Gli italiani e le difficoltà nei Masters 1000 americani. Negli ultimi 5 anni, abbiamo raccolto 35 eliminazioni al primo turno su 59 partecipazioni. DI LORENZO BALETTI
Andreas Seppi è l'unico azzurro ad aver passato un turno ad Indian Wells
Di Lorenzo Baletti – 19 marzo 2012
Ai nostri tennisti il cemento americano proprio non piace. A confermarlo, oltre alle dichiarazioni di alcuni di loro che manifestano apertamente la preferenza per la terra, anche i risultati degli ultimi cinque anni nei quattro Masters 1000 americani: Indian Wells, Miami, Canada e Cincinnati. Basti pensare che dal 2007 ad oggi, su 59 presenze italiane, si contano 35 sconfitte al primo turno e 20 al secondo. Da Indian Wells 2007 ad oggi nessun italiano è infatti mai riuscito ad andare oltre il terzo turno. A riuscire nella piccola impresa solo tre tennisti: Bolelli a Miami sia nel 2007 (con tanto di qualificazioni superate) che nel 2008, Fognini in Canada nel 2007 e Seppi a Cincinnati nel 2008. Significa che solo un terzo dei nostri tennisti è stato capace di vincere almeno due partite di fila. Sono infatti nove gli azzurri che in questi ultimi cinque anni hanno calcato un campo in cemento negli USA a livello Masters 1000: oltre ai già citati Bolelli (8 presenze) , Fognini (10) e Seppi (record con 16), si aggiungano ovviamente Volandri (5), Starace (10), Bracciali (2), Cipolla (3) e Lorenzi (4), insieme alla meteora Stoppini nel 2008 in Ohio.
Tra i quattro tornei in considerazione, nelle 21 edizioni disputate dal 2007, ce ne sono due che non hanno avuto neanche un italiano in tabellone: Canada 2009 e Cincinnati 2010. I due tornei estivi del Nord America risultano i meno amati dai nostri tennisti. In particolare il torneo canadese è stato giocato da appena quattro italiani diversi, record negativo, con due edizioni (2007 e 2010) in cui c’era un solo nostro rappresentante, il "solito" Fognini. Non va tanto meglio a Cincinnati, con un solo partecipante nel 2007 e appena due nel 2009 e 2011. Una enorme differenza rispetto ad Indian Wells e Miami, dove invece non ci sono mai stati meno di tre tennisti italiani nel main draw, con il picco in Florida nel 2007 e in California nel 2008 con ben cinque azzurri al via. Ovviamente, il fatto che i tabelloni di Indian Wells e Miami siano a 128 giocatori anziché 64 li rende più accessibili. Sono dunque ben 3 anni e mezzo che un azzurro manca nel terzo turno di un Atp 1000 degli Stati Uniti. Troppo tempo, soprattutto considerando alcune sconfitte. Avversari non irresistibili, sul cemento diventano montagne insormontabili: Reynolds, Gicquel, Sweeting, Gabashvili, Vassallo Arguello, Lapentti, Zeballos sono riusciti a trasformarsi in fenomeni quando hanno affrontato i nostri. La peggiore sconfitta l'ha infilata Potito Starace, che dal 2007 ha vinto solo due partite a fronte di otto eliminazioni al primo turno: da ricordare quella nel 2008 a Miami per mano di Sam Worburg, uno che in carriera ha vinto appena 5 incontri a livello ATP. Potito predilige la terra battuta, ma a volte sembra quasi che abbia un rifiuto psicologico a misurarsi su altre superfici. Anche Filippo Volandri ha sempre fatto molta fatica: per lui una sola vittoria su cinque partecipazioni, a Miami nel 2007. Decisamente migliori le prestazioni di Fognini, 6 vittorie e 10 sconfitte, e soprattutto Seppi, in assoluto il nostro tennista più continuo e dal maggior rendimento: per l’altoatesino appena 6 le sconfitte al primo round, a fronte di 9 secondi turni ed un terzo turno. Bravi a qualificarsi almeno una volta sia Lorenzi che Stoppini, che insieme a Bolelli e Fognini sono gli unici ad essere dovuti passare per il tabellone cadetto in almeno un’occasione. Magra consolazione, tuttavia, perché tra tutti nessuno gode di un bilancio positivo nei Master 1000 americani negli ultimi 5 anni. Solo Bracciali è in pareggio, con due vittorie e altrettante sconfitte.
Il fenomeno desta preoccupazione. Storicamente in Italia il tennis si gioca su terra rossa. Va benissimo, ma da qui ad escludere tutte le altre superfici c’è molta differenza. La recente campagna della FIT che invita i circoli a costruire campi in cemento è certamente l’inizio di un progetto mirato a farci uscire dal provincialismo della mono-superficie. Ma i primi a dover dare il buon esempio devono essere i nostri tennisti professionisti, che troppo spesso preferiscono il challenger sotto casa piuttosto che il torneo di spicco sul cemento. Ormai anche il tennis sta subendo il fenomeno della globalizzazione, e non esistono più i terraioli o gli erbivori. Per emergere è necessario essere competitivi su tutti i campi, compiendo sacrifici che magari non sortiscono effetti immediati ma che alla lunga sicuramente pagano. L’esempio della Spagna è lampante: se fino a metà anni ’90 i tennisti iberici non andavano neanche a giocare a Wimbledon, ecco che dalla seconda metà del decennio è cominciato un processo di evoluzione che ha portato giocatori nati sulla terra come Ferrero, Moya, Ferrer, Almagro, Verdasco e tanti altri a togliersi grandissime soddisfazioni anche sul cemento. Prima si comincia, prima si arriva ad un buon risultato. Tanto vale darsi da fare sin da subito.
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