L'INTERVISTA – Il polacco racconta le difficoltà incontrate prima di sfondare. E ringrazia l'imprenditore e gli sponsor che gli hanno permesso di proseguire l'attività. 
Jerzy Janowicz è il primo polacco a raggiungere le semifinali a Wimbledon

Di David Cox – 5 luglio 2013
(Intervista pubblicata su TennisBest Magazine di marzo 2013)


Jerzy Janowicz ha iniziato il 2012 giocando il piccolo torneo di Barnstaple, piccola e sonnolenta città nella campagna del sud-ovest inglese. Davanti a tre tristi spettatori che osservavano il match da un bar adiacente, Janowicz ha perso nei quarti contro un giocatore britannico classificato numero 499 ATP. Si mise in tasca 430 dollari, nemmeno vicini – dice – a coprire le spese settimanali. Mandiamo avanti il nastro fino al Masters 1000 di Parigi Bercy, uno dei tornei più grandi, dove Janowicz ha chiuso la stagione battendo alcuni dei migliori giocatori al mondo, tra cui il campione dello Us Open Andy Murray, nella sua strada verso la finale. Avrebbe perso contro David Ferrer, ma la sua eccezionale cavalcata gli ha regalato il numero 26 ATP, una nomination come ATP Newcomer of the Year e un guadagno di 310.022$, due terzi di quanto aveva guadagnato in tutto il 2012. Noi abbiamo raggiunto il 22enne polacco per conoscere meglio le sue straordinarie sfide.
 
Jerzy, sono passati molti anni da quando abbiamo visto per l’ultima volta un giovane giocatore fare una tale impennata in classifica. Dopo aver trascorso diversi anni nei challenger e nei futures, cosa è cambiato nel 2012?
Non è stato un miglioramento improvviso in servizio, dritto o rovescio. Nel tennis, il successo dipende da un sacco di piccoli fattori. La difficoltà sta nel metterli tutti insieme. Devi imparare a capire te stesso sul campo, i tuoi limiti, come ottenere il massimo dal tuo stile di gioco. Mi sono preparato in modo identico rispetto all’anno precedente. La grande differenza è stata nella testa. Sono stato molto più aggressivo negli scambi da fondocampo, sin dal primo colpo. So che non sarò mai in grado di correre da una parte all’altra del campo senza restare a corto di fiato, come riesce a Ferrer o Murray. Così, il lavoro che abbiamo fatto è stato del tutto focalizzato sul mio stile di gioco, sempre più aggressivo.
 
Ha certamente funzionato bene, almeno fino ad ora. A Parigi, molti spettatori sono rimasti sorpresi dal fatto di non averti mai visto in un torneo ATP in passato.
Nei grandi tornei come Parigi Bercy, il primo ostacolo è sempre stato qualificarsi per il tabellone principale. Non ho avuto molte occasioni. Solitamente giocavo le qualificazioni, che non sono per nulla facili. Prima di Bercy, avevo giocato nel tabellone principale di un torneo ATP solo una manciata di volte. Spesso ero vittima della mancanza di esperienza. Se fossi stato bravo a crearmi più possibilità, forse questo exploit sarebbe arrivato prima.
 
Hai parlato molto delle tue difficoltà finanziarie. Questo fattore ti ha precluso qualche opportunità?
Sicuramente. A inizio 2012, non potevo permettermi di volare in Australia per giocare le qualificazioni a Melbourne. E’ stato molto doloroso. Ho controllato il mio budget due mesi prima del torneo e ho capito che non era possibile giocare, così ho messo da parte i soldi per giocare diversi piccoli tornei. Il mio ranking era abbastanza buono, ed è dura rendersi conto che non puoi giocare uno dei tornei più importanti solo per una questione di soldi.
 
Come hai trovato i soldi per continuare a giocare?
Nella prima parte della mia carriera, sono stato aiutato principalmente dai miei genitori ed alcuni cari amici che mi hanno permesso di giocare. Anche se hai un buon manager, è difficile trovare sponsor in Polonia. Fino a fine 2008, inizio 2009, non ho trovato neanche uno sponsor. Ho raggiunto la finale allo Us Open junior nel 2007 e al Roland Garros junior l’anno dopo, ma anche dopo questi successi nessuno mi ha offerto una sponsorizzazione.
 
