Il Djokovic terrificante di sabato sera doveva servire a metterlo in allerta, a fargli paura o a fargli pensare che accontentarsi di una finale potesse essere una buona idea, tanto di occasioni ne avrebbe presto avute tante altre. E invece no. Zverev ha deciso che era l’ora di cancellare gli “arriverà” a favore di un grandissimo “è arrivato”, inciso sulla terra romana con 1 ora e 21 minuti di dominio vero, dalla prima all’ultima palla, come se fosse la sua centesima finale in un grande torneo, mica la prima. Il campione sembrava lui: avanti dall’inizio alla fine, inavvicinabile al servizio, capace di non concedere nemmeno l’ombra di una palla-break alla miglior risposta di tutti i tempi. Roba che nelle 95 finali ATP giocate da Djokovic era riuscita appena due volte a Federer e mai a nessun’altro. E pazienza se oggi Djokovic non è stato di nuovo all’altezza della situazione, giocando con poca intensità e troppi errori, e ha dato una mano al tedesco con una partenza da dimenticare. Un campione come lui va sempre battuto, a maggior ragione in finale: basta regalargli due punti nel momento sbagliato e il match gira in un batter d’occhio. Il più grande merito di Zverev è quello di non averglielo permesso, stupendo il Centrale strapieno e anche lo stesso Djokovic. Come se gli equilibri si fossero già ribaltati, da un torneo all’altro. È stato il serbo a concedere qualcosa nelle prime fasi di entrambi i set, ed è stato lui a fargliela pagare, con la legge del campione. Ha spento il cervello, ha cancellato tutti i pensieri diversi da dove servire o come tirare diritto e rovescio, e ha giocato senza la minima paura, un punto alla volta. Doveva essere all’altezza sull’uno-due, un po’ meno sugli scambi lunghi. Invece sull’uno-due ha dominato e sugli scambi lunghi pure, privando Djokovic di tutte le sue armi e lasciandogli in mano solamente tanta frustrazione.

Non si può nemmeno parlare di sorpresa, di nuova stella o quant’altro: che Zverev sarebbe arrivato si sapeva. Se mai è sorprendente che ci sia riuscito già a Roma, dopo le bocciature di Monte Carlo, Barcellona e Madrid. Ma quando uno è nato per vincere tutto diventa possibile, quasi scontato. Chi ha comprato il biglietto per la finale l’ha fatto immaginando un nuovo duello Federer-Nadal, o la rinascita di Djokovic e Murray, invece ha assistito a un capitolo ancora più importante nel grande libro del tennis, scritto a quattro mani da Zverev e da un padre (e un team) che l’ha aiutato a emergere prima di tanti altri talenti in costruzione, fino a diventare il più giovane a conquistare un posto fra i primi 10 del mondo dal 2008, quando a riuscirci fu Juan Martin Del Potro. L’argentino avrebbe raggiunto il suo picco di rendimento un anno dopo, vincendo uno storico titolo allo Us Open, mentre l’aspetto interessante della favola Zverev è che “Sascha” è ancora lontano dall’essere un giocatore completo. Deve migliorare a rete, deve crescere a livello di continuità, deve fare tanti altri passi avanti. Eppure è già fra i primi dieci, segno che in cantiere ha qualcosa di veramente molto molto importante. A Roma ne ha dato la prima grande dimostrazione, ricevendo il trofeo dalle mani di Rod Laver e raccogliendo un bell’abbraccio di Novak Djokovic (bravissimo a tributare il giusto omaggio al vincitore nonostante la tantissima rabbia accumulata nel corso del match), ma siamo solo all’inizio. E stavolta ne vedremo davvero delle belle. Quella di Roma è più di una promessa.
INTERNAZIONALI D'ITALIA – Finale maschile
Alexander Zverev (GER) b. Novak Djokovic (SRB) 6-4 6-3
GLI HIGHLIGHTS DELLA FINALE ZVEREV-DJOKOVIC
RANKING ATP LIVE: ZVEREV ENTRA NELLA TOP-10
