Paola Cesaroni, madre di Federico Luzzi, lascia la ‘vita associativa’ dopo cinque anni on the road per preservare il ricordo del figlio. Ne ha raccontato la storia in un commovente libricino.
Durante la squalifica del 2008, Federico Luzzi aveva effettuato un corso di recitazione a Los Angeles
Di Riccardo Bisti – 14 dicembre 2013
Quel libricino lì ha un merito. Ti fa scorrere un brivido anche se non avevi conosciuto Federico Luzzi. Figurarsi se ci avevi scambiato qualche parola, o semplicemente avevi vissuto le sue “luzzate” sia dentro che fuori dal campo. L’opera, realizzata e autoprodotta dall’Associazione Fede Lux, che da cinque anni si impegna con costanza per portare avanti la lotta contro leucemie, è l’ultimo regalo di mamma Paola Cesaroni, che da quel maledetto 25 ottobre 2008 ha dedicato ogni singolo attimo della sua esistenza al ricordo di Federico. C’è riuscita. Sono passati cinque anni, ma nel mondo del tennis nessuno si è scordato di lui. Mamma Paola ha raccolto tanta solidarietà, ha rincorso i vip di tutto il mondo per farsi autografare i gadget della Fede Lux e renderli più appetibili, ma è stato un viaggio molto stancante. In una mail inviata ad alcuni amici, ha ufficializzato il ritiro dalla “vita associativa”, come l’ha definita lei. “Perchè, semplicemente, non ce la faccio più”. Ha ammesso di aver un po’ trascurato i nipoti, e adesso ha intenzione di recuperare il tempo perduto. I vari gadget Fede Lux non saranno più ristampati: le giacenze sono ancora in vendita, al prezzo ‘politico’ di 20 euro, fino ad esaurimento. La stessa Paola Cesaroni ha detto di aver raggiunto l’obiettivo: mantenere vivo il ricordo di Federico. Ma prima di ‘pensionarsi’ (agli eventi dove sarà invitata Fed Lux parteciperà Maurizio Luzzi, padre di Federico), Paola ha voluto offrirci un ultimo regalo: un libricino di 32 pagine, semplicemente intitolato “Federico Luzzi: Storia Illustrata”. Viene il magone sin dalla prima pagina, quando ti accorgi che è scritto in prima persona, come se a raccontare fosse Federico. “E’ come se l’avesse scritto lui, infatti – ci ha raccontato mamma Paola alla sua ultima apparizione pubblica, il Livorno Tennis Show dello scorso 29 novembre – in questi anni, girando per tornei ed eventi, ho potuto ricostruire un Federico che non conoscevo. E ho potuto delineare un quadro ancora più preciso della sua persona”.
Si tratta di un documento straordinario, non solo sul piano affettivo-emozionale, ma anche per il suo valore collezionistico. Ci sono tantissime foto inedite, scatti privati della famiglia Luzzi e tanti, tantissimi ritagli e articoli di giornale che hanno accompagnato l’avventurosa vita di Federico. Se è vero che non è mai andato oltre il numero 92 ATP, era uno che si faceva notare. Aveva un talento sopraffino, magari un po’ sciupato in certe fasi, ma era uno per cui valeva la pena pagare il biglietto. E poi aveva davvero una Storia alle spalle, e quella ‘S’ maiuscola non è un caso. Il suo legame con il tennis è nato con una racchettina da supermercato, poi si è sviluppato con un fusto di legno scippato dalla borsa di papà. E si capì subito che il talento era fuori dal comune. Da bambino era imbattibile. Lo è stato fino ai 15-16 anni, quando la tecnica e il carisma avevano ancora la meglio sul fisico. Quello di Federico, a detta delle ragazze, era bellissimo. Ma era anche un po’ gracilino. Hanno provato a forgiarlo al Centro Tecnico di Cesenatico, dove tanti maestri lo avevano adottato come mascotte. Tra loro c’erano anche Paolo Bertolucci e Gianluca Rinaldini, figura importantissima nella crescita di Federico. Poi sono arrivate le esperienze da Bollettieri “Sette mesi in cui ho imparato cosa significava lavorare davvero” e il periodo con Corrado Barazzutti prima che “Barazza” entrasse nell’orbita federale. Il passaggio tra i professionisti non è stato facile, ma neanche traumatico. Fino all’esordio in Coppa Davis, favorito dalla rinuncia dei migliori giocatori di allora e bagnato dall’epico successo contro Ville Liukko in Finlandia. Un 14-12 al quinto in cui c’era dentro tutto Luzzi: due set dominati, altrettanti buttati e un quinto da cardiopalmo. C’è una bella foto in cui lui, Santopadre e Volandri fanno indossare una sciarpa della Roma a Corrado Barazzutti, tifoso laziale. Sembrava l’inizio della scalata. L’exploit a Roma, dove battè Clement e Arazi, scatenò la fantasia della stampa nostrana. “Luzzi non si ferma” “Luzzi, il talento che colpisce”, “Luzzi il sole azzurro”, “Avanti Luzzi, cuor di leone”, “Bum Bum Luzzi”, “Roma si emoziona per Luzzi”, “Tutti pazzi per Luzzi”, “Luzzi tra i grandi”. Non si era montato la testa, non era da lui. Ma era convinto di poter salire ancora più su. Fino a quando la spalla destra non è quasi andata KO.
