Le nostre Fab Four si sono ritirate, sono prossime al ritiro o in piena crisi di identità. Dietro di loro, un buco generazionale enorme. Ma come si è arrivati a questa situazione? La FIT non ha voluto parlare, né farci varcare il cancello del Centro Tecnico di Tirrenia. E allora abbiamo scomodato tecnici, coach ed ex giocatrici. Ne è uscito un panorama allarmante.Facciamo finta che sia Capodanno. Mettiamo che Roberta Vinci (34 anni abbondanti) dia sèguito alle intenzioni, dichiarate e poi differite, di smettere; che Camila Giorgi non sia riuscita a risalire e, comunque, che la sua sia una carriera da tennista definitivamente apolide. Si può proseguire? Purtroppo sì: Sara Errani ha vissuto l'incubo del letrozolo: a parte la squalifica, è precipitata fuori dalle top-200. L’età è la stessa di Karin Knapp (143), che ha rinnovato il contratto col bisturi e ha festeggiato i trent’anni col tutore; Francesca Schiavone lascerà il tennis, e forse pure l’Italia, a fine anno. Il risultato è zero, come le giocatrici italiane che, nella peggiore delle ipotesi, potrebbero essere iscritte agli Australian Open 2018. E se rischia di accadere a poco più di due anni, non a dieci, dalla finale degli Us Open tra Pennetta e Vinci, è il caso di domandarsi se sia capitato qualcosa.
Un fatto è solare: in quegli stessi dieci anni, l’unica nuova top 100 – esclusa la Giorgi, di cui tutto si può dire tranne che sia “figlia del sistema” – è Sara Errani, con ingresso nell’anno 2007. Una ragazza cresciuta in Spagna da coach spagnoli: dopodiché, stop. Ci si può accontentare degli esercizi di scusologia? “Passaggio generazionale”, “Chiusura di un ciclo”, “Invecchiamento generalizzato”, “La crisi non tocca solo noi”. Sono frammenti di verità: prima dell’estate del 2009 con Flavia Pennetta, effettivamente, nessuna giocatrice italiana era mai entrata nelle prime dieci al mondo; da quell’anno in poi, un boom straordinario ha regalato al tennis italiano successi clamorosi. Ma la scusologia non può respingere un fiume con le mani: col rispetto dovuto alla dolce Jasmine Paolini e la concessione che i trionfi di queste stagioni abbiano rappresentato un picco inatteso, se un’atleta con una classifica buona per i tornei da 60.000 dollari potrebbe rappresentare, dopodomani, quanto di meglio l’Italia possa offrire al mondo, se non si vede un problema è perché lo si vuole schivare. Non era normale che un’italiana giocasse una finale in un major e tra Schiavone, Errani, Vinci e Pennetta ne sono arrivate tre (più due vittorie) in sei anni? Sì. Non è normale che ci si possa trovare dietro la Turchia di Buyucakcay (102) e Soylu (162) e considerarlo il naturale corso degli eventi. Anche a volersi rimangiare, insieme alla cantilena del “movimento in salute”, il mito dell’emulazione, che avrebbe dovuto moltiplicare le presenze italiane nella Wta grazie al traino dei successi internazionali (1).
Per essere una federazione che investe sulla comunicazione, la parola del presidente sul settore tecnico – a Tennis Italiano ha ammesso di avergli dedicato attenzioni marginali – sembra riflettersi, anzitutto, sul sito dell’ISF, acronimo di Istituto Superiore di Formazione, la scuola che dovrebbe seguire i giovani talenti fino a 16 anni, per poi “passarli” a Tirrenia. Seminascosto nel portale federale, vestito di una grafica vetusta, in homepage presenta ancora i “corsi di aggiornamento 2012” e una galleria che consta di due immagini sgranate, scattate col cellulare al compianto Roberto Lombardi (2).
