LA CURIOSITA’ – Laura Pous Tio, discreta giocatrice spagnola, risponde a un giornalista che l’aveva accusata di giocare in Fed Cup salvo andare alle manifestazioni catalane.  
Laura Pous Tio ha partecipato alla "Via Catalana", imponente catena umana che si svolge nel giorno della festa nazionale della Catalogna. Con lei, c'erano oltre un milione e mezzo di persone

Di Riccardo Bisti – 21 settembre 2013

 
La Spagna è un paese profondamente diviso, con forti identità locali che lottano per l’indipendenza culturale e politica. Tutti conoscono la ribellione dei Paesi Baschi, sfociata nella nascita di un'organizzazione terroristica (la ETA), ma esistono altre comunità che malsopportano il governo di Madrid. La più importante e numerosa è la Catalogna. In questi giorni, è uscito un articolo di Alvaro Roca Cabeza, noto cronista di “Marca”. Sul suo blog, Roca se l’è presa con gli “Indipendisti a metà”, ovvero quelli che si dichiarano indipendisti a parole ma poi si prendono gli aiuti dello stato spagnolo. Ha duramente criticato Ona Carbonell. In una recente intervista, la campionessa di nuoto sincronizzato ha detto che se potesse scegliere tra Spagna e Catalogna non avrebbe dubbi. E, dopo l’assegnazione a Tokyo delle Olimpiadi 2020, ha detto che non era il momento di investire sull’organizzazione dei Giochi. “Peccato che abbia trascorso quattro giorni e quattro notti a Buenos Aires per appoggiare la candidatura di Madrid”. Roca non attacca chi non si sente spagnolo, ma non accetta i comportamenti ambigui. “Per me è duro pensare che un’atleta non senta la minima emozione nel difendere la Spagna. Preferisco che gareggi qualcuno che arriva ultimo, ma lotta fino alla fine per il suo paese”. A suo dire, la Carbonell non si è fatta tanti problemi quando è stato il momento di ricevere aiuti economici dallo Stato. “E’ giusto che resti senza aiuto chi avrebbe davvero voglia di lottare per la Spagna? Secondo me no. E’ come il Barcellona, che chiede l’indipendenza della Catalogna, ma poi gioca la Liga come se niente fosse”.
 
E qui entra in ballo il tennis. Roca cita Laura Pous Tio, discreta giocatrice catalana. “Non esiste che la Pous Tio vada alle manifestazioni indipendentiste catalane e pochi mesi prima abbia giocato in Fed Cup, ascoltando l’inno spagnolo. E’ come prendere in giro la gente. In Spagna ci sono tenniste che ammazzerebbero per trovarsi nella sua posizione”. Roca chiude il suo intervento dicendo che Carbonell e Pous Tio meritano comunque rispetto perchè hanno manifestato i loro sentimenti, mentre molti atleti preferiscono restare nell’anonimato e magari aspettano fine carriera per esprimere le loro idee, soltanto perchè manifestare un’opinione può essere un rischio. La “questione” catalana (così come quella basca) è una spina nel fianco della società spagnola. Per questo, era lecito attendersi una risposta della Pous Tio. Che non ha tardato ad arrivare. La giocatrice ha scritto una lettera apera che vale la pena riportare. Dopo essersi brevemente presentata e aver sottolineato che il merito di certi risultati è dei suoi sforzi e dell’aiuto dei genitori, è entrata nel merito della questione.
 
“La mia presenza alla “Via Catalana” è stato un atto volontario, in cui mi sono unita al popolo della Catalogna per celebrare la “Diada” (la loro giornata nazionale, ndr) e rivendicare il diritto di decidere quello che vogliamo fare in futuro. Come cittadina della Catalogna e della Spagna, sono libera di esprimere la mia opinione. Al di là delle mie idee sull’indipendenza della Catalogna, ho il diritto di giocare per il paese che oggi rappresento. E spiego il perchè: oltre ad essere catalana (indipendentista o no) sono anche spagnola (molto più che francese, italiana, o portoghese, lo assicuro). In quanto tale, ho diritto a giocare per questo Paese, che è anche il mio e da cui non mi piacerebbe essere esclusa. Un paese in cui la formazione che ho ricevuto è stata finanziata dalla mia famiglia o dalla federazione catalana. Un paese in cui pago regolarmente le tasse per i miei guadagni, che al 99% provengono da tornei con organizzazione privata. Vi assicuro che i catalani pagano le tasse e che l’apporto economico degli sportivi catalani supera di gran lunga quello che abbiamo ricevuto. Infine, signor Roca, non sia ingenuo. Tutti noi abbiamo radici a cui non possiamo rinunciare. Siamo il prodotto di un ambiente, di una lingua, un’educazione e un modo di fare le cose. E’ una cultura che ci rende differenti. Se lei non puo (o non vuole) capire che vorrei dare alla Catalogna tutto quello che ho dato per la Spagna, significa che non ha capito nulla (e per questo le consiglierei di passare meno tempo a scrivere e più a leggere giornali di qualità). Scrivendo post come questo, l’unica cosa che genera sono polemiche a buon mercato, nonchè odio gratuito e ingiustificato. Non mi piace paragonarmi ad altri atleti catalani che rappresentano la Spagna, perchè ognuno la pensa in modo diverso, ma le assicuro che in molti sono sulla mia stessa lunghezza d’onda. E non sarà per articoli come il suo che smetteremo di competere per un paese che è anche nostro”.
 
La polemica ha profonde radici storiche ed è difficile prendere una posizione. In Italia, per fortuna, non abbiamo avuto situazioni analoghe, almeno nella storia recente (salvo le rimostranze della Padania, che però non ha una grossa base storica). Probabilmente hanno ragione entrambi. La Pous Tio è legittimata a giocare per la Spagna fino a quando avrà il passaporto spagnolo, ma è comprensibile che uno spagnolo sia deluso nel vedere la “Camiseta Roja” addosso ad atleti che non nutrono alcun sentimento per il loro Paese. E’ un dilemma esploso con il professionismo e difficilmente troverà una soluzione. Per fortuna, il caso spagnolo è abbastanza unico anche se il mondo è pieno di popoli e nazioni non riconosciute. Basti pensare che ai Mondiali di Calcio delle nazioni non riconosciute, inaugurati nel 2006, si sono alternate ben 11 “nazioni”: Padania, Kurdistan, Lapponia, Aramea, Cipro del Nord, Occitania, Zanzibar, Provenza, Camerun Meridionale e Due Sicilie. Giocò anche il Principato di Monaco, che però non ha certo il problema dell’indipendenza. La speranza è che la politica, questo tipo di politica, entri il meno possibile nello sport. Perchè lo sport dovrebbe unire e mai dividere. Per informazioni, chiedete a Rohan Bopanna e Aisam-Ul-Haq Qureshi.