Le indiscrezioni emerse durante il weekend hanno alimentato le discussioni sul futuro della Coppa Davis, 117 anni di storia e di gloria. Secondo molti, tuttavia, l'attuale format l'avrebbe trasformata in una reliquia, un ferrovecchio bisognoso di un salto in officina per tornare a splendere. Sull'argomento è intervenuto chi l'ha vinta da giocatore e oggi prova a fare il bis da capitano, anche se non gli riuscirà nel 2017. Gli Stati Uniti di Jim Courier, infatti, sono stati eliminati dall'Australia nel weekend di Brisbane. Courier è un tipo intelligente: lo mostra nei suoi commenti, o nelle interviste sul campo che realizza in alcuni tornei, vedi Australian Open. Per questo non c'è da stupirsi di una metafora piuttosto raffinata. “Il problema della Coppa Davis è che si tratta di un albero che sta cadendo in mezzo alla foresta, e non ci sono abbastanza persone intorno in grado di sentirlo o di vederlo – dice l'ex Big Jim – non siamo più nel 1915. Per questo bisogna essere più consapevoli di quello che il mercato attuale vuole e desidera”. Secondo Courier, i problemi principali della Davis sono due: le sedi più disparate dove viene giocata e l'enorme distanza temporale tra i vari match. In effetti, con i quarti di finale conclusi il 9 aprile, le semifinali si giocano a metà settembre. Cinque mesi sono un'eternità. Altro che raffreddare l'interesse per la competizione: lo si mette direttamente in frigo.
“IO ODIO IL CALCIO, PERO'…”
E poi c'è il problema delle trasferte anti-stagione: secondo alcuni, il fascino della Davis è proprio qui. Secondo Courier, è la rovina del business. “Negli Stati Uniti, la gente segue la Coppa Davis quando giochiamo in casa, ma è complicato che facciano altrettanto nel weekend del Masters di golf, quando le partite si giocano di notte”. Come abbiamo già scritto, la Federazione Internazionale ha in cantiere alcune modifiche: i singolari ridotti a due set su tre (riforma che dovrebbe passare) e le finali in campo neutro, in opposizione alla storia formula “home-and-away”. Courier non è d'accordo. A suo dire, la competizione dovrebbe cambiare ancora di più. “Dovrebbe giocarsi tutti gli anni, ma racchiusa in due settimane. Gli appassionati meno assidui inizierebbero a seguirla perché ne avrebbero sentito parlare e non dovrebbero più aspettare cinque mesi per il match successivo – dice Courier – io odio il calcio, ma quando arrivano i Mondiali io seguo i team americani, sia maschili che femminile, pur senza seguire la disciplina nel resto dell'anno. Ho espresso la mia opinione già da molto tempo, quindi non sto dicendo niente di nuovo. E non sono l'unico. Credo che sia la risposta giusta per salvare la competizione”. Su un piano strettamente commerciale potrebbe avere ragione, ma sarebbe una rottura troppo profonda con la tradizione, senza dimenticare che – come ha detto Yannick Noah – la Davis svolge un'importante funzione promozionale perché porta il tennis laddove il circuito non arriva, generando interesse e curiosità. Insomma, un bel rompicapo. E siamo certi che il dibattito andrà avanti almeno fino al 4 agosto, giorno in cui l'Assemblea ITF deciderà il futuro della competizione più discussa del nostro sport.