intervista di Andrea RadaelliDurante
un aggiornamento professionale della Estess, accademia del tennis per la
quale oggi collabora, abbiamo incontrato lo svedese Anders Jarryd, ex numero
cinque del mondo in singolare ma ricordato soprattutto come uno dei migliori
interpreti della storia del doppio; in tale specialità ha infatti vinto
tutte le prove del Grande Slam ed è stato numero uno del mondo per 106
settimane consecutive
intervista di Andrea Radaelli
Durante
un aggiornamento professionale della Estess, accademia del tennis per la
quale oggi collabora, abbiamo incontrato lo svedese Anders Jarryd, ex numero
cinque del mondo in singolare ma ricordato soprattutto come uno dei migliori
interpreti della storia del doppio; in tale specialità ha infatti vinto
tutte le prove del Grande Slam ed è stato numero uno del mondo per 106
settimane consecutive. Forse la sua unica “colpa” è di
essere nato in
un periodo in cui la Svezia, grazie all’esempio di papà Borg, ha
prodotto
un numero impressionante di campioni che hanno messo un po’ in ombra la
sua grande carriera.
Guardandolo negli occhi abbiamo subito
avuto la sensazione di essere di fronte ad un personaggio speciale. Anders
Jarryd ha occhi grandissimi, uno sguardo tutto particolare: che sia questa
l’arma segreta che ha sviluppato il grande timing sulla palla, rendendolo
famoso come uno dei migliori ribattitori e uno dei migliori doppisti di
sempre. Lo svedese nella specialità ha vinto ben 56 tornei del circuito
Atp, tutte le prove del Grande Slam ed è stato numero uno del mondo per
molti mesi. Ma è sbagliato ricordare Jarryd solo per il doppio. Infatti
il quarantunenne di Lidkoping, nella sua lunga carriera sviluppatasi tra
il 1980 e il 1996, ha guadagnato anche la quinta posizione mondiale nel
singolare ed ha vinto 8 tornei del circuito con un record di 396 vittorie
e 260 sconfitte. Il 1985 è stato il suo anno migliore, anno nel quale ha
raggiunto le semifinali a Wimbledon dove è stato sconfitto da Becker in
quattro combattuti set. Nella stagione successiva ha invece colto il successo
più prestigioso della carriera alle Wct Finals di Dallas, superando
nell’ordine
Tulasne, Nystrom, Wilander e prendendosi la rivincita sullo stesso Becker
in finale. Inoltre nel 1984 e 1987 ha vinto la coppa Davis con la Svezia
sugli Stati Uniti e sull’India, e ha fatto parte della squadra svedese
anche nelle finali perse nel 1983, 1986, 1988 e 1989. Svezia che, sulla
scia del fenomeno Borg, in quegli anni monopolizzava il tennis sfornando
un impressionante numero di campioni. Ed è proprio da qui che vogliamo
cominciare.
Cosa ha rappresentato e che influenza
ha avuto Borg su di lei e su voi svedesi negli anni settanta e ottanta?
“Borg ha portato un nuovo stile di tennis.
Ha avuto successi in tutto il mondo e, con i suoi capelli lunghi,
all’epoca
ha rappresentato una sorta di ribelle, come è poi stato Agassi
successivamente.
Tutti hanno ammirato il suo modo di giocare e il tennis è diventato molto
più popolare. Dopo l’avvento di Borg in Svezia sono stati
costruiti nuovi
campi indoor anche in piccoli paesi – cosa importantissima perché noi,
a causa del clima, siamo costretti a giocare al coperto 6/7 mesi all’anno
– e molti giovani si sono avvicinati al tennis fin dalla tenera età,
preferendolo
ad altri sport più seguiti come l’hockey su ghiaccio e il
football. Quindi
molti più ragazzi hanno avuto la possibilità di conoscere il
tennis e di
praticarlo frequentemente”
Quali sono i più bei ricordi della sua
lunga carriera?
“Il tennis per me è uno stile di vita,
ancora adesso mi piace molto giocare a tennis. Forse i migliori ricordi
sono legati alle vittorie in Coppa Davis perché rappresentare la propria
nazione da giovani e vincere è bellissimo. Ma ciò che più
mi soddisfa e
gratifica è il fatto di aver giocato, nella mia lunga carriera, con
diverse
generazioni di tennisti. All’inizio, nei primi anni 80, ho incontrato
Stan Smith, Nastase, Tom Okker, Barazzutti, poi Connors, McEnroe, Lendl,
di seguito la generazione di Becker, Edgerg, Wilander e, a fine carriera,
Agassi e Sampras.”
