Nel settembre 2009, Valletta Cambiaso ospitava la sfida tra l'Italia e la Svizzera di Roger Federer. Di quella squadra facevano parte Fabio Fognini (22 anni), Simone Bolelli (24) e Andreas Seppi (25). A completare il quartetto, Potito Starace. Nel match perduto contro la Francia, l'Italia aveva gli stessi tre giocatori, ma invecchiati di nove anni. A sostituire Starace c'è Paolo Lorenzi, che peraltro è coetaneo del campano. Con la possibilità di aggiungere un quinto elemento, in squadra c'era il giovane Matteo Berrettini, 22 anni giovedì prossimo. Pur riconoscendo che anche la Spagna è nella stessa situazione (a Valencia c'erano tre giocatori che nel 2009 avevano contribuito a vincere l'Insalatiera), è legittima un po' di preoccupazione per il futuro immediato. Detto che la formula potrebbe cambiare se dovesse passare l'incredibile riforma proposta dalla Federazione Internazionale, che dire di questa Italia? “Io mi aspetto che ci sia un ricambio generazionale. Ci deve essere – dice Corrado Barazzutti – speriamo che arrivino ragazzi in grado di dare una mano alla generazione che per anni ha portato avanti la nostra Davis”. Trasportando nel 2018 le età che avevano Fognini, Bolelli e Seppi nel 2009, il quadro sembra meno positivo rispetto ad allora. Oltre al già citato Berrettini, i migliori under 25 sono Lorenzo Sonego (n.158), Stefano Napolitano (n.176), Matteo Donati (n.262) e Gianluigi Quinzi (n.285). Considerando l'invecchiamento progressivo del tennis, è corretto inserire in questa lista anche Marco Cecchinato e – soprattutto – Stefano Travaglia e Salvatore Caruso: rispetto a Cecchinato sembrano avere qualche cartuccia in più sulle superfici veloci. Avranno tempo per farci cambiare idea, ma la sensazione è che la nuova generazione sia – almeno per ora – un gradino sotto rispetto a quella degli attuali titolari.
“ABBIAMO DEL BUON MATERIALE”
Pur convinto della necessità di un ricambio generazionale, Barazzutti ha preferito non fare nomi. Però ha lasciato trapelare un moderato ottimismo: “Attualmente ci sono ragazzi che possono giocare molto bene – dice – ovviamente non ho la sfera di cristallo. Ce l'avessi, mi vedreste al Circo Togni. Però posso dire che qualcuno di loro è già stato convocato: qui c'è Berrettini, in Giappone c'era Fabbiano (che però sta per compiere 28 anni, ndr). Prima di qualsiasi ragionamento, tuttavia, andrà capito se le nuove regole passeranno”. Incalzato sull'argomento, “Barazza” ha però fatto una mezza ammissione riguardo alla generazione di mezzo, ovvero quei giocatori nati tra il 1987 di Fognini e il 1995 di Sonego e Napolitano. “Forse non c'è stato un materiale umano così buono. Però direi che quello attuale può definirsi molto buono”. L'argomento è cruciale, poiché Fabio Fognini non può continuare a portare il peso della nazionale sulle sue spalle di neopapà. Negli ultimi anni, è stato il simbolo della nostra nazionale. Un simbolo arricchito dalla tenuta Hydrogen (vestita anche da Bolelli) che fa molto sciovinismo, con spalle verdi, petto bianco e calzoncini rossi. Radio spogliatoio informa di un Fabio furioso dopo la sconfitta in quattro set contro Pouille, ma in conferenza stampa è apparso tranquillo, col sorriso di chi ce l'ha messa tutta, sia pure con 87 errori gratuiti sul groppone. Fabio la sa, come sa di aver avuto mille chance nelle tre ore di partita (“Anche nel secondo set: pur avendolo perso 6-1, ci sono stati tanti game combattuti”). Il rammarico va a quei tre setpoint sciupati nel terzo set, anche se in due ha servito alla grande Pouille. “Ho perso contro un top-10 e ho comunque mostrato un livello piuttosto alto. Adesso sono più maturo, ci ho messo la faccia e forse è un peccato – ripensando al passato – che a volte abbia fatto il cavallo pazzo, perché potrei avere avuto un ranking ancora migliore. Però sono tranquillo e guardo avanti, ai tornei sulla terra battuta”. La stagione di “Fogna” adesso prevede un po' di riposo con la famiglia (a Genova c'era anche Flavia Pennetta), poi il Masters 1000 di Monte Carlo e un'altra settimana di pausa per caricarsi in vista del trittico Monaco di Baviera-Madrid-Roma.
“A TOGLIERE LE CASTAGNE DAL FUOCO CI SI PUO BRUCIARE”
Alla Davis ci penserà l'anno prossimo, forse. Fognini non è stato esplicito come Pouille, che ha promesso di boicottarla qualora dovesse passare la riforma, però – ai microfoni di Sky Sport – Fabio ha detto che, nel caso, farà “le sue valutazioni”. Pur senza esplicita domanda, ha chiarito che la riforma non gli piace e di aver già ribadito il suo pensiero in tre occasioni: Morioka, Indian Wells e Miami. Con il volto seminascosto da un cappellino da baseball, ha pronunciato una frase importante: “Per me la Davis non è una questione di soldi. I soldi li guadagno vincendo partite nei tornei individuali”. Una dichiarazione d'amore per una competizione che spesso lo ha visto togliere le castagne dal fuoco all'Italia. “E mi piace farlo. A volte ce l'ho fatta, a volte no, come qualche anno fa in Kakakhstan. Certo, giocare 3 su 5 per tre giorni si fa sentire. Nel provare a togliere le castagne dal fuoco può capitare di bruciarsi”. Il rammarico principale dell'intero weekend, anche secondo Barazzutti, è stato un doppio troppo distante dai livelli abituali. Ma qui torniamo al discorso iniziale: se la panchina è più corta – oppure offre meno garanzie – succede che i francesi possano schierare un doppio che lasci a riposo i singolaristi. “Mentre noi siamo più risicati” ha detto Barazzutti a Sky, alludendo agli straordinari costantemente richiesti a Fognini. Si chiude così, con un pizzico di malinconia, l'avventura degli azzurri nella Davis 2018. Chiunque ami il tennis, incrocerà le dita i prossimi 13-16 agosto, nella speranza che la Vecchia Coppona d'Argento non venga sventrata in nome del Dio Denaro. L'augurio è che a settembre si torni a ragionare sul sorteggio per la nuova edizione, in cui gli azzurri manterranno il posto tra le teste di serie. Questa è una buona notizia, il giusto premio a una squadra che ha raggiunto i quarti per cinque volte nelle ultime sei edizioni. Averli superati soltanto una volta fa pensare che la nostra dimensione sia questa: non è un disonore, anche se è legittimo sperare in un miglioramento. Ma prima di pretenderlo, è giusto verificare la qualità di chi sta per arrivare.