A tre anni dall’ultima partita, Dinara Safina annuncia il ritiro. E’ stata numero 1 WTA e ha giocato tre finali Slam. Una carriera segnata da un infortunio alla schiena mai curato a dovere.
Di Riccardo Bisti – 2 maggio 2014
A volte si esagera nel dire che lo sport è maestro di vita. Nel caso di Dinara Safina, tuttavia, non si va troppo distanti dal vero. Aveva fatto perdere ogni traccia di sè, era come evaporata nell’appartamento di Mosca dove era andata a vivere da sola, schivando qualsiasi domanda sulla vita privata. Oggi, a tre anni dall’ultima partita, torna alla ribalta. Premierà la vincitrice del Mutua Madrid Open, ma solo dopo aver annunciato ufficialmente il ritiro. Per farlo ha scelto un paese e una città che le hanno lasciato qualcosa. In Spagna si è forgiata da giovane, quando il fratello Marat diceva che con il tempo sarebbe stato ricordato “Come il fratello di Dinara”. Non è andata proprio così, anche se lei è riuscita a brillare di luce propria. Non era facile, con un fratello del genere. A Madrid, inoltre, ha vinto nel 2009. Fu il punto più alto della sua carriera, il periodo in cui riuscì ad infilarsi al numero 1 WTA, conservato per 26 settimane. Quel numero 1, tuttavia, oltre a farla finire nei libri di storia, è stato anche la sua condanna. Per restare lassù, mentre Serena Williams e Caroline Wozniacki la pressavano a più non posso, ha chiesto troppo al suo fisico. Risultato? Un crack che non si è più aggiustato. Il primo infortunio alla schiena risale all’agosto 2009, al torneo di Cincinnati. Avrebbe dovuto fermarsi, ma c’era quel numero 1 da difendere che la spinse ad andare avanti. Risultato: sconfitte contro Chang e Zhang a Tokyo e Pechino, più due game giocati al Masters di Doha. Pietoso.
IMPOSSIBLE IS NOTHING?
Nonostante il fisico chiedesse pietà, decise ugualmente di andare avanti. Risultato? La rottura di due vertebre durante l’Australian Open 2010, mentre stava giocando gli ottavi contro Maria Kirilenko. Rimase ferma tre mesi, ma dopo il rientro non fu più la stessa. Finì anche la partnership con coach Zeljko Krajan. Nel periodo d’oro, quando girava con una t-shirt con scritto “Impossible is Nothing”, i due erano inseparabili. Talmente inseparabili che qualcuno sussurrò che potessero avere una liason. Per provare a rinascere, chiese aiuto al nostro Davide Sanguinetti. Il tecnico azzurro le fece fare diverse sedute di allenamento nei club della sua zona, in provincia di La Spezia. Ma la schiena non ne voleva sapere. Giunse in semifinale a Fes tra una lacrima e l’altra, senza poter servire. Si ritirò prima di giocare contro Alberta Brianti, poi a Madrid perse al secondo contro Julia Goerges. Nessuno pensava che sarebbe stato il suo ultimo match. Si fermò, prima con una scadenza e poi a tempo indeterminato. Con un carattere diverso rispetto al fratello (che dopo il ritiro si è addirittura buttato in politica), lei è scomparsa dai radar. E si fece una bella risata nell’estate 2012, quando su Twitter qualcuno scrisse che aveva chiesto wild card per alcuni tornei estivi. Lei non ne sapeva nulla: stava semplicemente sorseggiando un drink in un bar di Mosca.
"NON HO DATO ASCOLTO AL MIO CORPO"
Non è stato facile abituarsi all’idea di essere una ex tennista. Gli psicologi sostengono che ci sono tre fasi di elaborazione di un lutto: il rifiuto, la rabbia e l’accettazione. Dinara ha avuto bisogno di tre anni per arrivare alla terza fase. Eppure non ha vissuto male: si è iscritta all’università, dove ha studiato legge e amministrazione. Per la prima volta, ha potuto sfruttare il tempo libero senza pensare agli allenamenti. In fondo, la schiena non ha mai smesso di darle noia. Nessun problema per la vita di tutti i giorni, ma i dolori comparivano nuovamente in caso di pioggia o tempo variabile. Il tennis? Ogni tanto giocava con gli amici, ma solo per divertirsi. “E’ capitato che prenotassimo il campo per un’ora, ma ne passavamo metà a chiacchierare”. Nel settembre 2012, quando stava metabolizzando la realtà, disse: “Non mi piace considerarmi ritirata”. Tuttavia, ogni volta che pensava seriamente al ritorno, le tornavano in mente il dolore e la sofferenza del periodo post-infortunio. “Ho giocato con il dolore. Ho commesso l’errore di ascoltare la gente che mi parlava della classifica, anziché ascoltare il mio corpo. Risultato? Si è danneggiato e non è mai completamente guarito”. Il click verso la scelta definitiva, probabilmente, è arrivato quando le hanno chiesto (per l’ennesima volta) se le mancava l’adrenalina del tennis. “Era troppo” disse con un sospiro. Era entrata nella fase dell’accettazione. Lo ufficializzerà alla Caja Magica. Sarà una liberazione, anche se le resterà il rimpianto di non aver mai vinto uno Slam nonostante tre finali (due al Roland Garros e una in Australia). “Hanno esagerato nel criticarmi per questo”. Ma ormai è andata. Dinara non ci pensa più. Dopo Madrid ci penserà ancora meno.
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