Nella sua straordinaria carriera, a Federer manca il titolo del Foro Italico. E quella finale del 2006, avrebbe potuto cambiare la rivalità con Rafael Nadal. E se oggi cambiasse tutto? DI MASSIMO GARLANDO da TENNISBEST MAGAZINE
Roger Federer, quest'anno, ha deciso di tenere sulle spine gli organizzatori degli Internazionali d'Italia e i molti tifosi che, puntualmente, non vedono l'ora di ammirarlo sui campi del Foro Italico. Alla fine, complice l'immediata eliminazione a Madrid, è arrivata la fumata bianca. E' dunque scongiurato il rischio della seconda edizione nelle ultime 16 senza il tennista più amato del globo terracqueo.
 
Quella tra Roger e il Foro è una storia tormentata: un amore viscerale che non ha, per ora, avuto il lieto fine della vittoria e che, anzi, ha riservato al tennista svizzero delusioni assortite. La superficie preferita di Federer non è chiaramente la terra battuta, eppure sul rosso lo svizzero ha portato a casa dieci titoli, tra cui uno Slam e sei MS/1000. Certo, mezzo Roland Garros glielo ha regalato Soderling, facendo fuori Nadal, ed è altrettanto vero che i sei tornei immediatamente inferiori per prestigio li ha conquistati ad Amburgo (4 volte) e a Madrid (2 volte), mentre a Roma non c’è mai riuscito, anche se il trionfo è stato vicino, a volte vicinissimo. 
 
Roger ha disputato tre finali degli Internazionali d'Italia, la prima nel 2003, contro lo spagnolo Felix Mantilla. Era, all'età di 22 anni, già abbondantemente nei top 10, aveva battuto Sampras a Wimbledon nel più classico dei passaggi di consegne, ma tutto sommato si presentava ancora come il ragazzino scapestrato soggetto ad alti e bassi, che non disdegnava la distruzione della racchetta quando le cose non andavano per il verso giusto. Soprattutto, non aveva ancora vinto il suo primo Slam; lo avrebbe fatto a Wimbledon, di lì a un paio di mesi, dopo una terrificante sconfitta al primo turno del Roland Garros contro Luis Horna. Ma era certamente il favorito della finale. 
 
Felix Mantilla, il suo avversario, era già stato nei top 10 e in semifinale a Parigi, ma sembrava l'avversario ideale per lasciare strada al nuovo predestinato dagli dei del tennis. Nei bar del Foro si pagava già in euro ma, come in alcuni tra i Masters Series più prestigiosi, la finale si giocava ancora al meglio dei 5 set: ne sarebbero stati sufficienti appena tre allo spagnolo per conquistare il titolo più importante della sua carriera, anche se, anni dopo, avrebbe poi sconfitto un avversario ben più temibile di Federer, un melanoma della pelle. 
 
Gianni Clerici, il giorno dopo su Repubblica, nel criticare l'atteggiamento snob dello svizzero, gli avrebbe ricordato che "(il tennis) è uno sport tra i più duri, una vicenda nella quale capacità di soffrire e umiltà vengono spesso prima del talento: almeno sulle nostre spiagge di mattone trito". Lezione certamente imparata benissimo nel corso degli anni, perché senza capacità di soffrire e umiltà non si costruisce quello che Federer ha costruito nei successivi tredici di carriera, ma che non ha permesso al campionissimo elvetico di sfatare quella che, nel tempo, è diventata una sorta di maledizione romana. 
 
Saltiamo direttamente alla terza e (per ora) ultima finale, quella del 2013, perché non c'è moltissimo da dire. Un Federer nell'anno più buio della sua carriera, quello dei problemi alla schiena, del cambio di racchetta e delle sconfitte imbarazzanti, che lo avrebbero portato al numero 7 della classifica ATP, è riuscito a trascinarsi fino all'ultimo atto, anche grazie a un tabellone particolarmente generoso, ma non ha potuto nulla contro la sua nemesi storica, Rafa Nadal, che lo ha spazzato via in due rapidissimi set. 
 