Alla voce “struttura”, si legge «pagina in costruzione» ma il responsabile dell’ISF c’è e si chiama Michelangelo Dell’Edera. Tecnico regionale del ’92 al 2001, fu nominato nei giorni del miracolo di Parigi 2010, che commentò così: «La validità del sistema Italia è testimoniata dal recente successo della Schiavone». Sul Pdf settimanale edito dalla Fit, mese di marzo 2017, Dell’Edera sostiene che i recenti risultati delle ragazze italiane, seguite dall’ISF, nella Winter Cup dimostrano «il livello generale del nostro movimento, che ci vede tra le migliori 3-4 nazioni in Europa a livello junior» anche se, poco dopo, puntualizza che «fino ai 16 anni i risultati devono rimanere in secondo piano rispetto alla crescita tecnica, tattica, fisica e mentale». Forse ci si è arresi all’evidenza che le gare delle ragazzine più piccole non garantivano neanche carriere di bassa tacca, ed è un progresso notevole. Per anni, parecchi tecnici federali hanno magnificato le virtù di centinaia di baby presunte stelle, figlie del “movimento”, dandole talora per già arrivate o, peggio, fermandosi al già ottenuto: se, dopo i 18 anni, si perdevano per strada dopo aver fatto faville al Lemon Bowl, la colpa era delle atlete, incapaci di sbrigarsela per conto proprio nel Tour.
Dell’Edera ricorda ancora che, negli ultimi mesi, sono stati assunti nuovi tecnici nei quattro centri periferici CTP (Palazzolo, Vicenza, Foligno, Bari); su cosa si sia fatto, in questi anni, per creare una successione anche minore ai quattro fenomeni Wta, sulle dichiarate novità del sistema e sulle coperture finanziarie, su quantità e qualità dei tecnici messi sotto contratto, sulla decisione di cambiare metodo senza individuare responsabili di una gestione improduttiva, avremmo voluto ascoltare il punto di vista di Michelangelo Dell’Edera. Dopo aver accettato di rispondere alle nostre domande, però, e nonostante il disappunto per «gli investimenti della Fit, ingenti ma spesso poco pubblicizzati», ha preferito non pubblicizzarli. Schermandosi dietro un’autorizzazione da richiedere all’ufficio stampa e inoltrata al nuovo direttore della comunicazione Fit Piero Valesio, cordiale ex decano di Tuttosport, dal quale chi vi scrive non ha ottenuto la cortesia di una risposta. C’è da sperare che non abbia ereditato le maniere del suo inqualificabile predecessore.Abbiamo rivolto le stesse domande ad altri tecnici, presentando loro le nuove iniziative Fit. Silvia Farina, ex numero 11 Wta e per quattro anni responsabile part-time delle atlete di under 14 e 16 per la federazione, la pensa così: «Qui non c’è un passaggio, c’è proprio un buco generazionale. Che il gruppo delle più forti sarebbe arrivato a fine carriera lo si sapeva da anni: non mi piace puntare il dito, del resto la generazione che parte da me e poi arriva a Schiavone, Pennetta, Vinci aveva iniziato in una situazione diversa, senza team privati, oggi è cambiato molto. La federazione? Credo sia molto generosa e dia fin troppo, soprattutto a persone che non lo meritano». Bisognerebbe inventarsi una grande mamma, un super centro tecnico nazionale, e chiudere le ragazze in collegio? Non è il parere di Laura Golarsa, ex numero 39 Wta, fondatrice della omonima Academy all’Harbour Club di Milano e voce tecnica di Sky: «Il grande centro tecnico non è una mossa vincente. Se prendi una ragazzina promettente e la estrapoli dalla sua vita, sbagli. La differenza la fa il coach, tutti i giorni. Io, oggi, mio figlio di 14 anni non lo manderei né a Tirrenia, né a Latina, né a Formia: ma non perché ci trovo Giancarlo Palumbo (tecnico Fit a Tirrenia con lunghissima anzianità di servizio, ndA) o la Golarsa. Perché lo tolgo da un percorso di vita anche umano, che è importantissimo». Dello stesso avviso è la Farina: «Non dico si dovrebbe tornare a una struttura centrale, anche perché è cambiata la mentalità: a Tirrenia ho visto ragazze che erano sofferenti, frustrate, tristi, con poca voglia di vivere il tennis in maniera anche gioiosa». Quindi? «Quindi il sistema – continua Golarsa – dovrebbe investire su persone qualificate e lasciarle dove sono: se la federazione mi dicesse che io, e altri trenta come me, ci dobbiamo trovare una volta al mese per creare un progetto e poi, a casa, mi supportasse per lavorare con ragazzine di 14 e 15 anni, mettendomi a fianco qualcuno che io possa a mia volta formare, lo farei subito».