Il primo importante torneo da lei vinto
è stato a Linz nel 1982 in finale sul terraiolo spagnolo Higueras. Qual
è il suo parere sul grande sviluppo del tennis iberico di oggi?
“Non posso dirlo con certezza perché non
ne conosco bene i meccanismi e i programmi per i giovani, ma seguendo il
tennis sono veramente impressionato dai giocatori spagnoli. Sono molto
motivati, con grande fisico e tecnica e soprattutto migliorano sempre;
prima erano specialisti della terra rossa mentre adesso giocano bene su
tutte le superfici.”
E
cosa pensa del tennis svedese di oggi che produce sempre meno campioni?
“Stiamo faticando. Un problema penso sia
che la persone da noi si sono troppo abituate alle vittorie importanti.
Per un periodo di diciannove anni con Borg, Wilander ed Edberg abbiamo
vinto un torneo dello Slam in ogni stagione e il tennis è diventato
popolarissimo.
L’anno scorso quando Johansson ha vinto gli Open d’Australia non ha
avuto
i riconoscimenti che avrebbe meritato e questo è un peccato. In Italia
è stato lo stesso con Tomba nello sci: dopo di lui i tifosi volevano
vedere
solo vittorie senza accontentarsi di buoni piazzamenti. Noi prima avevamo
tanti giocatori a tutti i livelli, dai challenger ai Futures a quelli superiori.
Adesso nei tabelloni dei tornei challenger tra gli iscritti troviamo a
malapena uno svedese. Solo il diciottenne Robin Soderling è molto forte,
è circa numero 150 del mondo ed ha un grande futuro di fronte a lui.
Credo
che per i prossimi 4/5 anni non ci saranno svedesi di grande livello nel
circuito, ci sono alcuni buoni giovani ma ci vuole tempo prima di sentir
parlare di loro. Comunque il tennis ha perso in popolarità a discapito
di hockey su ghiaccio, football e golf.”
Che idea si è fatto sullo sviluppo della
tecnologia nel tennis. Lo migliora o lo condiziona? E non crede che ci
siano sempre meno giocatori carismatici come ad esempio McEnroe o Becker?
“Alcune persone dicono che il tennis di
oggi sia meglio di quello di ieri. Io non sono d’accordo, penso che i
giocatori di una volta siano stati bravi come lo sono quelli di adesso.
Secondo me se Borg giocasse ora sarebbe ancora numero uno o due del mondo.
Certamente erano altri tempi, si facevano pochi allenamenti, c’erano altre
racchette e altre palline. Credo che gli attrezzi si siano molto evoluti
e abbiano cambiato il gioco facendo andare la palla nettamente più veloce
e non dando più tempo per giocare colpi di fantasia. Prima, con le
racchette
di legno, bisognava imparare a giocare meglio a tennis, gli scambi erano
più lunghi ed era più importante costruirsi bene il punto; i
giocatori
avevano più soluzioni mentre adesso sembra che giochino tutti lo stesso
tipo di tennis. I campioni di oggi in effetti sono meno carismatici di
quelli di ieri anche per questa ragione. Comunque, vedendo il Master di
Shanghai dello scorso anno, mi sono reso conto che i migliori utilizzano
perfettamente tutti i colpi giocando in ogni angolo del campo: per diventare
un campione devi avere un repertorio completo anche alle altissime
velocità
del tennis moderno.”
Cosa
pensa del doping nel mondo del tennis?
“Sicuramente i controlli ci sono come
negli altri sport. Non credo si utilizzino molte sostanze illegali comunque
il fenomeno doping c’è, lo abbiamo visto, e Atp e Itf devono stare
molto
attente e essere dure nei confronti dei giocatori che ne fanno uso.”
Tornando al suo glorioso passato, chi
è stato il giocatore che ha sofferto di più?
“Direi Lendl che mi ha sconfitto ben 11
volte su 12. Io lo ho battuto solo nella finale del torneo di Sydney nel
1984 in quello che probabilmente è stato il miglior match che abbia mai
giocato (6-3 6-2 6-4 il risultato). Ma ripensando alla sconfitta contro
Becker nella semifinale di Wimbledon nel 1985, è un mio vero rammarico
non essere riuscito a fare ancora un passo avanti e raggiungere la
finale.”