In mezzo c'è stata quella che, oltre ad essere una delle partite più belle ed emozionanti degli ultimi vent'anni sotto il cielo capitolino, ha rappresentato un momento chiave nello sviluppo della rivalità tra i due campioni: la finale del 2006. Sono convinto che, se Roger avesse trasformato uno dei due match point , sul 6-5 del quinto set, le sicurezze di uno e i timori dell'altro avrebbero potuto assumere prospettive differenti, capaci di modificare anche in maniera sostanziale la storia della loro rivalità. Lo svizzero avrebbe poi battuto il maiorchino sul rosso, due volte, ad Amburgo nel 2007 e a Madrid nel 2009, ma su una terra battuta diversa, più veloce, più amica. E in partite decisamente meno epiche. Forse con una vittoria nella battaglia del Foro Italico, teatro che dodici mesi prima aveva incoronato il giovanissimo Rafa, al termine di una finale se possibile ancora più entusiasmante contro Guillermo Coria, la famigerata sudditanza psicologica di Federer avrebbe percorso altre strade. 
 
Oltre alle finali perse, la maledizione capitolina di Federer si è sviluppata negli anni con sconfitte onorevoli (le due con Djokovic, ad esempio) e altre sorprendenti, penso a quelle contro Stepanek, Gasquet e Gulbis. Va precisato che, in tutti e tre i casi, non si può parlare tanto di prestazione negativa dello svizzero, quanto di giornata eccezionale dei suoi avversari. In particolare Stepanek, che un paio di anni prima era stato sconfitto a Montecarlo da Alessio Di Mauro, è stato capace di mostrare un tennis sfavillante, fatto di ricami e capolavori sotto rete che ha poi ripetuto, a tratti, soltanto in Coppa Davis. Di quella partita resta indelebile negli occhi di tutti gli appassionati la curiosa danza della "balena spiaggiata", eseguita dal ceco a fine match, non meno memorabile dell'intossicazione alimentare che lo avrebbe costretto, il giorno dopo, a rinunciare alla semifinale. 
 
In tutto questo, fino alla (quella sì) meno giustificabile sconfitta per mano di Chardy di dodici mesi fa, c'è stata anche un po' di gloria per l'Italtennis. Nel 2002 Andrea Gaudenzi ha prevalso con un duplice, comodo 6-4, ma era un Roger Federer ancora molto incostante. L'impresa vera, importante quanto inaspettata, l'ha realizzata Filippo Volandri, negli ottavi di finale del torneo del 2007, sorprendendo l'elvetico con un netto 6-2 6-4, nell'edizione che lo avrebbe visto arrivare fino alla semifinale, primo italiano a riuscirci dopo Adriano Panatta, 29 anni prima. L'eco di questa vittoria è stata talmente ampia che, nei mesi a seguire, per presentare il livornese ai semiprofani e nelle pubblicazioni rivolte ai tennisti della domenica, non si parlava più di lui come del numero uno italiano, ma come "quello che ha battuto Federer a Roma”.
 
Una storia comunque straordinaria, che questo benedetto lieto fine lo meriterebbe. E allora, visto che Roger non può proprio saltare Madrid (non tanto per i motivi per cui, come riportato nel diario di Golubev, i giocatori preferiscono l'organizzazione castigliana al romanticismo delle statue capitoline, quanto per una ragione molto più pratica: ha già dato forfait l'anno scorso, per causa di forza maggiore, la nascita dei gemellini), si può sempre sperare in un'eliminazione molto prematura, che lo convinca a rifinire a Roma la preparazione in vista di Parigi. E poi c'è ancora il 2016, questa sorta di farewell tour che ha programmato in vista della conclusione della sua straordinaria carriera. E' chiaro che lui preferirebbe chiudere con uno Slam o con l'oro olimpico in singolare, ma anche un ultimo trofeo a Roma non sarebbe male. Se non altro, un trionfo finale in Italia chiuderebbe alla perfezione una parabola irripetibile, iniziata con il primo successo nel torneo di Milano, nel lontano 2001.