E qui nasce il problema. Non basta lasciare le ragazze il più possibile dove stanno, cosa che la Fit pare aver finalmente capito, riservando l’accesso a Tirrenia ad atleti vicini alla maggiore età. Bisogna preoccuparsi di chi le prende per mano. Dell’Edera, sul Pdf federale, dice che «il primo approccio con i ragazzi arriva tramite i fiduciari, passati in un anno da 64 a 129» e che, per loro tramite, «l’attività del settore tecnico deve arrivare nelle scuole tennis riconosciute». Sembra altro, rispetto alle idee di un maestro come Ugo Pigato, ex 373 Atp, responsabile dello Junior Tennis Milano e padre di Lisa, classe 2003, tra le migliori della categoria: «I fiduciari sono aumentati? Ottimo. Il fiduciario, però, va a verificare se è tutto in ordine, se il circolo è a posto coi documenti, se ha dichiarato correttamente i ragazzini che giocano: nella sostanza, fa molto altro oltre il lavoro tecnico. Ma poi: se sul territorio ci sono già coach che hanno lavorato bene, come posso essere io con mia figlia Lisa e Gloria Contrino, o Laura Golarsa con la sua accademia, che bisogno ho di portare un tecnico nuovo dell’ambiente, che supervisioni? E con quale occhio? Io vorrei un esperto: se mia figlia non avesse giocato la finale ai campionati under 11 non sarebbe stata convocata a Tirrenia, perché nessuno avrebbe pensato che fosse forte».
Individuare tecnici qualificati sul territorio, pagarli perché seguano a tempo pieno le promesse: sembra facile, anzi, lo è. Ma costa caro. E tutto indica che le offerte della Fit non siano state sufficienti a convincere coach di alto profilo a dedicarsi alla causa, rinunciando anche solo alle lezioni private. Del resto, se un maestro pigro e dal pedigree di una riga può lavorare a 30 euro l’ora – in nero, di regola – facendo palleggiare i soci, anche solo quattro ore al giorno fino al venerdì, e portare a casa 2.400 euro al mese, chi glielo fa fare di mollare tutto per andare via di casa a lavorare di più e guadagnare di meno? Una ragazzina che voglia provare a fare attività internazionale spende mediamente 30.000 euro e altri 15.000 per un accompagnatore che, solitamente, ha un curriculum tutto da scrivere, se ha rinunciato a incassare quasi il doppio restando a casa a insegnare il dritto al suo commercialista. Dice Silvia Farina: «Mancano tecnici adeguati. Quelli bravi, che ci sono, immagino chiedano tanti soldi. Uno come Francesco Cinà, per esempio, che ha una struttura, un nome, perché dovrebbe lasciare quello che ha? Sarebbe utile indirizzare soldi e investimenti su quelle persone che hanno tempo, personale, voglia ed esperienza per portare in alto non una singola, ma un gruppo». Golarsa: «La federazione ha lavorato benissimo nel settore marketing e commerciale, hanno trovato le casse vuote e ora sono in esubero. Il torneo di Roma è fantastico, crea utili: quindi non è un problema di costi. Ma di scelte: fossi il presidente, deciderei che è il momento di prendere, che so, il 50% dell’attivo e creare un sistema come quello che ho spiegato, che produca giocatori. È un discorso che ho fatto più volte in Fit, anche a Michelangelo Dell’Edera. Io non posso sobbarcarmi il costo della cosa: posso dare la mia competenza al servizio del risultato. Ho creato il mio sistema di lavoro e faccio funzionare l’Accademia, ma non posso finanziarli io, i giovani». Silvia Farina: «La federazione, secondo me, ha non l’obbligo ma il dovere di tirare fuori dei giocatori, e ha le risorse economiche per finanziare il settore tecnico. Se poi gli atleti che emergono arrivano dal centro o da team privati, non importa. Ciò che conta è che possano dare continuità di risultati nel Tour e in Fed Cup: alla fine, il tennis è quello giocato ad alti livelli. E se mancano giocatori calano anche i praticanti, perché il nostro è uno sport che è trainato dai risultati dei campioni, come hanno fatto Schiavone, Errani, le Fed Cup vinte. Se non c’è qualità la gente si disamora, è normale».
