30 anni fa, Martina Navratilova giocò una stagione perfetta. Fu sconfitta soltanto una volta, negli ottavi del Roland Garros, contro la 17enne Kathleen Horvath.
"Kathy" Horvath nel giorno della grande impresa contro Martina Navratilova
Di Riccardo Bisti – 23 maggio 2013
Durante il Roland Garros 1983, Kathleen Horvath non si allenava nemmeno sui campi di Bois de Boulogne. Era stata dirottata al Racing Club, elegante struttura dove ogni tanto si gioca qualche esibizione. La ragazzotta di Chicago aveva 17 anni ed era in gran forma. Un paio di settimane prima aveva raggiunto le semifinali agli Internazionali d’Italia, allo Junior Tennis Perugia. Arrivò a matchpoint contro Chris Evert prima di disunirsi e lasciarle spazio. Ma il 28 maggio 1983 funzionava tutto alla perfezione. “Era una di quelle giornate perfette, che si contano sulle dita di una mano. Stavo bene già al risveglio, poi durante il palleggio di riscaldamento ho avuto la sensazione di poter centrare ua monetina” racconta oggi, 30 anni dopo, ai taccuini di ESPN. Erano gli ottavi di finale e dall’altra parte c’era Martina Navratilova, all’apice del dominio. Tra il 1982 e il 1984, la cecoslovacca vinse 254 partite perdendone 6. E si presentò a Parigi imbattuta, con 36 vittorie e nessuna sconfitta. Quel giorno ci fu una delle più grandi sorprese nella storia del tennis. Tutti si aspettavano l’ennesima finale tra Martina (campionessa in carica) e Chris Evert. Sarebbe stato un tassello in più nei loro 80 scontri diretti. Ma non aveva tenuto in considerazione la giovanissima Horvath. Dopo la semifinale a Roma, giunse in finale a Berlino e perse nuovamente contro la Evert. Giocò e vinse agevolmente i primi tre turni, uno dopo l’altro, ed era convinta di avere un giorno di riposo. Invece la sbatterono in campo per il quarto giorno consecutivo. “Non ho avuto il tempo di pensare”, ricorda oggi. Alloggiava presso il Sofitel Hotel, mangiava in un ristorante italiano e consumava sempre la stessa cena: ossobuco e profiterol come dessert. Era numero 45 WTA e stava per giocare il decimo match in undici giorni. La Navratilova era strafavorita, anche perchè l’aveva sempre battuta senza mai cedere un set.
Per la Horvath era la seconda volta sul Campo Centrale, che qualche anno dopo sarebbe stato intitolato a Philippe Chatrier. Ci aveva giocato tre anni prima, quando battè Kelly Henry nlla finale del torneo junior. Sentiva che l’aria era positiva. Dietro il fisico roccioso della Navratilova, aveva percepito una debolezza. In fondo, Martina si era costruita una corazza d’acciaio proprio per nascondere le sue paure. “Avevo la sensazione che potesse essere scossa – dice la Horvath – ho sempre pensato che iniziare bene contro Martina fosse un’ottima cosa. In quel caso hai sempre una chance, perchè lei non è la persona più sicura del mondo”. Mascherava le incertezze sui campi rapidi, quando poteva trainarsi a rete anche sugli stracci e chiudere con il suo magico gioco di volo. Ma sulla terra battuta è un’altra storia. Lì hai sempre una seconda chance, un colpo in più da giocare. Kathleen scese in campo indossando una maglietta blu della Fila e una gonna bianca che le aveva creato la madre. La lavava ogni sera da un paio di settimane. Impugnava una racchetta Prince di legno con corde in sintetico. Ma c’era qualcosa di diverso: lei, tipica giocatrice da fondocampo, si buttava avanti a ogni occasione. Gliel’aveva ordinato coach Harry Hopman, l’uomo che aveva forgiato i miti del tennis australiano. La Navratilova rimase interdetta. Per la prima volta dopo un mucchio di tempo, si rese conto che il suo Piano A non bastava. E il primo set andò alla Horvath. “Non riuscivo a superare la linea di servizio. Non riuscivo a giocare d’anticipo” ricorda la Navratilova. Ma trovò ugualmente il modo di vincere a zero il secondo set. “Quando ho vinto il primo set ero sicura di vincere – dice la Horvath – e poi ho perso nettamente il secondo. Mi sono semplicemente detta di rilassarmi e giocare come avevo fatto nel primo”.
