Nessuno sa gestire il palcoscenico come Boris Becker. Quando si ritirò, sapeva che sarebbe tornato. Quando non ci credeva più, ha squillato il telefonino. Ed è di nuovo Bum Bum. 
Boris Becker ha giocato sette finali a Wimbledon, vincendone tre

Di Riccardo Bisti – 25 dicembre 2013

 
Un arguto articolo di Stefano Semeraro lo aveva paragonato ad Alessandro Magno. In comune con lui, Boris Becker aveva la voglia di conquistare, di andare sempre all’attacco. Millenni fa, l’obiettivo era l’oriente. Tra il 1983 e il 1999, Becker puntava dritto la rete. E la difendeva con le unghie e la punta della sua mitica racchetta Estusa, da cui non si è mai voluto separare. Uno dei tanti segni di una testardaggine epica, esagerata. A volte autolesionista, come quando decise che doveva battere i più forti terraioli spallettando da fondocampo. Risultato? Zero dei quarantanove titoli in carriera sono giunti sul rosso. Boris ha smesso a 32 anni, la stessa età in cui Alessandro Magno è passato a miglior vita. Ma si sapeva che sarebbe tornato. Dopo l’annuncio del ritiro, esalò durante una conferenza stampa: "Se sto fuori dal tennis per un paio di settimane mi manca il sudore degli spogliatoi, l'insonnia prima della partita e l'euforia dopo la vittoria. Sono cose di cui ho assolutamente bisogno". Ma Boris ama fare le cose in grande. Un ruolo da comprimario non gli sarebbe andato bene. Deve essere un protagonista, mostrare la sua strabordante personalità, la stessa che gli ha procurato sia tifosi che detrattori. Avversari compresi. Sembrava che non ci fosse più spazio per lui, si era rassegnato. Pur di restare sulla cresta dell’onda (pagliacciate televisive a parte), si era dato agli scacchi e al poker. Il rapporto con il tennis si era limitato al ruolo di commentatore. Poi, una mattina di ottobre, è arrivata una chiamata dal passato. La voce reale era quella di Dodo Artaldi, manager di Novak Djokovic, che gli ventilava la possibilità di allenare il numero 2 ATP. La voce interiore era un formicolio del passato. “Boris, puoi tornare a conquistare il mondo come facevi 25 anni fa”. Lui l’ha ascoltata e ha riacceso il motore. Forse si sarà ricordato quel che disse nel 1999, dopo la sconfitta con Pat Rafter nel suo ex giardino di casa, Wimbledon. Aveva già consegnato le chiavi a Pete Sampras, e le sue gambone non rispondevano più. Si presentò ai Championships come un vecchio pugile suonato. Sperava di restare in piedi per poi tirare il pugno decisivo grazie all’esperienza. Cadde al quarto round e decise che bastava così, evitando di giocare l'ultimo torneo di Stoccarda, dove gli avevano già preparato i tappeti rossi. Dopo l’ultima partita, in preda ai fiumi dell’alcol, si concesse una scappatella con la modella Angela Ermakova, da cui ebbe un figlio, riconosciuto soltanto dopo il test del DNA.
 
Fu una delle tante facce di Boris il Grande, l'uomo che ha portato l'essenza del carisma dentro il campo da tennis. Prima di lui c’erano stati personaggi enormi, ma nessuno come lui aveva la capacità di gonfiare il petto e far sentire la presenza all’avversario. La leggenda è nata nel 1971, quando iniziò ad arare la terra rossa del Tennis Club Blau Weiss di Leimen, fondato qualche anno prima da papà Karl Heinz. Vinse il primo torneo a nove anni, guidato dalle mani pazienti di Gunther Bosch. Quando aveva 16 anni, Ion Tiriac gli mise gli occhi addosso. C’era un po’ di scetticismo, ma la volpe rumena era convinta del suo fiuto. Ed ebbe ragione. Anni dopo, sentenziò: “Boris è il miglior articolo da esportazione della Germania dopo il Maggiolino della Volskwagen. Vince anche quando perde”. Parole sante. Becker vince sempre. Se anche dovesse andare male l’avventura con Novak Djokovic, per lui sarà una vittoria. Tanti coach fanno anni di gavetta, pagherebbero pur di allenare un campione. Lui riparte da lassù, direttamente. E’ il destino degli uomini di carisma. Becker ha sempre vinto, a partire dal trionfo a Wimbledon 1985. Era ancora un ragazzino, fuori dalle teste di serie. A suon di mazzate alzò il trofeo dei Championships a 17 anni, 6 mesi e 15 giorni. Soltanto Michael Chang, qualche anno dopo, avrebbe battuto il record di precocità. Un giornalista australiano gli diede il soprannome “Bum Bum”. Ingiusto, perchè Boris aveva la mano vellutata, ma azzeccato, perchè non si erano mai viste bordate del genere. Boris aveva il destino dalla sua, a partire dai nastri amici. Un nastro gli diede il successo al Masters 1988, al termine di una clamorosa finale contro Ivan Lendl. Un nastro lo tenne a galla allo Us Open 1989, quando gli annullò un matchpoint contro Derrick Rostagno. Il destino lo fa ricordare come un numero 1, anche se è rimasto in vetta al ranking per appena 12 settimane. Una miseria. Lleyton Hewitt c’è stato sei volte tanto.
 