E così, per esempio, Susan Bandecchi, nuova allieva classe ’98 di Laura Golarsa, nonostante problemi di budget "ha fatto passi da gigante" e ha appena battuto Alice Matteucci, del ’95, allenata per tre anni dalla federazione con Garbin» nell’Itf di Solarino. Prima di esultare per una nuova stellina, tocca precisare che Susan è svizzera. «Ma a me non interessa criticare – prosegue Golarsa. Dico che la maniera per uscire da questa situazione c’è: metti delle regole, coinvolgi persone di livello, finanzi il progetto, punto. Se dopo quattro anni non ho raggiunto il risultato, vado a casa. Come puoi fallire, se fai così?». Sarebbe stato utile domandarlo a chi ha fallito. «Portare una ragazza promettente nel Tour non è così difficile. È che non si è fatto niente per crescere un sistema: Vinci, Pennetta, Errani, secondo me, non sono il prodotto di un sistema. Dopodiché, non mi preoccuperei troppo: le nostre hanno vinto tardi e, se mi dessero due o tre ragazzine under 16 di buon livello, in tre anni le potrei portare nelle prime cento Wta. Invece di dannarci per quello che non abbiamo, preoccupiamoci di ripartire. C’è un buco generazionale? Pazienza: non è che veniamo depennati. Basta ripartire dal vivaio, come feci io a Milano quando iniziai dagli under 14; in quattro anni, avevo otto giocatori con classifica mondiale: Sinicropi, Bega, Molina, Petrone, Tonello, Albonetti, la Brianti, la Dentoni. Sette di quegli otto, li avevo cresciuti io». Aggiunge Ugo Pigato: «Credo che la Fit sia organizzata bene, è attenta a seguire le giovani, aiuta economicamente: nel mio caso, finanzia trasferte onerose per far giocare mia figlia. Ma, senza offesa per nessuno, in questo settore manca qualità. Detto francamente, il tecnico vero è quello che ha un occhio davvero buono per vedere quello che al maestro qualsiasi sfugge: come Stefano Pescosolido, il nuovo responsabile CPA (centro aggregazione provinciale, ndA), che è addirittura un lusso per noi, visto il curriculum che si porta dietro. Sulle difficoltà di far diventare una donna professionista: avere un’allieva e portarla nel Tour offre tantissime insidie ma, rispetto agli uomini, non è così complicato. Ci sono atlete in sovrappeso, altre lente, altre non sanno fare il backspin, altre servire…. E tra le ragazze è più facile vedere chi ha la stoffa».Se il segreto è decentrare, a parte i CPA, non esistono già i centri tecnici permanenti? «I CTP? Non voglio fare polemica – dice Golarsa – però mi fermo su Palazzolo. Se un centro riconosciuto nella macroarea del nord come centro tecnico, in dieci anni, non ha ancora tirato fuori un giocatore o una giocatrice, e viviamo ancora sulla leggenda di Bolelli diciassettenne… E poi i centri vanno strutturati con gente competente, che si assuma responsabilità. Diamo per scontato che a Palazzolo ci siano i giocatori del futuro: lo staff tecnico chi è? Dopodiché, non difendo a priori gli ex professionisti, anzi: faccio parte di una generazione in cui ci sono colleghi che aspettano solo che la federazione dia loro uno stipendio, senza aver fatto formazione». Ugo Pigato: «Mia figlia maggiore, Giorgia, era una ragazza promettente, 2.4 a 15 anni. Era stata convocata al centro, dopo sei mesi aveva l’ernia del disco. L’ho ripresa e siamo riusciti a farla rigiocare, con calma e tanto lavoro di riabilitazione. E se vado a guardare gli infortuni delle sue coetanee, sono troppi. Io voglio restare in federazione ma… ho già dato: la strada per mia figlia minore, Lisa, è la collaborazione tra il coach, cioè io, e la Fit. Stabiliamo un progetto condiviso, anche tecnico: ma sono in disaccordo con l’idea che, da un certo punto in poi, la federazione prenda un’atleta e la porti via: tanto più se a casa tua hai uno staff agonistico, i preparatori, i campi. Non lo dico perché è mia figlia, ma perché sono quello che l’ha portata lì, dimostrando di poterlo fare. Per non parlare dell’ambiente, la scuola, la vita di famiglia: il contesto aiuta, come il non far pesare subito la vita da professionista a ragazze che non si sa come possono reagire. E semmai ragionare se, una volta arrivate a 17-18, si possono affidare alla federazione».
