COPPA DAVIS – Dopo una carriera a lottare contro l'anonimato, James Ward vive la sua giornata di gloria. Batte John Isner e regala un punto d'oro alla Gran Bretagna. Figlio della working class britannica, ve lo raccontiamo riproponendo un articolo uscito lo scorso anno quando giocò in Italia.Alle 18.30, dopo essersi fatto attendere per tutto il giorno, Andy Murray è comparso sul Campo Centrale della Rotonda Diaz. Mezz’ora di allenamento leggero, sotto gli occhi attenti di Leon Smith. Alla fine, si sono scambiati un cenno d’intesa. Per questo, tempo permettendo, Murray scenderà in campo contro Andreas Seppi. Ha giocato tanti dritti, provando una soluzione più carica di topspin, certamente più adatta alla terra battuta. La condizione fisica è top-secret, visto che lo sparring (Colin Beecher) non lo ha fatto praticamente muovere. Da quando è sbarcato a Napoli, lunedì scorso, Murray ha monopolizzato l’attenzione di stampa e tifosi. Eppure non va dimenticato il numero 2, il principale indiziato a raccattare il terzo punto contro l’Italia: James Ward, occhi azzurri da bravo ragazzo, timidezza latente, numero 161 ATP. Segni particolari: nessuno. Molti lo conoscono per la vittoria su Sam Querrey al primo turno. Eppure, negli ultimi 4 anni, ha dato un contributo importante alla Davis britannica. Ha vinto 8 delle ultime 12 partite, elemento chiave per il raggiungimento di un quarto di finale che sembrava fantascienza. E’ chiaro che senza Murray non sarebbero arrivati fin qui, ma Ward può rivendicare il suo ruolo. “C’è stato un gran lavoro, negli ultimi anni, per arrivare a questo punto – ha detto – sono orgoglioso di aver vissuto tutto il viaggio e non soltanto le ultime partite. Faccio parte della squadra da quattro anni, e quando Andy non c’è stato ho dovuto giocare molte partite. Quando c’è lui, è giusto che abbia i riflettori addosso, ma anch’io ho vinto partite importanti. A volte mi sembra che siano un po’ dimenticate. Forse la vittoria contro Querrey è servita a ricordare il lavoro fatto negli ultimi anni”.
FEDELISSIMO DI LEON SMITH
A Napoli ci saranno 5.000 spettatori, con una nutrita presenza britannica. Un clima molto diverso da quello che Ward trovò al Devonshire Park di Eastbourne, nel luglio 2010, quando è iniziata l’avventura di Leon Smith in panchina. Dopo la drammatica sconfitta contro la Lituania, gli inglesi giocarono contro la Turchia per evitare il Group III, l’equivalente della Serie D. L’arrivo di Smith destò qualche perplessità, perché non aveva una particolare esperienza da giocatore. Aveva il pregio di essere scozzese, nonchè vecchio coach di Andy Murray. Forse speravano che sarebbe servito per convincere il leader a giocare. Ma dopo le sconfitte rimediate da John Lloyd, francamente, era difficile fare peggio. Però Smith ha fatto di più, creando un interessante spirito di squadra. Durante gli allenamenti ridono, scherzano, c’è un vivo buon umore. James Ward è stato cruciale nell’inversione di tendenza. “Siamo un’ottima squadra e lui ne fa parte, anche se è il capitano – ha detto Ward – si comporta come se fosse uno di noi. Sicuramente aiuta il fatto che sia giovane. Parliamo di calcio, scherziamo…è come un compagno”. Smith si è poi adeguato alla moda dei “selfie”, realizzando un autoscatto durante la cena ufficiale. Ward è un abituale frequentatore dei tornei challenger, ma quando c’è di mezzo la Davis riesce a tirare fuori il meglio. “Si è allenato alla grande, sta esprimendo il suo miglior tennis” ha detto Smith. Contro Fognini ne avrà un gran bisogno, anche perché è reduce da una scoppola al primo turno del challenger di Panama City: 6-2 6-1 contro Gastao Elias, non esattamente un fenomeno.
WORKING CLASS HERO
Tra le sue vittorie più importanti, si ricorda un successo su Stanislas Wawrinka al Queen’s. Era il 2011 e si spinse in semifinale, avvicinandosi a quei top-100 mai toccati (a inizio 2015 si è spinto al n. 101, oggi è 111, ndr). Esponente della working class (il padre è un tassista londinese), Ward ha intascato più soldi giocando i tornei di Dubai e Indian Wells (dove è entrato rispettivamente come wild card e lucky loser) che nei 18 eventi disputati dalla scorsa estate. Dopo aver annusato l’aria del grande tennis, è tornato sulla terra a Panama City. Però c’è un alibi: “E’ stato un notevole passo indietro – racconta – non mentirò, probabilmente è il peggior challenger di sempre. Il club era peggiore rispetto a quelli dei futures da 10.000 dollari. L’hotel era dignitoso, ma tutto il resto (cibo, campi, palle) era terribile. In quei casi non c’è nulla da fare: devi semplicemente provare ad adattarti”. Evidentemente non c’è riuscito. L'obiettivo di Ward è uscire dalle sabbie mobili, anche se non è facile né tantomeno scontato. Secondo Ward, sebbene Chris Kermode stia provando a dare una mano al circuito challenger, l’attenzione è sempre e solo rivolta ai migliori. “Dovrebbero esserci più challenger, capita spesso che dei tornei vengano cancellati durante l’anno, togliendo interessanti possibilità. Inoltre sono spesso da solo: Daniel Evans è l’unico britannico che gioca tornei challenger, ma abbiamo una programmazione diversa”. Il weekend di Napoli sarà una distrazione dalla dura realtà, dalla quotidianità dei tornei minori. James scenderà in campo, in diretta TV, contro Fabio Fognini. Non è da escludere che possa giocare sul 2-2 contro Andreas Seppi. In quel caso, tutta la Gran Bretagna tennistica punterebbe su di lui. E una famosa canzone di Jonh Lennon, poi riproposta dai Greenday, potrebbe diventare il suo inno. Non serve neanche citarla.
(*) Articolo pubblicato il 4 aprile 2014
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