E poi ci sono le contraddizioni. A partire dal rapporto con la Germania. Ha iniziato a girare il mondo a 15 anni. “Sono diventato uno zingaro, ho perso la base e così è difficile avere il senso della patria”. Cittadino del mondo, quasi apolide, ha però confessato di provare i brividi al suonare dell’inno tedesco. Ed è stato capace di rimanere in campo per 6 ore e 20 minuti in un match di Coppa Davis contro John McEnroe. L’Insalatiera lo ha spesso visto protagonista, con 38 singolari vinti su 41 (perse solo da Sergio Casal, due volte, e da Paul Haarhuis). L’ha vinta, poi l’ha boicottata, poi ha chiesto soldi per giocarla (scatenando la rabbia di Dino Meneghin), infine ha accarezzato l’ex nemico Michael Stich dopo la terrificante sconfitta di Mosca nel 1995. C’è poi il rapporto col denaro. Boris ha sempre avuto atteggiamenti rivoluzionari, a partire dal matrimonio con la modella di colore Barbara Feltus, e mostrò la sua vicinanza ai giovani di Amburgo che occuparono le case per protestare contro lo stato sociale. Poco dopo, fuggì da Leimen e prese la residenza nel paradiso fiscale di Monte Carlo. E oggi vive in Svizzera, dove certamente non se la passa male. E poi ci sono le donne, che meriterebbero un capitolo a parte. La prima fidanzatina si chiamava Benedicte Courtain, poi c’è stata Karen Schultz, bella ragazza che sapeva tenergli testa in termini di personalità. Anche per questo, è finita. La donna della sua vita, almeno fino ad oggi, è stata Barbara Feltus, sposata nel 1993 e da cui ha avuto due figli. Ma è finita malissimo: quando Boris le chiese il divorzio, lei scappò in Florida e presentò una petizione a Miami, aggirando un accordo prematrimoniale che le concedeva soltanto 2,5 milioni di dollari. L’udienza fu trasmessa in diretta TV in Germania e la Feltus strappò un assegno di 14,4 milioni, il condominio alle Fischer Island e l’affido dei due figli. Dopo qualche anno senza storie ufficiali, nel 2008 ha avuto una relazione con Sandy Meyer Wolden, figlia di colui che gli aveva fatto da consigliere negli anni 90. Ma è durata poco, poichè l’anno dopo si è sposata con l’olandese Lilly Kerssenbeg, da cui ha avuto il quarto figlio, Amadeus Benedict Edley Luis. Una vita movimentata, ma condita da un cervello fine e acuto osservatore della realtà. Ma non sempre l’ha utilizzato nel migliore dei modi.
 
Sul campo da tennis non faceva sempre la scelta giusta, ma aveva una grande qualità: capiva, fiutava i momenti importanti del match. Come l'Ispettore Derrick, come il Commissario Rex. Intuiva prima dell’avversario i momenti importanti, i punti in cui doveva fare il duro. Gli è riuscito un mucchio di volte, come in una storica semifinale di Wimbledon, quando fu preso a bastonate da Andre Agassi salvo poi cambiare tattica e punirlo in quattro set. Un capolavoro, così come le tante vittorie su Lendl e buona parte dei 713 successi in carriera. “Ci sono sempre quelle 2-3 palle che decidono la partita. Io cerco di afferrare le occasioni e indirizzare il match nella giusta direzione. In fondo è così anche nella vita”. Di sicuro, parlando con Novak Djokovic nel giorno e mezzo in cui si sono chiusi in una stanza a Monte Carlo, gli avrà espresso il concetto. L’ha sempre pensata così: durante la finale dello Us Open 2012, persa dal serbo contro Andy Murray, si entusiasmò per un serve and volley a sorpresa dello scozzese: “Se vuoi vincere qualcosa di speciale, devi fare qualcosa di speciale”. E lui, a fare cose speciali, era un maestro. Djokovic mica tanto. Il serbo ha una solidità mentale granitica, ma pecca di fantasia. Fino ad oggi, gli è bastato fare al 110% quello che conosce bene. Ma quando c’era bisogno del guizzo, non sempre l’ha saputo azzeccare. Forse ha chiamato Becker proprio per questo. Vuole entrare nella storia del tennis, e per farlo aveva bisogno di una persona speciale. Se voleva fare notizia, c’è riuscito. Ma c’è un problema. Boris è ingombrante, troppo ingombrante. Il rischio di un conflitto è dietro l’angolo. Ma Alessandro Magno Becker non ha paura. Sapeva che un giorno, prima o poi, sarebbe tornato. "Sono come Madonna, mi riconoscono in tutto il mondo. L'unica differenza è che lei ha le tette più belle"