“Succedono cose pazze nel circuito WTA” ha detto Garbine Muguruza. Tra infortuni e risultati a sorpresa, il tennis in gonnella sta perdendo identità. Come è stato possibile? Le ragioni sembrano due: ansia del guadagno e mediocre gestione degli allenamenti. 

Il recente torneo di Dubai è stato clamoroso. Nessuna delle otto teste di serie ha raggiunto i quarti e ne ha approfittato la nostra Sara Errani. A Doha, dove il seeding era composto da ben 16 giocatrici, nei quarti ne sono arrivate soltanto quattro: Agnieszka Radwanska, Garbine Muguruza, Carla Suarez Navarro e Roberta Vinci. Come ha detto la Muguruza dopo il suo match di primo turno, nel circuito WTA stanno succedendo cose “pazze”. In effetti, in meno di due mesi il tennis femminile si è trasformato un'infermeria ambulante. Serena Williams ha problemi al ginocchio, la Muguruza lotta con una fascite plantare, la Sharapova ha la bua all'avambraccio sinistro, la Halep convive con un infortunio alla caviglia e problemi respiratori, mentre la Kvitova non gioca mai più di 2-3 tornei senza problemi fisici. Per non parlare di Lucie Safarova, che tra un virus e l'altro ha iniziato la stagione proprio a Doha. Preoccupa la natura degli infortuni: buona parte dei malanni sono gli stessi già sofferti nel 2015, segno che (forse) non sono stati curati così bene. La Muguruza è stata a un passo dal lasciare perdere il torneo di Doha: alla fine ha scelto di giocare e le è andata bene, però dopo la sconfitta a Dubai per mano della Svitolina aveva detto di aver bisogno di un break, di patire la pressione. La Kvitova è entrata in una crisi profonda che nemmeno la separazione da coach David Kotyza ha interrotto, mentre la Halep è lontana parente del robottino che vinceva un torneo dopo l'altro.


TROPPO LAVORO IN OFFSEASON

Perché accadono quste cose? Fino a 15-20 anni fa, le gerarchie del tennis femminile erano molto più definite del maschile. Adesso è il contrario, con la top-10 degli uomini blindata da anni dai soliti noti. Una delle ragioni principali sono i vari obblighi imposti dalla WTA. Per fare contenti gli organizzatori dei tornei, il sindacato giocatrici impone alle migliori di partecipare a diversi eventi, soprattutto di categoria Premier. Lo ha detto senza peli sulla lingua Jelena Jankovic in un servizio realizzato dal Guardian. “Non vogliamo perdere la classifica, vogliamo giocare i nostri tornei preferiti. Però questo ci spinge ad affrettare i tempi dopo un infortunio”. La WTA ha regalato alle giocatrici un periodo di offseason piuttosto lungo: a parte le qualificate alle WTA Finals, le altre possono andare in vacanza a metà ottobre. Ma c'è un'altra faccia della medaglia: il corpo entra in modalità-riposo, così i tanti impegni al rientro (nei primi due mesi dell'anno ci sono cinque tornei Premier, uno Slam e la prima tornata di Fed Cup) rendono più fertile il territorio per gli infortuni. Il mese di dicembre è terribile: il coach lavora sul piano tecnico, il preparatore atletico mette sotto pressione i muscoli, inoltre è il periodo in cui si provano nuove corde, racchette e accessori vari. Secondo il preparatore atletico Allistair McCaw (oggi al fianco di Kevin Anderson, ma con diverse esperienze nel circuito WTA), gli atleti devono arrivare alla trasferta australiana all'80% e non al 100% della forma. “E' assurdo, ma capita che alcuni giocatori arrivino in Australia già esausti perché hanno dato tutto da metà novembre in poi”. C'è poi un problema che riguarda soprattutto le donne: pare che molte tenniste non curino nel modo giusto il periodo di allenamento. Spesso hanno la tendenza a spingere troppo e non rendersi conto dei limiti. Gli uomini sono più consapevoli e a volte rallentano, mentre le donne non accettano questo tipo di processo mentale. Provano a vincere ogni punto e se non ce la fanno sentono che qualcosa va nel verso giusto.


SCELTE POCO INTELLIGENTI

Secondo McCaw, le donne non hanno la stessa forza degli uomini (la genetica dice che le donne sono più deboli di circa un terzo), eppure lavorano di più. Non c'è proporzione. “I ragazzi si limitano a giocare sul ritmo, mentre le donne spingono, spingono e spingono per tutto il tempo. Perdono un punto in partita e poi tornano subito in campo per giocare altre palle. Sono molto dure con se stesse”. In effetti non è raro sentire di giocatrici piombate in campo dopo un match, anche dopo una vittoria. L'ha fatto persino Serena Williams. La figura del preparatore atletico, tra l'altro, è un po' trascurata. Tante tenniste investono parecchio per ingaggiare un buon coach mentre lesinano a spendere sul preparatore atletico. I risultati sono sotto l'occhio di tutti. “Non puoi permetterti gente di qualità se sei disposta a pagare noccioline – dice McCaw – è sicuramente parte del problema. Ai tornei mi è capitato di vedere alcune giocatrici con i loro preparatori dentro di me pensavo: 'Cosa stai facendo? Perché?”. La Jankovic ha una lunga carriera alle spalle: il 2016 è il suo quattordicesimo anno nel tour. Con la saggezza del senno di poi, ha ammesso di aver scelto le persone sbagliate e di aver pagato sotto forma di infortuni. “I problemi di oggi? Credo dipendano da una combinazione di fattori. A volte non ci si rende conto che il corpo ha bisogno di fermarsi: vuoi andare avanti, ma il corpo poi chiede il conto. Io ho imparato ad ascoltare il corpo: quando vedi che non ce la fai, devi fermarti”. Tanto saggio quanto difficile, visti i soldi in ballo e gli interessi economici di chi gira intorno alle tenniste più forti. “Siamo persone intelligenti, ma non prendiamo decisioni intelligenti – ha detto la Jankovic – la nostra volontà di giocare è più forte del saggio pensiero di fermarci. A volte dovremmo essere più forti”. Intanto l'infermeria è sempre piena e i risultati sono sempre più pazzi. Meglio per chi deve raccontare, ci mancherebbe. Un po' meno per le dirette interessate.