Il terzo set fu un concentrato di tensioni fino al 3-3. Nel box di Martina c’erano l’allenatrice Renee Richards (il famoso transessuale) e la preparatrice Nancy Lieberman. Le due litigavano, non si sa bene perchè. Non erano d’accordo sulla strategia da consigliare a Martina. Lei percepì il malumore e andò in confusione. La Horvath riprese a gettarsi a rete su ogni palla, sfruttando il tremebondo slice della Navratilova. Le sue volèe “agricole” le regalarano un buon numero di punti. “Ricordo il matchpoint. Mi sono presentata a rete e lei era fuori posizione per giocare il passante di rovescio. Lo ha sbagliato. Quel giorno le è andato tutto male”. Fu la sua unica sconfitta in 11 confronti diretti con la Horvath, presa d’assalto dai fotografi. Proprio lei, che sul campo aveva quasi sempre la stessa espressione. Il giorno dopo, finalmente, la fecero riposare. Ma era una ragazzina di 17 anni, l’età che oggi ha Gianluigi Quinzi. Si fece travolgere dalla popolarità. Nel day-off, disse si a qualsiasi richiesta di intervista. Fece anche un paio di servizi fotografici nei vialetti del Roland Garros, in giro per Parigi (vedi foto in home page) e nei pressi della Torre Eiffel. Tutti pensavano che non avrebbe avuto problemi a raggiungere Chris Evert in finale. Nei quarti avrebbe affrontato Mima Jausovec, in semifinale Jo Durie. Avversarie alla portata, così come la Evert quasi battuta a Perugia. “Quel giorno mi sono divertita un mondo, ma ho totalmente perso la concentrazione” ricorda con un sospiro. Il giorno dopo, il risultato era scritto. Jausovec batte Horvath 6-1 6-1. Il torneo sarebbe andato a Chris Evert. Ma la vittoria contro Martina Navratilova sarebbe rimasta nella storia. In quel magico 1983, Martina non avrebbe più perso. Altre 50 vittorie avrebbero portato il suo bilancio stagionale a 86 successi e una sola sconfitta. Da far impallidire l’82-3 fatto registrare l’anno dopo da John McEnroe. La sconfitta contro la Horvath impedì a Martina di far registrare la stagione perfetta. Il suo 1983 resta una delle più grandi stagioni della storia. Forse la più grande. Nell’anno del Golden Slam, Steffi Graf fece 72-3, mentre Roger Federer ha ottenuto come migliori bilanci l’81-4 del 2005 e il 92-5 del 2006.”Non so se sia stata la mia migliore stagione – dice la Navratilova – se non avessi perso dalla Horvath, probabilmente avrei perso contro qualche altra giocatrice. Eravamo appena in maggio, col passare del tempo la pressione sarebbe aumentata. Forse il 1984, anno in cui ho perso due partite, è stato ancora migliore”.
Per la Horvath fu il lampo di tutta una carriera. L’anno dopo avrebbe confermato i quarti al Roland Garros, ma non riuscì a ottenere quello che avrebbe voluto. Nel 1989, ad appena 23 anni, pensò bene di ritirarsi. “Avevo visto alcune giocatrici più grandi di me perdere nelle qualificazioni. Sembravano vecchie e infelici e decisi che non avrei voluto diventare come loro. Non ero in grado di avere la mentalità focalizzata sul tennis al 100%”. Non ha raggiunto l’eccellenza nel tennis, ma l’ha trovata nella vita. Ha conseguito due lauree presso l’Università della Pennsylvania, entrambe con lode, ed è finita a lavorare addirittura a Wall Strett. Oggi vive nel New Jersey con il marito e tre figli, uno dei quali gioca benino a tennis. Per una donna in carriera, la vittoria contro la Navratilova non è il punto focale della vita. Se ne ricorda, ma i dettagli sono sempre più sfuocati. Si sforza di ricordatli, ma non sempre ci riesce. Tuttavia, accenna a un sorriso quando le riferiscono che la Navratilova le ha dato pieno credito per quel successo. Anni dopo, la Horvath ha presentato Steffi Graf alla figlia Erica, 4 anni. “Questa è la miglior donna che abbia mai giocato a tennis”. “Ma come, mamma, io ho sempre pensato che tu fossi la più brava di tutte”. Steffi Graf ha accennato un sorriso e le ha dato ragione. “E’ vero. Tua mamma è stata la più brava”. Per un giorno, è stato così per davvero.
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