Carlos Berlocq mette fine a una carriera di sofferenze e porta l’Argentina in semifinale, battendo Gilles Simon nel singolare decisivo. In semifinale andranno in Repubblica Ceca.
Storie di Davis: Gilles Simon vive un dramma, Juan Monaco lo consola
Di Riccardo Bisti – 8 aprile 2013
Bisogna capire da dove viene Carlos Berlocq. Anni fa giocava il challenger di Torino (che poi avrebbe vinto un paio di volte). Vinse la sua partita, aspettò che se ne andassero tutti (avversari, arbitro, giudici di linea) e, una volta rimasto solo, fece razzia di bottigliette d’acqua. Con aria furtiva, ne infilò 5-6 dentro la borsa. Un piccolo gesto che giustifica la gioia incontenibile dopo il successo contro Gilles Simon. Una vittoria che (ri)porta l'Argentina tra le prime quattro nazioni al mondo. Ha imitato l’incredibile Hulk, strappandosi la maglia (stavolta ce l’ha fatta, mentre due mesi fa fece un lavoro a metà dopo il ritiro di Kohlschreiber), ha abbracciato tutti (a partire dall’inseparabile moglie Maria Noel) e, non contento, si è rotolato sulla terra battuta, diventando una cotoletta umana. Oggi ha 30 anni e gode, ma la sua carriera non è stata facile. Non poteva essere altrimenti per un figlio di un elettricista e una parrucchiera, che dovevano mantenere la bellezza di sei figli (uno di loro è morto, sono rimasti in cinque). Da bimbo è cresciuto con i vari fenomeni del tennis argentino (Acasuso, Nalbandian, Coria), ma è rimasto indietro. Gli altri crescevano, lui rischiava di smettere per assenza di fondi. A un certo punto, gli amici di Chascomus (città natale, paesucolo della provincia argentina ma non troppo distante da Buenos Aires) hanno organizzato una raccolta fondi per permettergli di andare avanti. “Nella mia carriera ci sono stati momenti difficili – dice “Charly”, come lo chiamano tutti – avevo la pressione di dover vincere per continuare a giocare. Da junior dovevo essere tra i migliori del paese per essere convocato e giocare qualche competizione a squadre”. Otto anni fa, a 22 anni, entrò tra i top 100 e aveva un mucchio di aspettative. Invece sono iniziati anni di alti e bassi, dove si mischiavano ATP, challenger e addirittura i futures. A fine 2008 si è sfilacciato un tendine del polso mentre giocava contro Maximo Gonzalez: il 4 febbraio 2009 lo hanno operato ed è stato fermo per sette mesi.
Furono momenti difficili, in cui ha pensato di rivolgersi a uno psicologo. Berlocq non ha paura di lavorare e soffrire, ma di testa è sempre stato instabile. “Devo ringraziare mia moglie. Ci siamo messi insieme nel 2002 e dopo un anno e mezzo siamo andati a vivere insieme. Lei aveva una buona carriera universitaria e ha mollato tutto per stare con me. Mi ha insegnato i valori della vita. E adesso apprezzo tutto quello che ho”. Qualcuno lo ha anche preso in giro, come quell’allenatore che gli è stato dietro per sei mesi in una trasferta in Europa. Diceva che gli avrebbe cercato sponsor, invece aveva vissuto alle sue spalle. “All’epoca non c’era internet, era un problema anche sentire la famiglia”. Berlocq è arrivato lassù senza aiuti nè scorciatoie. Quando giocava i tornei challenger, i colleghi erano impressionati dalle ore che passava in campo o in palestra. “Ma quando sono arrivato nel circuito ATP ho capito di essere uno dei tanti. Qualche settimana fa, a Indian Wells, mi sono svegliato presto per andare al club ad allenarmi. Mentre mi accompagnavano, a un semaforo ho visto David Ferrer tutto trafelato. Aveva appena finito di correre ed erano le 8 del mattino…”. Tuttavia, Berlocq non è soltanto coraggio e professionalità. A tennis sa giocare. Tira un bel rovescio a una mano, prova ad aprirsi il campo con il dritto…non ha paura a presentarsi a rete, e pazienza se lo passano. Dopo che Jo Wilfried Tsonga aveva massacrato Juan Monaco, dando il 2-2 alla Francia, Martin Jaite ha resistito alle pressioni della stampa e ha puntato sul “Nuevo Titan” piuttosto che su David Nalbandian. Ha avuto ragione.
Berlocq è stato in campo per quasi quattro ore e si è imposto col punteggio di 6-4 5-7 6-4 6-4. Ha avuto un pizzico di paura nel finale, quando Simon ha tirato fuori l’orgoglio quando era ormai nel burrone: sotto 5-2 e 15-40 sul proprio servizio, il francese ha iniziato a giocar bene e ha annullato cinque matchpoint con altrettanti colpi vincenti. Il sesto è stato quello buono: un dritto anomalo è finito fuori di un soffio e ha dato il via alla festa argentina. Dopo cinque sconfitte, l’albiceleste ha finalmente sconfitto la Francia. Un peso insopportabile per Simon, che è scoppiato a piangere sulla panchina, circondato dai compagni di squadra. Dopo essersi sfogato, è andato da solo negli spogliatoi, accompagnato per un tratto da Juan Monaco. Per i francesi è una batosta: sentivano di avere la squadra giusta per vincere la Coppa, e in semifinale avrebbero giocato in casa contro la Repubblica Ceca. Invece Arnaud Clement dovrà capire cosa non ha funzionato. L’infortunio di Gasquet ha cambiato le carte in tavola: il genietto di Beziers, probabilmente, avrebbe portato a casa un punto (forse due) e oggi non ci sarebbero processi. Ma la storia non si scrive con le ipotesi. In semifinale ci va l’Argentina e i cechi se la ridono, perchè potranno ospitarli in casa, su un terreno velocissimo, sperando nel ritorno di Berdych, nella forma di Stepanek, e nella carica di Rosol. Sembra una semifinale a senso unico. Se vogliono vincere la Davis, gli argentini devono convincere Juan Martin Del Potro a tornare. Si giocherà dal 13 al 15 settembre, subito dopo lo Us Open. Va bene l’unità, va bene lo spirito di squadra…ma senza Palito non hanno chance. Lui ha mandato un minuscolo segnale, complimentandosi via Twitter con Berlocq e con tutta la squadra mentre sorseggiava una tazza di mate. E’ solo cortesia o gli è venuto un po’ di prurito-Davis?
ARGENTINA-FRANCIA 3-2
Jo Wilfried Tsonga b. Carlos Berlocq 4-6 6-2 6-3 5-7 6-2
Juan Monaco b. Gilles Simon 7-6 6-2 6-4
David Nalbandian-Horacio Zeballos b. Michael Llodra-Julien Benneteau 3-6 7-6 7-5 6-3
Jo Wilfried Tsonga b. Juan Monaco 6-3 6-4 6-0
Carlos Berlocq b. Gilles Simon 6-4 5-7 6-4 6-4
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