Roberta Vinci si presenza senza energie alla finale e raccoglie appena due giochi contro la danese. Dieci match in due settimane l’hanno prosciugata mentalmente e fisicamente.
Di Riccardo Bisti – 20 luglio 2014
Siamo sempre lì, fermi a quota 63. Per carità, il titolo di Flavia Pennetta a Indian Wells vale almeno 4-5 tornei International, ma ci eravamo abituati a vincere qualcosa di più. Negli ultimi cinque anni, le tenniste italiane hanno raccolto la bellezza di 23 titoli WTA, oltre un terzo del totale, accelerando una tendenza che dal pionieristico successo di Sabina Simmonds a Bakersfield 1982 aveva vissuto momenti bui (neanche un titolo dal 1996 al 2000). Quest’anno, invece, a parte il successo di Flavia, non riusciamo a sollevare un trofeo. Roberta Vinci c’è andata vicina un paio di volte, con due finali consecutive, ma nelle finali non è mai stata competitiva. Sette giorni fa, contro Simona Halep, era un’impresa disperata. Ci si aspettava qualcosa di più nella fine di Istanbul, invece Caroline Wozniacki l’ha battuta addirittura più nettamente. L’incontro è durato poco più di un’ora e il punteggio registra un doloroso 6-1 6-1, forse eccessivo per i valori mostrati, ma comunque emblematico. La danese è tornata a giocare bene, a focalizzarsi sul tennis, e i risultati stanno lentamente tornando. Forse non potrà più lottare per il numero 1 WTA, ma la crisi è alle spalle. E la frecciata all’ex fidanzato Rory Mcllroy (“Finalmente posso rimettermi le scarpe con tacco 12”, alludendo all’altezza non straordinaria del golfista) significa che la testa è di nuovo libera, in quella fase che gli psicologi definiscono come confine tra “rabbia ed accettazione” quando si deve elaborare un lutto. Fisicamente tirata a lucido, ha giocato un torneo perfetto, concendendo un set solo a un’ottima Karin Knapp.
QUALCHE OCCASIONE SCIUPATA
In finale ha raccolto i cocci di una Vinci parsa più scarica che stanca. Durante la settimana non era rimasta in campo così tanto, eppure ha sparato decine di palle in mezzo alla rete. Errori dovuti alla mancanza di fiducia, di freschezza. Quando poi gli errori crescono, crescono, crescono…diventa difficile giocare alla pari contro una giocatrice attenta e regolare come la danese, al 22esimo titolo in carriera. Non il più importante, ma che le consente di sollevare almeno un trofeo per il settimo anno consecutivo. Roberta ha avuto diverse palle break (compresa una nel primo game), ma non ne ha sfruttata neanche una. Chissà, se magari fosse partita in vantaggio…Ma oggi c’era un divario troppo grande: sciupate due palle break d’oro sull’1-3, è uscita mentalmente dalla partita e si è consegnata all’esito finale. Si muoveva poco, male, e non ha quasi mai utilizzato la palla corta, variante tattica che le avrebbe dato una mano contro una giocatrice non così forte nel gioco di tocco. Invece si è affidata a soluzioni banali, come un dritto sparato a occhi chiusi. Ma la palla finiva spesso in rete. Ci può stare: Roberta non era più abituata a giocare così tanti match di singolare, uno dopo l’altro. Dieci partite in due settimane, su due superfici diverse, sono molto difficili da gestire. Specie a 31 anni e con un fisico non così scattante, certamente non scolpito.
LA CORSA VERSO SOFIA
Anche Francesco Cinà, chiamato sul 2-1 nel secondo set, non aveva particolari consigli da darle. Doveva essere soddisfatto per aver ritrovato una giocatrice competitiva anche in singolare. Adesso urge un po’ di riposo, poi ci sarà da spingere al massimo nei tre top-tornei americani (Montreal, Cincinnati e Us Open) per cercare di difendere i tanti punti conquistati nel 2013 e restare a ridosso delle top-20, magari tornarci dentro. Questa sconfitta è un peccato perché complica l’eventuale qualificazione al Tournament of Champions di Sofia, cui accedono le sei giocatrici di miglior classifica ad aver vinto almeno un torneo “International”, ma che non si sono qualificate per le WTA Finals. Le resta ancora qualche chance, ma non sarà facile. Negli States tornerà a giocare il doppio con l’amica Sara Errani: la speranza è che il doppio impegno non le porti via troppe energie per un singolare che quest’anno le ha dato più dolori che gioie. E forse non è un caso che le due finali siano arrivate in tornei dove non aveva impegni extra.
Post correlati
Essere vulnerabili, e ammetterlo, è una grande risorsa
Vulnerabili lo siamo tutti, anche e soprattutto i tennisti, in un’epoca in cui la pressione per il risultato è...