L'ITF ha deciso: dal 2019 cambierà la struttura dei tornei d’ingresso al mondo "pro". Verrà creato l’ITF Transition Tour, per aiutare i giovani a ridurre drasticamente i 14.000 tennisti che attualmente competono per i punti ATP e WTA. Non potendo lavorare troppo sui montepremi, vogliono tagliare il numero di giocatori per garantire guadagni migliori. .Lasciatecelo dire: era ora. Il presidente dell’ITF David Haggery l’ha definita “la più grande riforma mai attuata nel tennis professionistico”, e se ne sentiva veramente il bisogno. A livello mondiale il tennis ha un’immagine vincente, alimentata da campioni capaci di superare i confini della propria disciplina per diventare icone dello sport in generale, ma quello che l’opinione pubblica spesso non vede è che non è fatto solo di super campioni strapagati, stadi enormi, confort di ogni genere e tanto tanto altro. Dietro c’è una grandissima fetta di giocatori che lotta e fatica nei tornei ITF, gli appuntamenti d’ingresso nel tennis professionistico, spesso dimenticati (o quasi) anche dalla stessa ITF. Ma finalmente qualcosa di sta muovendo. Preso atto che i giovani fanno sempre più fatica a emergere, e che le condizioni attuali del Pro Circuit stanno diventando insostenibili, il Board ha approvato una riforma che si candida a rivoluzionare il mondo del tennis “pro” di seconda fascia. Il fulcro del programma è uno: dalla stagione 2019 verrà lanciata una nuova categoria di tornei chiamata ITF Transition Tour, che andrà ad aggiungersi allo Junior Circuit (i tornei under 18) e al Pro Circuit, quello che attualmente comprende i Futures maschili e i vari ITF femminili, da 15.000 fino a 100.000 dollari di montepremi. Proprio i tornei da 15.000 dollari di montepremi – che attualmente compongono un buon 70% del totale – verranno tolti dal Pro Circuit per andare a comporre il nuovo circuito, studiato, come dice proprio il nome, per favorire la transizione dei giovani dai tornei juniores al mondo del professionismo. La peculiarità del circuito sarà quella di non offrire punti ATP e WTA, bensì dei punti ITF che andranno a formare un nuovo ranking, attraverso il quale i giocatori potranno garantirsi l’accesso ai tornei del Pro Circuit. I tornei del nuovo circuito verranno organizzati su scala locale, con una struttura che permetta a giocatori e organizzatori di ridurre il più possibile i costi.

Così facendo, l’ITF vorrebbe tagliare radicalmente il numero di giocatori che attualmente competono per conquistare un posto nelle classifiche ATP e WTA, creando un gruppo ristretto di non più di 1500 atleti professionisti, 750 per sesso. La riduzione dei giocatori servirà a garantire la possibilità di indirizzare meglio i premi, facendo in modo che sempre più atleti riescano a guadagnarsi da vivere col tennis professionistico. Per il momento non è stato reso pubblico nulla di più sul nuovo circuito: nella nota stampa dell’ITF si legge che da ora in avanti lavoreranno a stretto contatto con ATP, WTA e le varie federazioni nazionali, per dare una forma concreta all’idea, studiandone le modalità, i tornei e la struttura della nuova classifica. Sicuramente buona parte del progetto è già stata decisa, e probabilmente mancano solamente i dettagli, come i criteri di ammissione al Transition Tour (età minima, età massima), quanti posti nelle entry list dei tornei Pro riservare a chi arriva da “dietro”, e altre informazioni per capire meglio un progetto dagli indubbi pregi. Per il momento ha anche alcune incognite, visto che andrà sicuramente a influenzare l’attuale composizione dei calendari e potrebbe portare a una drastica riduzione del numero di tornei, ma se l’intenzione (intelligente) è quella di avere meno giocatori, è logico che il calo dei tornei vada di pari passo.
Per quanto attesa da tempo, la notizia di una rivoluzione in arrivo sorprende fino a un certo punto: gli organi che governano il tennis stanno lavorando attentamente per il futuro, valutando addirittura delle modifiche alla formula dello sport, ed è sacrosanto che vengano compiuti interventi importanti sul circuito minore ITF. È vero che si tratta di tornei con scarso appeal mediatico, che praticamente mai raggiungono le televisioni, valgono poco in termini di punti per la classifica e pagano ancora meno, ma costituiscono pur sempre la fetta più corposa dell’attività internazionale. Dati alla mano, dei 1.509 appuntamenti internazionali giocati nel 2016, la bellezza di 1.221 sono stati tornei ITF. Tutti ci passano, tanti ci restano un’intera carriera e nessuno è soddisfatto, perché i soldi che circolano sono troppo pochi e i giocatori a doverseli spartire troppo tanti, così spesso solo il vincitore riesce a chiudere la settimana in attivo, date le numerose spese da sostenere fra viaggi, hotel, pasti, incordature, lavanderia e quant’altro.

Da parte dell’ITF l’obiettivo principale è uno: creare un circuito sostenibile e di successo, che faciliti l’accesso dei giocatori al tennis professionistico. Sembra una banalità, ma è quanto di più lontano dalla situazione attuale, specie se per tennis professionistico si considera quella soglia in cui i giocatori smettono di rimetterci dei soldi e iniziano a guadagnare qualcosa. Per arrivare a studiare una situazione, l’ITF ha commissionato alla Kingston University di Londra un’analisi durata ben tre anni, nella quale sono stati presi in esame oltre 50.000 dati relativi alle stagioni dal 2001 al 2013. Fra i tanti punti valutati, i più interessanti sono i seguenti:

– È stato calcolato che attualmente frequentano i tornei ITF circa 14.000 giocatori, la metà dei quali non riesce a raccogliere nemmeno un dollaro di prize money. E non è che chi incassa qualcosa se la passi meglio: secondo le stime dell’ITF circa 13.400 giocatori (il 95%!) sono in passivo.

