L’INTERVISTA – Il miracolo Pennetta allo Us Open ha più di un artefice, ma il principale è Salvador Navarro, che l’ha rimessa in sesto quando tutto pareva finito. Un personaggio di cui non si sa granché, perché ai proclami preferisce i fatti e lascia parlare i risultati.Salvador Navarro è un uomo di poche parole, schietto, diretto, chiaro. È difficile trovare informazioni su di lui persino in rete, ma della sua carriera da coach racconta tutto il nome: Salvatore. Prima di Ferrero e Robredo, poi – col grazie dell’Italia intera – di Flavia Pennetta. Con un polso appena operato, il ranking a tre cifre e i dubbi sul futuro che bussavano alla porta, la brindisina stava meditando di cambiare aria, ma lui l’ha rimessa in sesto come se nulla fosse, con le due regole più semplici del mondo: tanto impegno e ancor più convinzione. Tutti le conoscono, ma in pochi le sanno applicare come Dio comanda. Lui è fra quelli. Niente proclami e tanti fatti, dal primo all’ultimo minuto, a inizio allenamento come alla fine. Ecco perché quando la sua strada ha incontrato quella di una che di stare in campo ore e ore non ha mai avuto paura, non poteva che nascerne una favola, col lieto fine più dolce. Un successo Slam, allo Us Open, a 33 anni, quando a meno che ti chiami Serena Williams di spazio per nuovi trionfi Slam la bacheca non dovrebbe averne più. Flavia e ‘Salva’ si sono seduti a un tavolo, hanno progettato il futuro e lavorato su tanti accorgimenti. E alla fine quello spazio l’hanno ricavato. Come? L’abbiamo chiesto a lui.
 
Ricordi il primo torneo con Flavia?
A Marrakech, aprile 2013. Io e Flavia ci conoscevamo già da tempo, ma era la prima volta che allenavo una donna. Non sapevo se ne fossi in grado oppure no, ma devo dire che il primo impatto mi è piaciuto molto, mi sono trovato bene fin da subito. Ho sempre avuto fiducia in Flavia, ho sempre ceduto che sarebbe potuta tornare in alto. Abbiamo lavorato con quell’obiettivo, e una volta ritrovato un buon livello abbiamo puntato a qualcosa di grande.
 
A Marrakech Flavia era 113 del mondo, quest’anno è arrivata fino alla sesta posizione. Qual è stata la parte più difficile di questo percorso?
Tutto e niente, perché lei è una grande lavoratrice, ascolta tanto e capisce subito cosa bisogna fare. Diciamo che magari ho fatto un po’ di fatica a guidarla sotto l’aspetto mentale, ma credo sia un discorso comune a tutte le giocatrici. Sono più emotive degli uomini, è fondamentale saperle prendere nel modo giusto, e a volte non è facile. Ma va fatto.
 
All’inizio, credevi fosse possibile arrivare fin lassù?
Quando si inizia a lavorare non si guarda così lontano, non ci avevo nemmeno pensato. Ma quando Flavia è tornata a giocare bene, ha ritrovato le motivazioni ed è salita nel ranking, io sinceramente ci credevo. Pensavo si potessero ottenere buoni risultati, ma forse non vincere uno Slam. Quello è qualcosa di magico.
 
E come si vince uno Slam?
Non c’è un segreto. È una cosa che arriva. Vai avanti, vai avanti, dai sempre il massimo e te lo ritrovi. È fondamentale crederci sempre, lavoro e fiducia. Ma non c’è una via, un modo. Arriva.
 
Durante lo Us Open, quando hai capito che si poteva fare?
In finale (ride, ndr). Ho provato a vivere quel giorno come fosse uno qualsiasi: allenamento al mattino, solita routine, senza cambiare nulla. Anche se ovviamente c’era un po’ di tensione in più, e tanta emozione che è venuta fuori dopo il successo.
 
Cosa hai detto a Flavia quando è venuta ad abbracciarti?
“Sei grande, hai fatto la storia”.
 
Si è parlato tanto del tuo lavoro: colpi, testa, motivazioni, stile di gioco. Secondo te dove si è visto di più?
Il passo più importante è nella fiducia che Flavia ha preso in sé stessa, già prima della vittoria allo Us Open. Ci sono stati alcuni risultati fondamentali, su tutti la semifinale a New York del 2013 e la vittoria dell’anno dopo a Indian Wells. Due momenti sinonimo di un’evoluzione. E poi anche nel servizio, nel diritto. Ma pure nel rovescio. Il lavoro svolto ha dato i suoi frutti un po’ dappertutto. Nulla di specifico, ma tante piccole cose che messe insieme hanno fatto la differenza.
 
