Entrato stabilmente tra i top-10, Milos Raonic non si pone più limiti. La cura Piatti-Ljubicic gli ha fatto molto bene. “Mi hanno fatto crescere sul piano psicologico”. Ma le bordate sono sempre le stesse.

Di Alessandro Mastroluca – 21 maggio 2014

 
L'evoluzione creatrice. In tutta la sua carriera da pro, Milos Raonic ha lavorato per trasformare il ragazzo impulsivo che spaccava le racchette in un paziente lavoratore. “Quando gioco, voglio che il risultato dipenda solo da me”. Un obiettivo che si può raggiungere in un solo modo: costruendo il suo tennis come un puzzle. La scelta di aggiungere Riccardo Piatti a Ivan Ljubicic è l'ultima tappa di questo percorso di costruzione e trasformazione del sé, di sacrificio dell'istinto in nome della ragione, che l'ha portato alla prima semifinale stagionale in un contesto all'apparenza lontano dalla sua natura, il Foro Italico. “Riccardo mi ha aiutato molto dal punto di vista psicologico – ha detto il canadese – ha una grande esperienza come allenatore e conosce Ivan da una vita, sono come padre e figlio, e insieme lavorano benissimo. Lui sa come parlarmi nelle varie situazioni, ha portato una prospettiva diversa: abbiamo lavorato molto anche con uno specialista di video analisi per migliorare alcuni aspetti tecnici del mio gioco”. I progressi di Raonic sulla terra, la profondità di colpi, la solidità nei colpi di sbarramento e la reattività negli spostamenti laterali si sono visti tutti nella semifinale con Djokovic. “Mi ha sorpreso – ha detto il serbo – si è mosso benissimo ed è molto migliorato con il rovescio, anche in lungolinea”.
 
UN NUOVO GIOCATORE
Dalla scelta di allenarsi a Barcellona alla decisione di affidarsi a Galo Blanco come coach, la direzione di Raonic è sempre stata chiara: sacrificare l'istinto, ma non i propri punti di forza, in nome della completezza. Da un anno è cambiata la geografia del suo staff (fuori il fisioterapista spagnolo Joan Ozon, dentro il croato Dalibor Sirola), ma non il punto di arrivo previsto. Con Ljubicic, la strategia è semplice: vinci o perdi, ma fallo alle tue condizioni. “Mi sono concentrato sulle cose da fare per battere i big. Ho lavorato per essere più aggressivo, per comandare di più il gioco, per cercare di avere il match nelle mani, di far sì che l'esito dipenda da me”. Le sessioni di riscaldamento più lunghe e l'attenzione alla mobilità hanno pagato subito. Ad agosto è diventato il primo canadese in finale nel Masters 1000 di casa dal 1958 (Robert Bedard) e il primo nato negli anni '90 a raggiungere la top-10, anche se solo per una settimana. L'arrivo di Riccardo Piatti completa un triangolo perfetto. Due generazioni, Raonic e Ljubicic, unite da uno stesso passato e da uno stesso allenatore. Come Ljubo, arrivato a Moncalieri dalla Bosnia travolta dalla prima guerra dei Balcani, anche Raonic è scappato dal conflitto e dal Montenegro a tre anni, quando i genitori Dusan e Vesna, entrambi ingegneri, hanno scelto il Canada. In Italia, Ljubicic ha conosciuto Piatti, suo coach alle Pleiadi dal 1997, che per lui ha rinunciato ad allenare Novak Djokovic e per aiutarlo a far esplodere Raonic ha detto addio a Richard Gasquet. “Milos è un gran lavoratore” ha spiegato il direttore del Tennis Club Bordighera, dove Milos potrebbe spostarsi in via definitiva in un futuro non troppo lontano. “Ascolta nel dettaglio tutti i consigli e si applica al massimo per metterli in pratica”. Pazienza e disciplina l'hanno portato al numero 9 del ranking, che vuol dire testa di serie numero 8 al Roland Garros per il già annunciato forfait di Juan Martin Del Potro, e dunque la certezza di non affrontare Djokovic, Nadal, Murray, Federer, Wawrinka prima dei quarti di finale.
 
IL SENSO DI MILOS PER IL TENNIS
Otto, come i tornei che ha impiegato per raggiungere la sua prima finale ATP, a Memphis nel 2011, che si è chiusa con il dritto lungolinea in tuffo di Roddick sul match point. Otto come gli anni che Raonic aveva quando ha preso per la prima volta in mano una racchetta, durante un campo estivo. E otto come i rimbalzi che fa fare alla pallina prima di servire. Milos lavora a lungo con Casey Curtis al Blackmore Tennis Club (BTC) di Richmond Hill, in Ontario. “Gli dicevo che doveva allenarsi alla ball machine se voleva arrivare a competere con i migliori. E lui l'ha fatto”. L'ha fatto grazie a papà Dusan che ha continuato il suo lavoro di ingegnere nucleare e ha ottenuto un accordo con il club. Negozia una tariffa scontata rispetto ai 24 dollari l'ora per farlo allenare sul campo coperto del circolo a orari inusuali, alle 6 di mattina o alle 9 di sera. Dusan, però, non è il classico padre-allenatore. “Mi ha detto: tu ti occupi del suo tennis, io della sua istruzione” ha detto Casey Curtis. Milos è un ragazzo studioso, gli piace soprattutto la matematica, e ottiene il permesso di uscire prima da scuola per andarsi ad allenare. Quando riceve una borsa di studio per l'Università della Virginia, è a un bivio, e convince i genitori che la sua strada è il tennis. Continua a studiare, legge di Jack Kramer e Pancho Gonzalez, vede e rivede i video di Pete Sampras, il suo idolo. “Mi piaceva come riusciva sempre ad avere il controllo della situazione, in ogni momento” ha spiegato. È sempre stato questo il suo limite: tanto rilassato fuori dal campo quanto impulsivo in campo. “Da giovane, spaccavo racchette, continuavo a parlare da solo e ad abbattermi. Ho lavorato molto per eliminare questi atteggiamenti auto-distruttivi, per non farmi più influenzare da quello che non posso controllare”.
 
I MISSILI NON BASTANO
Ha lavorato allo stesso modo e con la stessa applicazione sul suo tennis. Dopo Frederic Niemeyer, che l'ha seguito nei primi anni con Curtis e l'ha avviato a un gioco d'attacco finalizzato a massimizzare il suo devastante servizio, Raonic ha scelto di arricchirsi, di maturare rinforzando i punti deboli. “Galo Blanco mi ha aiutato moltissimo a migliorare il mio tennis, a capire che per arrivare al top non serve solo tirare forte, ma devi essere solido, intelligente e leggere bene il gioco”. Piatti e Ljubicic è una scelta di continuità totale, di unicità nella molteplicità. Continuità nella volontà di non oscurare, di non sacrificare l'indole da sprinter, come la presenza di Ljubo, fine giocatore di volo, dimostra. Ma non bastano le doti del Ljubicic-giocatore che il Ljubicic-allenatore trasmette. La natura va arricchita, completata, perché il tennis non è solo velocità, perché è scatto e insieme maratona, è brillantezza e resistenza. Perché il successo di Milos, il ragazzo che andava bene in matematica e studiava i campioni del passato, è fare le cose a modo suo. Ovvero costruendo una mente da difensore in un corpo da attaccante: chiamatela, se volete, evoluzione creatrice.