È bastata una risposta data a un fan su Twitter per alzare l’ennesimo polverone attorno a Nick Kyrgios. Tema? La marijuana. Ma (in parte) ha ragione lui, come confermato dall’intervento della Wada: fuori dalle competizioni agli sportivi è permesso l’utilizzo della Cannabis.

Ormai è una certezza: un torneo sì e l’altro pure Nick Kyrgios fa parlare di sé per motivi extra-campo. Lo Us Open del 21enne australiano è iniziato con un paio di dichiarazioni scoppiettanti sul suo futuro, con le quali ha confermato la sua allergia a racchette e palline. Prima ha spiegato che la sua carriera non andrà oltre i 27 anni, e poi ha detto che se dovesse vincere il torneo ci sarebbero buone chance di non rivederlo mai più su un campo da tennis. Non pago del polverone generato, e “non avendo di meglio da fare” (come da sue parole), martedì ha passato una decina di minuti su Twitter a rispondere alle domande dei fan, cadendo – in parte – nel tranello di un appassionato. Alla domanda se fosse permesso fumare marijuana nel circuito, Kyrgios ha risposto “sì”, spiazzando buona parte dei suoi seguaci. È subito partita una raffica di commenti che ha portato all’intervento della Wada, l’agenzia mondiale antidoping, che tramite un suo portavoce ha fatto sapere che in realtà Kyrgios non ha tutti i torti, in quanto la Cannabis è considerata proibita nei test effettuati nel corso dei tornei, ma non al di fuori delle competizioni. Tradotto: non è un problema se viene rilevata nelle urine durante un test a domicilio, quelli obbligatori per tutti i top-50, mentre è “dopante” nel corso di un torneo. Fino al maggio del 2013 la differenza era molto sottile, visto che nei test ematici e delle urine la marijuana può essere individuata anche a distanza di diverse settimane dal suo utilizzo, al punto da rendere “punibile” una canna fumata in un periodo “non punibile”. Un problema risolto dalla Wada con la modifica della soglia di tolleranza, passata da 15 a 150 nanogrammi per millilitro.