Un’altra questione fondamentale è la qualità della materia prima. L’eccellenza delle giovani italiane è tutt’altro che certa. «Secondo me, in questi anni – dice Farina – è mancata una scrematura. Le ragazze che arrivano a Tirrenia hanno grosse lacune per cui, invece di lavorare su certi aspetti, devi ricominciare da zero. In altre nazioni, per esempio nella Repubblica Ceca, hanno una scuola: tutte servono bene e allo stesso modo, hanno un gran rovescio a due mani. Sarà opinabile, saranno tutte inquadrate, ma intanto è una scuola. E funziona. Possibile che non ci sia una delle nostre, a livello juniores, con un servizio decente? Vuole dire che il problema è su chi insegna, che ci sono troppe voci. Noi siamo un po’ random, andiamo in base alla giocatrice. La federazione si è impegnata molto sull’attività giovanile, da quando ha capito che bisogna sfruttarla come crescita perché le under 18 forti sono già pronte per il Wta, il passaggio è brevissimo. Però… non vincono!» La sfida diventa ancora più complicata, se non si può lavorare con le ragazze su base quotidiana servendosi di tecnici di eccellenza: «Trovo molto positivo – dice Golarsa – che la Fit abbia coinvolto ragazze come Garbin, Camerin, Serra Zanetti. Però Tathiana, per dire, che giocatrici ha “in mano”? Per me, avere “in mano” qualcuno significa seguirlo tutti i giorni». Sarebbe stato interessante ascoltare il parere di Tathiana Garbin, nuovo capitano di Fed Cup e responsabile del progetto over 18 femminile: non ha accettato di rispondere.
Dello stesso avviso, sulle carenze di base, è Barbara Rossi, coach e voce di Eurosport, che con Maurizio Riva ha passato una vita a crescere talenti privatamente (dalle sue parti sono passate anche Schiavone e Pennetta) e ora, di casa al Quanta Club, per continuare a dedicarsi all’attività agonistica deve risparmiare sul sonno e sulle pause: «Ho l’impressione che, tecnicamente, non si lavori bene. Se arrivassero ragazze ben formate, si ricreerebbe un circolo virtuoso. I maestri di base devono essere bravi, in questo senso: quando vedo le ragazzine francesi under 12, mi rendo conto di quanto siano avanti dal punto di vista tecnico, spesso sanno già fare tutto. Le nostre crescono con gravi problemi: una non sa servire, l’altra giocare la volée…» Pigato: «Quando vedo i tecnici federali francesi ho la pelle d’oca: chi segue i giovani è un ex professionista dall’ottima carriera. Ed è gente ben pagata, perché altrimenti si apre la sua accademia e lavora per conto proprio. Uno standard di insegnamento italiano? Per me è molto semplice, lo faccio già da responsabile della scuola dello Junior Tennis con più di 400 bambini. Abbiamo una impostazione, dalla scuola Sat al più bravo che abbiamo. Dopo tre anni, so riconoscere lo “stampo” Junior. Questa cosa dovrebbe succedere su scala nazionale, coi migliori ragazzini. E non è che la federazione non lo sappia: il problema è se si è in grado di allenare su queste basi. Cosa ne sa uno, per esempio, se ha giocato in terza categoria, di come si fa a fare il punto quando vai a servire, solo perché lo hai studiato? A me, un giorno, capitò di giocare al Foro Italico contro Petr Korda: sapevo che, se non mettevo la prima, non facevo un quindici, perché mi “entrava” sempre. Vallo a spiegare a uno che non ha mai avuto quel tipo di esperienze».
«È che non c’è proprio materiale – aggiunge Silvia Farina – Ho girato tanto per tornei e ciò che manca è la qualità. Alla fine, si lavora su un atlete mediocri e si finisce per “sfondarle”, mentalmente e fisicamente. Infatti a una certa età alcune smettono, alcune si perdono, altre si fanno male… Oppure ci sono quelle come Trevisan e Paolini, che sono passate al Wta ma, per ora, non “vanno”. Ai tempi, avevo seguìto Tatiana Pieri e Federica Bilardo, sono le due ragazzine del ’99 che giocano un pochino meglio: ma non escono né da Tirrenia né dai centri CTP, perché una è allenata dal padre, l’altra a Palermo dal coach della Vinci (Francesco Cinà, nda). Vivono la loro quotidianità, a casa, coi genitori: è anche vero che se lo possono permettere, però sono quelle che stanno facendo meglio. Quando vidi, per esempio, Federica Rossi ed Elisabetta Cocciaretto (3), da under 12 e inizio under 14, mi dissi: ecco, finalmente due che giocano bene. La Rossi aveva un gran tennis ma era fragile mentalmente, anche se sono cose che si possono risolvere. La Cocciaretto si è persa: l’avranno fatta giocare troppo, s’è fatta male, sta di fatto che non l’ho più vista».