Scorrendo i suoi risultati abbiamo visto
che a Indian Wells nel 1989 ha curiosamente incontrato Sampras e il suo
odierno coach Annacone. Crede che l’americano possa essere considerato
il più forte giocatore di sempre?
“E’ difficile fare una graduatoria. Certamente
scorrendo i risultati Sampras è stato uno dei più grandi. Ma
guardando
più indietro Rod Laver e Ken Rosewall hanno vinto molti tornei del Grande
Slam fino a quando, diventando professionisti, non hanno più potuto
giocarne
per 6/7 anni. Al termine di questo periodo ne hanno giocati e vinti altri,
quindi non sapremo mai quanti ne avrebbero potuti vincere in condizioni
normali.”
Se potesse creare un giocatore ipotetico
quali colpi di quali giocatori prenderebbe?
“La risposta è molto difficile e dipende
anche dalla superficie di gioco che si sceglie. Comunque come servizio
direi Sampras, qualcosa di Agassi ci deve essere, per le volée sceglierei
Edberg e penso che così possa già essere sufficiente.”
Lei è stato uno dei migliori interpreti
del doppio, disciplina spettacolare e divertente ma sempre meno seguita.
Perché?
“Credo che adesso non ci siano più tante
coppie affiatate che sappiano giocare bene insieme e il pubblico lo capisce.
I migliori giocatori del mondo non giocano il doppio perché guadagnano
già abbastanza con il singolare. E’ difficile ed è molto
faticoso giocare
entrambe le discipline, ma attenzione ad abbandonare il doppio perché
è
molto importante anche per il singolo e aiuta a diventare un giocatore
completo. Penso anche che sia più divertente vedere quattro giocatori in
campo rispetto a due.”
Ha rimpianti o crede di aver ottenuto
il massimo possibile?
“Forse ho giocato troppo, ho lavorato
duro ma guardando al passato credo di aver sofferto qualche volta
nell’aver
sempre giocato sia singolo che doppio. Se avessi un’altra
possibilità
viaggerei sempre con un fisioterapista personale per stare più attento
al mio corpo, curerei maggiormente la mia nutrizione e farei più
palestra,
più pesi e più massaggi. Rimpiango il fatto che adesso ci siano
molti più
modi per salvaguardare il corpo.”
C’è chi dice che la grande velocità
della palla che renda il tennis di oggi meno spettacolare. E’ arrivato
il momento di cambiare le regole del gioco?
“Secondo me il tennis non va cambiato
molto. Già adesso nei tornei indoor le superfici sono diventate un
po’
meno veloci, comunque non si vorrà mai vedere Wimbledon su un campo
lento.
Anche poter giocare solo un servizio invece di due non ha molto senso.
Credo invece che gli incontri possano essere accorciati un po’, anche
per favorire le riprese televisive dei tornei. Le televisioni hanno bisogno
di avere incontri più brevi e di saperne meglio la durata per
trasmetterli
maggiormente; anche questo contribuisce alla poca diffusione del tennis
sui canali pubblici. In alcuni Paesi fra cui Svezia e Italia il nostro
sport è trasmesso quasi esclusivamente sulle pay-ty: vedere Wimbledon su
una televisione a pagamento è un vero peccato.”
Cosa
fa adesso e quali sono i suoi programmi?
“Sono ancora coinvolto nel tennis e non
solo ad alto livello. Collaboro con la Accademia della Estess e ho alcuni
Tennis Camp soprattutto al di fuori della Svezia. Negli ultimi sette anni
sono stato l’assistente del capitano della squadra svedese di Coppa Davis
e inoltre gioco ancora alcuni tornei del Senior Tour e nelle leghe svedese
e tedesca.”
È più difficile essere un bravo allenatore
o giocatore?
“E’ molto difficile essere un bravo allenatore,
se sei stato un buon giocatore non significa che sarai un buon allenatore.
La chiave è lavorare su una prospettiva di lungo periodo. Un problema
è
che adesso i giocatori giocano troppo non avendo più tempo per allenarsi
o anche per stare a casa a riposare, cosa importante per la loro crescita
professionale.”
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