Fra i 280 raccattapalle dello Us Open ci sono anche tre ex militari, costretti a lasciare l’esercito degli Stati Uniti a causa di disabilità permanenti rimediate fra Iraq e Afghanistan. Mitchell Kieffer ha rotto sette vertebre, Stephen Otero è arrivato a tentare il suicidio, Gideon Connelly ha perso una gamba, ma grazie alla USTA Foundation hanno ritrovato la propria vita.

Basta seguire un qualsiasi match in tv per accorgersene: lo Us Open è l’unico grande torneo che fra i raccattapalle accoglie anche gli adulti. Indagando sulla questione si scopre che è anche l’unico Major a prevedere una retribuzione per i ball-boys, 9 dollari l’ora (lo stipendio orario minimo dello Stato di New York), e che i maggiorenni sono oltre due terzi del gruppo, al lavoro sui campi di Flushing Meadows per tre settimane, fra qualificazioni e main draw. Fra loro, in questa edizione del torneo ce ne sono anche tre dalla storia – e dal passato – del tutto particolare. Un’iniziativa della USTA Foundation, associazione che combina tennis ed educazione per aiutare persone con disabilità fisiche e mentali, ha infatti portato sui campi del National Tennis Center tre militari in congedo, che hanno lasciato il servizio a causa di disabilità permanenti. Si tratta di Mitchell Kieffer, ex capitano dell’Air Force in Iraq e Afghanistan, Stephen “Steve” Otero, che lavorava come fotografo di combattimento, e Gideon Connelly. Per i tre, la partecipazione allo Us Open fa parte di un percorso di riabilitazione con al centro lo sport e l’obiettivo di tornare a una vita normale, al di sopra delle difficoltà. Nel corso del torneo i tre ex militari sono stati ricevuti dalla presidente della USTA Katrina Adams, hanno avuto un incontro con Serena Williams e anche partecipato a una Pro-AM con vari campioni del passato, da Navratilova e Capriati a Philippoussis, Davenport, Blake e tanti altri. Ma il meglio l’hanno dato in campo, servendo i giocatori insieme agli altri 280 raccattapalle. La vita di Kieffer è cambiata nel 2011, quando a Baghdad venne assaltato con dell’esplosivo il SUV sul quale viaggiava con altri militari. Si ruppe sette vertebre e rimediò un trauma al cervello che l’ha costretto a quasi un anno di ospedale. “E la schiena – ha raccontato il 31enne del Maryland, premiato nel 2015 con una medaglia al valore militare – mi fa male tutt’ora, ogni volta che corro a raccogliere una pallina, ma la soddisfazione di essere qui cancella anche il dolore. Quello del raccattapalle è un lavoro impegnativo, sia mentalmente sia fisicamente. Bisogna correre con palline che volano a oltre 200 all’ora, ma anche sapere sempre il punteggio, o se è ora del cambio di campo”.



“CHE LA MIA STORIA SIA DA ESEMPIO PER TUTTI”
Il 34enne Steve Otero, invece, ha sofferto di seri problemi all’addome nel 2009, a causa di un attentato ed esplosioni multiple che gli hanno lasciato uno stress post-traumatico talmente forte da indurlo a tentare il suicidio, prima che il potere dello sport lo aiutasse a trovare la strada per la guarigione fisica e mentale. “Ho ancora degli incubi – ha detto – e so che il dolore mi accompagnerà per tutta la vita, ma lo sport mi ha aiutato a lasciarmi alle spalle problemi, ansia e depressione, e la mia vita è tornata a splendere. Mi sono innamorato del tennis, e lo insegnerò presto ai miei due gemelli di quattro anni. Nelle forze armate la vita è muoversi, comunicare e sparare. Qui è muoversi, comunicare e lasciare palline. È stato splendido fare da allievo a dei ragazzini di 16-17 anni, che mi hanno insegnato come muovermi sul campo da tennis”. Il più giovane del trio è il 27enne Gideon Connelly, ex sergente nella Guardia Nazionale dell’Air Force che ha perso una gamba in un incidente stradale nel 2011, e proprio in occasione dello Us Open ha “inaugurato” una nuova protesi costruita appositamente per aiutarlo nel compito di raccattapalle. “All’inizio – ha spiegato – mi vergognavo della mia disabilità, ma stare in mezzo a tanta gente con i miei stessi problemi mi ha aiutato a capire che non sono i problemi a fare la differenza fra le persone, ma il modo in cui si reagisce”. Allora si è dato ad atletica e ciclismo, correndo 200 e 400 metri e iniziando a partecipare a delle gare ciclistiche sulle lunghe distanze, oltre ad aver ricevuto la qualifica di personal trainer. E quando ha sentito della possibilità di lavorare allo Us Open non ci ha pensato un secondo. “Spero che la mia storia possa portare altre persone affette da disabilità a fare lo stesso. Se la gente mi vede e pensa ‘lo posso fare anche io’, il mio obiettivo è raggiunto. Vivo la vita che mi piace e ispiro altra gente. Spero succeda anche per chiunque sogni un posto agli Us Open. Perché vivere il torneo dalla prima fila è spettacolare, ma dal campo lo è ancora di più”.