Davis. Per questo, il weekend sarà molto importante per Lleyton Hewitt, veterano della competizione. L’ha anche vinta, nel 1999 e nel 2003, ma non si è mai tirato indietro, neanche negli anni bui del tennis australiano. L’incoronazione gliel’ha data l’ex compagno Pat Rafter, oggi capitano. “Non importa dove giochi. Puoi essere in Serbia per la finale, oppure a Kaohsiung in Taiwan, e Lleyton sarà sempre lo stesso. Infuocato.”. L’Australia ha perso il World Group nel 2007 e non c’è più tornata, perdendo anche un paio di spareggi. Lo scorso anno, ad Amburgo, erano avanti 2-1 contro la Germania. Poi combinarono un pasticcio nel terzo giorno e sono rimasti in Serie B, anzi, nel “Gruppo I, Zona Asia-Oceania”. Ci riprovano alla Torwar Hall di Varsavia e hanno ottime chance. Già, perchè la Polonia deve fare a meno del rampante Jerzy Janowicz, costretto a un forfait in extremis e sostituito da Michal Przysiezny, l’uomo dal cognome impronunciabile che in febbraio si è aggiudicato il challenger di Bergamo. Il suo avversario sarà Bernard Tomic, mentre Hewitt sfiderà Lukasz Kubot, quartofinalista a Wimbledon. Per Lleyton sarà una partita speciale, come sempre. Correva l’anno 2001. L’australiano aveva appena perso contro Carlos Moya al terzo turno dell’Australian Open. Spiegava che si era presentato senza grosse aspettative a causa di qualche problema respiratorio. E rivelò: “Il mio coach mi ha detto che probabilmente avrei perso un evento tra Coppa Davis e Australian Open. Mi ha chiesto cosa fare. E io ho scelto la Davis. Poi, per fortuna, ho giocato anche qui”. I giornalisti insistettero. “Avresti saltato questo torneo pur di giocare in Davis?” “Si, certo. La Davis è sempre una mia priorità”.
 
Lleyton Hewitt è così. Bianco o nero, amore oppure odio. E’ così persino in Australia, dove non tutti lo ammirano. Forse perchè non batte e scende a rete come facevano i grandi australiani, o forse per il carattere ribelle. A qualcuno non piace il cinico senso degli affari, che gli ha consentito di scippare il copyright sul gesto del “Vicht” (la sua tipica esultanza), perchè il legittimo proprietario si era dimenticato di rinnovarlo. Ma quando c’è la Davis, Lleyton non si discute. Qualunque cosa sia successa nella sua travagliata carriera, la Davis c’è sempre stato. Magari non c’era un ginocchio, o un’anca, o una parte del corpo infortunata. Ma quando c’è da indossare la tuta gialloverde, Lleyton ha sempre risposto presente. Dal 1999, anno del suo esordio, non ha saltato una sola stagione. 15 anni consecutivi. Ha giocato 35 delle ultime 40 serie, con un bilancio di 53 vittorie e 19 sconfitte. Alcune di queste sono state indimenticabili. L’avventura è cominciata nel 1999, fuori casa, contro gli Stati Uniti. Il moccioso battè Todd Martin, numero 8 ATP. E qualche mese più tardi sculacciò anche Yevgeny Kafelnikov, numero 2. Anni dopo, avrebbe battuto Roger Federer in una storica semifinale contro la Svizzera e avrebbe espugnato, quasi da solo, il campo del Brasile con un Guga Kuerten al top. Anche nei suoi anni migliori, quando era numero 1, c’è sempre stato. A differenza dei campioni di oggi, che rispettano l’Insalatiera ma la giocano a intermittenza. Lui pronuncia ancora frasi anacronistiche e per questo romantiche: “Giocare per il tuo paese è l’onore più grande che possa esserci. Quando l’arbitro dice “Game Australia” anzichè “Game Hewitt” è una sensazione molto speciale. Ma bisogna essere in grado di saper gestire la pressione. Spesso capita che una serie sia più impegnativa sul piano mentale che fisico”.
 
Hewitt è stato ininterrottamente tra i primi dieci per oltre tre anni, dal giugno 2000 all’ottobre 2003. In quel periodo è stato numero 1 e ha vinto due tornei del Grande Slam. L’Australia giocò dieci partite e lui saltò soltanto la trasferta in Argentina nel 2002, ma mica per sua scelta. Un attacco di varicella aveva deciso per lui. Hewitt ha smentito la credenza che i top-players preferiscano i tornei individuali. Ogni giocatore ha la sua storia, è difficile generalizzare. Ma con “Rusty” non si sbaglia: “Giocare la Davis significa molto per me. Lo spirito di squadra mi ha sempre aiutato, anche quando ero il quinto uomo o un semplice sparring. L’atmosfera della Davis ti fa migliorare”. Dall’esordio contro Todd Martin sono passate 15 stagioni. Il tempo passa e Hewitt deve assumere un altro ruolo. Il capitano è Pat Rafter, che Hewitt ha sempre considerato un fratello maggiore. Adesso, tuttavia, toccherà a lui assumere l'impegno con il giovane ribelle Bernard Tomic. “Credo di trovarmi in una posizione invidiabile a questo punto della mia carriera – dice Hewitt – ci sono giocatori con poca esperienza e devo cercare di trasmettere il giusto spirito di squadra e far capire quanto può dare un’esperienza del genere”. Contro i polacchi, l’Australia può tornare nel World Group dopo sei anni, un’onta impensabile per chi ha vinto l’Insalatiera in ben 28 occasioni. Rafter lo sa, e nonostante i 32 anni e un ranking al numero 58, lo manderà in campo in tutte le tre giornate. Sarà la volta buona? Difficile dirlo. Ma c’è una certezza: Hewitt e la Davis si incontreranno di nuovo. E la storia non finirà qui.