Dell’Edera informa che la Fit ha «stretto un accordo con Dalibor Sirola, preparatore fisico di Milos Raonic, per la parte atletica, così come con Craig O’Shannessy per la match analysis e con Lorenzo Beltrame, ex allenatore di Sampras, Seles e Courier, per l’area mentale». Avremmo voluto sapere per quanti giorni l’anno lavoreranno per la Fit e quale percentuale delle risorse del settore è destinata a queste iniziative. «Ma se tu, federazione, hai i soldi – aggiunge Farina – devi investire sui tecnici. Per spostare qualcuno da casa e da un lavoro che rende, devi dargli un incentivo, non può essere solo per passione. E poi devi investire sulla formazione: si fanno i corsi, sì, ma i tecnici importanti vanno formati. Io stessa, ex professionista, davo la mia esperienza alle ragazzine che seguivo, ma non è che qualcuno mi avesse formato. Alla fine, manca anche questo: persone che formino i tecnici di livello, che sono pochi. Invece trovi il fisioterapista e il massaggiatore fissi, per esempio: ma io, da ragazzina, mi massaggiavo da sola».
Con una parentesi di quattro anni, le giovani italiane sono seguite da una struttura centrale federale (che ha in Tirrenia il suo vertice) dal 2004. Tredici anni. Per ritrovare un’atleta di alto livello, anche tra i tecnici federali che ufficialmente non parlano, la misurazione si fa in anni: chi dice dieci, chi almeno cinque. Durante la primavera del 2017, nelle prime cento giocatrici Wta, che è approssimativamente il “taglio” per giocare gli Slam senza doversi qualificare, ci sono cinque ragazze del 1997, sei del 1996, sette del 1995; dieci sono nate nel 1994, sette nel 1993, otto nel 1992. La somma fa 43, 44 con Cici Bellis, classe ’99, eccezione in un Tour in cui le lolite – giustamente, grazie alle nuove regole – non trovano quasi più posto. Quasi il 50% delle migliori classificate al mondo ha meno di 25 anni e queste ragazze rappresentano 22 Paesi, dagli Stati Uniti al Montenegro: l’Italia non c’è.
Sul materiale federale, nazionale e locale, si leggono grafici in cui vengono tracciate strade didattiche per la crescita ottimale delle giovani agoniste. Se siano corretti o meno, in un mondo pieno di incognite, è difficile a dirsi. Sicuramente non si trova mezza riga di autocritica: come se, fino a ieri, il sistema fosse stato gestito da estranei. Come se chi ha lasciato un conto da saldare si fosse reso irreperibile. L’ISF ha ottenuto, nel 2017, il rinnovo di un certificato di eccellenza da parte della commissione dei coach dell’ITF, in ragione della quantità e qualità della formazione offerta. Nella categoria di eccellenza, elenco fino al 2013, figuravano anche nazioni dai risultati agonistici modestissimi come Irlanda, Finlandia, Portogallo e Colombia. In compenso mancava la Russia, che ha nove Top 100 Wta di cui quasi la metà ancora impegnate, ai tempi, nei tornei juniores, e non si leggeva il nome degli Stati Uniti (otto Top 100 su 18 nate dal 1992 in poi). È come vincere una coppa nel campionato costruttori con una macchina che, a fine stagione, non ha terminato un Gran Premio.
(1) Al di là di Reggi (13) e Cecchini (15) le varie Garrone, Ferrando, Bonsignori, Pizzichini, Perfetti, Grande, Lubiani, Serra Zanetti, Baudone, Santangelo, o una delle tante Katia Piccolini che oggi nessuno ricorda (ma era numero 40 Wta!) hanno rappresentato, per decenni, la borghesia del tennis, raramente eccellente ma accomodata per giocarsi gli Slam e tentare la fortuna a Roma senza bisogno di wild card.
(2) Roberto Lombardi cui, peraltro, è intitolato l’istituto: «L’attuale modo di intendere la formazione – si legge nella presentazione, ed è una prosa facilmente riferibile al povero Roberto, scomparso prematuramente nel 2010 – nasce nel 2001 […] Per rendere attuale la proposta metodologica si è dovuto modificare in profondità l'atteggiamento metodologico transitando da un metodo di insegnamento molecolare ad uno olistico».
(3) Elisabetta Cocciaretto, classe 2001, pluricampionessa italiana under, si è gravemente infortunata alla schiena ed è stata ferma per circa un anno. Si è pienamente ristabilita e ha ripreso l’attività internazionale.
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