 
Come reagisce un coach quando il proprio allievo gli confessa di voler dire basta?
Mi sono fidato della sua decisione, me l’ha comunicata due settimane prima dello Us Open. Sono scelte personali, un allenatore le deve rispettare, non ho nemmeno pensato di provare a farle cambiare idea. Anche perché nel caso di Flavia non era una decisione casuale. Ha scelto di dare una svolta alla sua vita. Ha dubitato un po’, però l’ha presa col sorriso.
 
In due anni e mezzo, cosa ti ha colpito di più di Flavia?
Come giocatrice direi la costanza e il livello di tennis che può raggiungere quando gioca bene. Nemmeno lei all’inizio era cosciente di cosa sapesse fare. Come persona invece un sacco di cose: è una ragazza sincera, diretta, molto allegra. Abbiamo due caratteri simili, che si completano. Siamo stati bene insieme.
 
Qua e là, in rete si legge che il tuo problema da giocatore era la solidità mentale, una delle cose che hai saputo migliorare in Flavia. Come riesce, un allenatore, a trasmettere qualcosa che lui stesso non aveva?
Quando si sbaglia, come sbagliavo io, si riflette di più su determinate cose. Quando giocavo questo aspetto mi costava tanto, ma ero cosciente del mio punto debole, sapevo perché in campo mi succedevano certe cose. Ho studiato i miei errori per cercare di non ripeterli da allenatore. Ci ho lavorato sopra, e ho imparato a non trasmettere certe cose. O a trasmetterle meglio.
 
Cosa hai imparato da Flavia?
Tante cose. Non conoscevo il mondo femminile e non sapevo se ero in grado di lavorarci, invece oggi mi sento più esperto, capace e pronto per seguire anche altre donne. Ho vissuto una grande esperienza, mi ha aiutato a migliorare. In più, Flavia mi ha trasmesso un po’ di lei, dei suoi valori, ma diciamo che anche io avevo già le idee chiare su tanti aspetti.
 
Prima della Pennetta avevi già rivitalizzato Ferrero, poi Robredo. Qual è la tua ricetta?
Bisogna lavorare ogni giorno, avendo fiducia che le cose possano cambiare per davvero, che non è mai finita. Nel tennis le virtù più importanti sono continuità e costanza. Non ci sono altri segreti.
 
Facile: il più bel ricordo di questi 3 anni?
Ovviamente uno ricorda prima le cose speciali, come le vittorie a Us Open e Indian Wells, ma io ho un sacco di grandi memorie di questa esperienza. Ci sono stati momenti facili e altri meno, ma nel complesso è stata una gran bella storia. Ne avrò sempre un ricordo speciale.
 
Quella con Flavia è stata la miglior esperienza lavorativa della tua vita?
Sì, sicuramente. Al 100%. Abbiamo avuto grandi risultati, un grande rapporto personale e massima fiducia nell’altro. Si è creata un’amicizia che non ho mai avuto con nessun giocatore allenato in passato.
 
Al momento Salvador Navarro è disoccupato?
Sì, sono fermo, non mi è arrivata nessuna proposta. Se arriverà qualcosa, con un progetto che mi piace, ci penserò. Altrimenti rimarrò un po’ a casa, a Barcellona, con mia moglie e mia figlia. Mi sta bene così. È una vita che sono lontano parecchie settimane all’anno.
 
E se il tuo futuro fosse di nuovo con Flavia, insieme a seguire qualche talento?
Non lo so, non so cosa Flavia abbia in mente. Andrebbe chiesto a lei.
 
Flavia, nel suo messaggio d’addio al tennis, su di te ha scritto: “a Salva, che mi ha dato la forza di andare avanti nei momenti bui e che ha sempre creduto in me sin dal primo giorno, un amico, un confidente, un compagno di viaggio unico”. Cosa ti senti di rispondere?
La ringrazio tanto per la fiducia che mi ha dato in questi tre anni. Per il lavoro fatto insieme e soprattutto per l’amicizia che si è creata e che sono certo andrà avanti a lungo, per sempre. La porta di casa mia è sempre aperta. Quando torna dai suoi impegni (è stata in India per la Champions Tennis League, mentre ora è in Italia, ndr) io e mia moglie la aspettiamo a pranzo.