Le indiscrezioni che filtrano dallo spogliatoio WTA raccontano di invidie, antipatie, difficoltà persino ad accennare un saluto. Per questo, profuma di fiaba la vicenda che ha riguardato Kiki Bertens e Aleksandra Krunic. Da un paio d'anni, la serba si fa allenare da Elise Tamaela, ex giocatrice letteralmente tirata fuori da uno studio di fisioterapia, in cui si era rifugiata dopo un traumatico addio al tennis giocato. Discreta giocatrice olandese, era stata costretta a ritirarsi dopo a causa di una commozione cerebrale, conseguenza di un'aggressione. Durante il torneo di ITF Versmold, nel 2011, faceva il tifo per la sua amica Danielle Harmsen. Ma il padre di Karen Barbat non la prese bene: prima arrivarono frasi razziste, poi l'aggressione vera e propria. Elise non ne voleva più sapere del tennis, ma le richieste della Krunic le hanno fatto mettere in standby una carriera ormai avviata. Essendo connazionali, Bertens e Tamaela si conoscevano da tempo. La numero 1 “orange” è seguita da Raemon Sluiter, che però ha dovuto saltare la trasferta americana per ragioni personali (deve stare accanto alla madre, vittima di qualche problema di salute). Dunque, quasi per caso, la Tamaela è finita (anche) all'angolo della Bertens. Le aveva dato una mano a Miami, poi il sorteggio di Charleston è stato malandrino. Al secondo turno, si sono trovate proprio Krunic e Bertens. Ovviamente la Tamaela è rimasta all'angolo della serba, ma Kiki si è imposta con un netto 6-4 6-2. Da lì è partita una cavalcata che l'ha portata a vincere il quinto titolo in carriera, il più importante. “Continuo a lavorare con Raemon, ma adesso si trova a casa – ha raccontato la Bertens, di nuovo a ridosso delle top-20 – per questo Elise si è aggiunta al mio team, anche se Sluiter ha seguito tutte le mie partite, ha parlato con lei e anche con me. Ha lavorato a distanza, forse dovrei pagarlo per questo!”.
TERRA BATTUTA E AUTOSTIMA
Nonostante l'eliminazione, la Krunic ha acconsentito che la sua allenatrice continuasse a seguire la Bertens. Di più: anche lei si è seduta al suo angolo. “Devo molto ad Aleksandra. Come minimo una cena, forse anche un bicchiere di vino. Il fatto che abbia accettato di condividere la sua allenatrice la dice lungo su che tipo di persona sia”. Inizia così, nel migliore dei modi, la stagione sulla terra battuta della Bertens, per quanto a Charleston si giochi sull'har-tru, le cui caratteristiche sono ben diverse rispetto al "rosso" tradizionale. Ma lei si trova alla grande. “Quando si gioca sulla terra, il mio rendimento cresce del 20%. Tuttavia, nella mia testa il miglioramento si attesta sull'80% – dice la 26enne di Wateringen – è una questione di comfort, il mio tennis si adatta molto bene alla terra, i miei movimenti sono più efficaci, posso scivolare e spingere di più con le gambe, soprattutto dalla parte del dritto. Posso giocare palle più alte, i rimbalzi sono più alti. Posso fare grandi cose sul cemento, ma sono innamorata della terra. Sorry”. Sorry: quell'ultima parola, buttata lì in un'intervista con la WTA, la dice lunga sulla personalità di Kiki. Chi la conosce parla di una ragazza buona, a cui non hanno mai presentato il cinismo. L'inclinazione si traduce in una scarsa autostima, che spesso diventa atteggiamento negativo. Lo sa bene Raemon Sluiter, piacevolmente sorpreso dall'atteggiamento della sua allieva in questi mesi. “Quando perde, Kiki inizia prendersela con se stessa, non si allena e non si prende cura del suo corpo. Invece è stata 4 settimane negli Stati Uniti e ha lavorato molto bene”. Se a Indian Wells e Miami era incappata nelle sorelle Williams (e ci sono mille rimpianti per la sconfitta contro Venus), a Charleston è parso di rivedere la giocatrice che due anni fa azzannava le semifinali al Roland Garros, o che l'anno scorso ha fatto sfracelli a maggio (Madrid, Roma e Norimberga) salvo inciampare nel torneo più atteso. Eppure, nonostante un'autostima che ha bisogno continuo di cure, vanta un ottimo bilancio nelle finali: cinque vinte e una persa (peraltro 6-4 al terzo, a Gstaad 2016 contro la Golubic). “Non so come mai: probabilmente più il torneo va avanti, più avverto fiducia. Fino a oggi è sempre andata benissimo. Questo successo mi toglierà un po' di pressione per i prossimi tornei, poiché avrò un bel po' di punti da difendere a maggio”.
STRANO INFORTUNIO E LAVORO EFFICACE
Incassato il successo, Kiki ha dato forfait al torneo di Lugano, si prenderà qualche giorno di vacanza e poi ripartirà tra un paio di settimane, al ricco WTA di Stoccarda. Secondo alcuni, l'olandese può essere una mina vagante al Roland Garros. Tennis Magazine l'ha definita possibile “Dark Horse”. E pensare che prima di Charleston aveva vinto soltanto quattro partite nel 2018. Ma c'era un motivo: “Dopo l'Australian Open mi sono ammalata. Non mi capita spesso, ma in Olanda c'è stata una vera e propria epidemia. Mi sono sentita un po' meglio a San Pietroburgo, ma poi mi sono dovuta ritirare a match in corso. Da lì, ho passato un paio di settimane a letto. Poi ho giocato a Dubai, ma è emerso il problema alla costola”. Enorme sfortuna: a causa della forte tosse, si è fatta male a una costola. “Non sapevo che potesse succedere, invece è possibile. È stato molto doloroso, dopo 6 settimane si sente ancora. A Indian Wells ho perso subito, ma non mi sono data per vinta e mi sono dedicata a un periodo di allenamenti efficaci e intensi. Ho lavorato molto bene tra campo e palestra, e questo ha pagato. Adesso sono pronta per giocare un match di tre ore: anzi, adesso sarei in grado di giocare un'altra partita”. Mica male, se poche ore prima avevi impiegato quasi tre ore per superare Madison Keys e poi avevi esorcizzato le tensioni di una finale così importante. L'Olanda ha una discreta tradizione tennistica, ma in campo femminile non ha ancora ottenuto risultati straordinari. La semifinale parigina della Bertens rimane il miglior risultato Slam negli ultimi quarant'anni, secondo soltanto alla finale colta da Betty Stove a Wimbledon. Chissà che non siano maturi i tempi per un impresa che – al paese – manca dai tempi di Richard Krajicek. Ma lui era un uomo…