– Dei 162 milioni di dollari che mediamente circolano ogni anno a livello maschile, i primi 50 della classifica ATP si spartiscono un buon 60%, mentre a livello femminile le prime 26 del mondo guadagnano oltre la metà (51%) dei circa 120 milioni di prize money complessivo.

– L’analisi dell’ITF ha stimato che la spesa media per sostenere un anno di attività “pro” sia di circa 40.000 dollari, e che quindi il famoso “break-even” (la posizione in classifica necessaria per pareggiare entrate e uscite) è alla posizione numero 336 del ranking ATP e alla 253esima del ranking WTA. Vuol dire che tutti coloro che stanno dietro, anche fior fior di professionisti, per giocare a tennis ci rimettono dei soldi (*).

– È emerso che malgrado il numero di giocatori in grado di ottenere un ranking fra gli juniores sia in continuo aumento, non è cambiato il totale di quelli che poi riescono anche a conquistare una classifica ATP. Segno che le note difficoltà nel passaggio da junior a “pro” sono sempre d’attualità, e al momento il circuito ITF Pro non garantisce le possibilità che dovrebbe.
Per cercare di capirne di più dai diretti interessati, l’ITF ha realizzato due questionari: uno per i giocatori e uno per coach, organizzatori di tornei o responsabili delle varie federazioni nazionali. Il primo, tra l’altro, ci riguarda da vicino, visto che oltre il 5% degli intervistati sono giocatori e giocatrici italiani, secondi soli agli statunitensi. Il 95% di coloro che hanno risposto al questionario non riesce a coprire le spese con i soldi dei montepremi, e visto che ridurre le spese è praticamente impossibile l’unico modo per garantire una vita più dignitosa agli atleti pare quello di aumentare i prize money. L’ITF ci sta provando: nel 2016 ha lanciato la nuova categoria maschile da 25.000 dollari di montepremi e ritoccato verso l’alto i prize money di quelle femminili, e da quest’anno ha abolito i vecchi “diecimila”, generando un aumento di circa 1,5 milioni nel montepremi complessivo del circuito ITF. Ma la soluzione è ancora lontanissima. La gran parte degli intervistati concorda sul fatto che la fetta di soldi necessari per aumentare i prize money debba arrivare dalle sponsorizzazioni, ma nella stragrande maggioranza dei casi il richiamo dei tornei ITF, specialmente di quelli di montepremi più basso, non supera i confini locali. Di conseguenza, offrendo un ritorno molto limitato diventa complesso trovare investitori importanti. Quindi tocca arrangiarsi con quello che c’è, la cui divisione spacca a metà l’opinione dei giocatori. Ognuno porta acqua al suo mulino: c’è chi sostiene che andrebbero aumentati i premi per i primi turni, in modo da garantire maggiori entrate a un numero più alto di giocatori, e chi vorrebbe l’esatto opposto, ovvero che i soldi venissero divisi solamente fra chi arriva almeno ai quarti di finale, così che almeno i migliori possano iniziare a incassare delle cifre sufficienti per chiudere in parità.

Vista la situazione, e dato che difficilmente i soldi in palio potranno aumentare (e non è nemmeno del tutto sbagliato: normale che a ricevere il grosso sia chi lo produce, cioè i big), al momento la soluzione più sensata pare proprio quella di ridurre il numero dei giocatori, così da spartire gli stessi soldi fra meno persone, garantendo a tutti entrate maggiori. Il numero 400 del mondo non diventerà ricco, ma almeno smetterà di rimetterci dei soldi per essere un professionista di tutto rispetto in uno degli sport più importanti al mondo. Di sicuro, la riforma servirà a rendere più professionale un mondo che al momento accoglie troppi dilettanti, tanti dei quali senza i mezzi per competere a livello professionistico e senza la minima chance di costruirsi un futuro da giocatori. E chissà che magari, di riflesso, la riforma non possa finire per dare una mano anche alla lotta contro il match-fixing, togliendo di mezzo quei giocatori (e ce ne sono) che partecipano ai tornei con scopi diversi dal raccogliere punti ATP. La vera struttura del Transition Tour si scoprirà solo fra qualche mese, ma nel frattempo è già un grande risultato il fatto che l’ITF voglia provare a garantire un futuro – e una dignità – migliore anche ai tennisti di seconda fascia. A costo di sacrificare qualche giocatore che non riuscirà mai a guadagnarsi da vivere col tennis nel bene di chi invece ce la può fare. Ma non alle condizioni attuali.

(*) In realtà il calcolo sembra addirittura troppo generoso: il totale delle uscite non comprende il costo degli allenamenti, che lievita – e di molto – se il coach viaggia anche con il giocatore durante i tornei. Di conseguenza, anche se per la gran parte dei tennisti alla voce “entrate” vanno aggiunti i soldi di gare a squadre, tornei nazionali e magari anche qualche piccola sponsorizzazione, la stima non sembra troppo convincente. A naso il “break-even”, specialmente quello maschile, potrebbe risultare quasi un centinaio di posizioni più in alto).

IL SONDAGGIO SVOLTO FRA I GIOCATORI
IL SONDAGGIO SVOLTO FRA GLI ADDETTI AI LAVORI