Altri atleti polacchi hanno questo problema, o riguarda soltanto te?
Non solo io. Accade a quasi tutti i giocatori polacchi. Per fortuna, tre anni fa Ryszard Krauze (un ricco imprenditore polacco, ndr) ha iniziato a sostenerci. Questo ha fatto la differenza nel tennis polacco. Da allora, sono emersi tanti nuovi giocatori capaci di costruirsi una classifica mondiale. L’azienda PBG, una società energetica, mi ha poi hai aiutato molto. Non sarei mai arrivato a questo punto senza di loro. Mi auguro che le cose cambino. Forse i miei successi incoraggeranno qualcuno a lanciare nuovi tornei in Polonia, perchè adesso ce ne sono davvero pochi. Forse la TV inizierà a mostrare qualche partita dei giocatori polacchi, forse qualcuno investirà nella costruzione di nuovi campi. Adesso è dura, ma allo stesso tempo, mentre tutti sono sorpresi dal fatto che gli sportivi polacchi siano così poveri, non c’è alcun interesse nel dare una mano agli sportivi professionisti. Non puoi sfondare soltanto con la forza di volontà.
 
Il tuo ranking è salito al numero 26 dopo Parigi Bercy, e sarai testa di serie nei grandi eventi del 2013. Qual è il punto in cui un giocatore riesce a costruirsi una vita decente grazie al tennis?
I top 50 guadagnano bene. Se sei classificato 80-90, è ancora dura. Puoi giocare i tornei del Grande Slam, ma negli altri grandi tornei devi giocare le qualificazioni, dove i premi non sono sufficienti. Negli Slam, tutti provano a dare il meglio: per i giocatori di classifica più bassa è l’unica chance per portare a casa una prize money decente. Se poi parliamo dei challenger, sono divisi in diverse categorie. I più piccoli hanno un prize money di 39.500 dollari che devono essere divisi tra tutti i partecipanti. Così, fondamentalmente, non è possibile crearsi una vita. Per esempio, nel 2012 ho vinto un challenger a Roma. Nel mio percorso ho battuto Josselin Ouanna, Ernests Gulbis, Rui Machado e Gilles Muller: tre di loro erano classificati tra i primi 100. Dopo aver detratto le tasse dal montepremi, mi sono rimasti in tasca 3.700 dollari per una settimana di lavoro. Un importo del genere, per aver vinto un torneo di tennis professionistico contro giocatori di quel calibro è semplicemente ridicolo. Ho dovuto spendere una parte di quei soldi per i pasti, il volo e l’allenatore. Alla fine, ho dovuto pagare per partecipare all’evento.
 
Ci dai un’idea del tipo di spese di viaggio che si devono coprire?
Spendo circa 43.000 dollari l’anno per il mio allenatore, poi ci sono le spese collegate con viaggi, voli, alloggi, pasti ed equipaggiamento. Le spese collegate sono sempre doppie quando l’allenatore viaggia con me. Inoltre, il cibo all’estero è sei volte più costoso e i prezzi degli hotel in paesi come Stati Uniti o Australia sono semplicemente folli: si parla di 200 dollari a notte.
 
Senti di essere stato particolarmente svantaggiato rispetto ai giocatori che sono stati aiutati sin da giovani dalle loro federazioni?
Certo. Hanno aiutato Andy Murray in Gran Bretagna sin da quando era piccolo. In Svizzera è successo lo stesso a Federer. Altri paesi danno una mano ai loro giocatori e alle giovani promesse. Io ho dovuto fare affidamento sull’aiuto dei miei genitori e, per fortuna, tutto ha funzionato. Sono contento del fatto di essere mentalmente duro e determinato. Se qualcuno dice qualcosa di cattivo nei miei confronti, ci rido su. Rimango solido e provo a giocare al meglio.
 
Hai fatto molto per il tuo paese. L’ultimo polacco a classificarsi tra i primi 30 è stato Wojtek Fibak, che nel 1977 è stato numero 10 e ha vinto il doppio all’Australian Open nel 1978.
La Polonia non è un paese facile per diventare uno sportivo professionista. Il tennis polacco va meglio rispetto a 10 anni fa: abbiamo più campi indoor, più giocatori e in genere lo sport è più popolare, ma è ancora molto difficile trovare sponsor. Senza sponsor è estremamente dura. Non importa quanto sei bravo: se non hai soldi, non c’è modo di partecipare ai tornei. Gli sponsor arrivano sempre quando un giocatore inizia ad avere successo, quando sono inutili! Hai bisogno di loro all’inizio, in modo da non doverti preoccupare di trovare i soldi per i viaggi all’estero.
 
Con tutte le difficoltà che hai avuto, hai mai pensato di smettere o cambiare carriera?
Anche se in questi quattro anni è stata dura, sapevo che il tennis è ciò che voglio fare nella vita e non mi sono mai arreso.