Il punto di non ritorno fu un match a Milano, quando si ritirò sul 6-0 4-1. “Hanno fatto bene a fischiarmi, al posto loro lo avrei fatto anch’io” racconta Federico-Paola nel libretto. Doveva operarsi, ma non c’erano le garanzie di oggi. E allora decise di evitare l’intervento e andare avanti a palliativi. Ma non poteva competere con i migliori. E così, dai titoloni a nove colonne, divenne semplicemente la “Promessa Mancata”. Un’etichetta che lo faceva impazzire. Ma erano tempi difficili. I sorrisi divennero sconfitte, la frustrazione si era impossessata di lui. Fino alla scazzottata con Koellerer. “Non si fa, ma a me diedero 30 giorni, a lui sei mesi”. Semplicemente, aveva messo in pratica quello che tutti i colleghi avrebbero voluto. Poi c’è stata la rinascita, l’estremo tentativo di tornare dov’era. Ce l’ha fatta, come in una favola, grazie all’aiuto del primo maestro Carlo Pini. Gli bastava guardarlo e sentiva il profumo di casa, della sua Arezzo. Quella città dove è nato e che non avrebbe mai abbandonato. “Nella vita puoi abituarti a tutto, tranne che alla mancanza della tua città”. Risalì al numero 104 ATP e tornò in Coppa Davis. Contro il Lussemburgo giocò a risultato acquisito, ma indossava orgogliosamente un tricolore sul petto. Ma soprattutto era stato convocato per meriti propri, non perchè c’erano ribellioni in corso. In un tennis sempre più ‘anziano’, Federico aveva grandi progetti. Ma ancora una volta, il destino gli ha dato contro. Insieme ad alcuni colleghi, tra un match e l’altro, si divertiva a puntare qualche euro con la propria carta di credito. Beccato! Gli diedero sei mesi, più che agli altri, perchè aveva scommesso (3 euro) su una sua partita. Federico visse male quel periodo, ma non si diede per vinto e andò a Los Angeles per seguire un corso di recitazione. Lo avevano anche scritturato per un serial che sarebbe scattato nel dicembre 2008. Ma lui voleva giocare a tennis.
A un certo punto, il racconto non è più in prima persona. Gli ultimi giorni di vita di Federico sono raccontati in punta di penna, con la delicatezza e l’amore che solo una madre può dedicare. C'è il ricordo di ogni singolo dettaglio. Dal ritiro ad Olbia al primo ricovero, dovuto a una polmonite, fino alla drammatica scoperta del medico che disse: “Meno male che è una polmonite, perchè a giudicare da questi globuli bianchi….sembrerebbe leucemia”. Un prelievo del midollo e una rapida corsa a Perugia fecero scoprire ai genitori la terribile verità. Furono costretti a dirlo a Federico perchè lui stava bene, voleva essere dimesso. E avrebbe voluto giocare la domenica successiva a Sarnico, in Serie A1. Gli spiegarono che avrebbe dovuto sottoporsi a una cura molto dura. Lui rideva, tra le lacrime. Stava bene, in ospedale indossava la tuta. L’ultima ‘luzzata’ è arrivata il giorno prima di morire. Non gli piacevano le minestrine, allora chiese a mamma Paola di cucinargli un bel piatto di penne al pomodoro. Riuscirono a eludere la sorveglianza e si fece un pasto coi fiocchi. Fino a quando, quella sera…”Mamma, aiuto, mi manca l’aria, fammi portare l’ossigeno…”. La maledetta leucemia fulminante lo aveva aggredito. Perse immediatamente i sensi, e i potenti cocktail chemioterapici non ebbero l’effetto sperato. Morì 18 ore dopo, alle 14.50 del 25 ottobre 2008. “Non ha avuto dolore, sofferenza e nemmeno paura – scrive la mamma – ha perso conoscenza in un minuto ed è passato dal coma profondo alla morte. E la morte non è ‘cattiva’ se arriva senza farti male e soprattutto inaspettata. Ne siamo sicuri perchè ‘dopo’ Federico aveva sul volto un lieve sorriso dolce, i lineamenti distesi e sembrava fosse addormentato su una spiaggia a prendere il sole”. Lì sotto, a beneficio di tutti coloro che non possono andare ad Arezzo, ci sono alcune immagini della tomba in cui Federico è sepolto. E dove, siamo sicuri, continua a giocare.
Chiunque volesse acquistare il libro, può contattare direttamente Fede Lux al sito www.fedelux.it oppure tramite la pagina Facebook. Una piccola spesa che aiuterà la ricerca e immergerà in una lettura che scatena un vortice di emozioni. Fa fare un piantino, o forse, semplicemente, riconciliarsi con il mondo e fa capire quali sono le cose davvero importanti.
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