Marco Cecchinato ottiene in appello uno sconto di pena (da 18 a 12 mesi, in attesa di ulteriori appelli e del possibile processo TIU) perché non è stato riscontrato l’illecito sportivo. Tuttavia, il Collegio lo aveva individuato nella sua attività di scommettitore, ma non lo ha potuto sanzionare perché…la Procura non ne aveva fatto richiesta!“Dalla documentazione agli atti risulta che nella fase istruttoria la Procura Federale ha acquisito prove testimoniali che hanno confermato che il sig. Cecchinato scommetteva anche sulle partite di tennis, oltreché soprattutto di calcio. Ebbene sotto tale profilo deve ritenersi violato l’art. 10 comma 2 R.G. ultima parte, in quanto l’incolpato è atleta appartenente al circuito ATP. Sotto tale profilo è, però, preclusa al Collegio ogni delibazione in quanto il parametro di riferimento dell’attività dell’Organo di Giustizia di secondo grado rinviene dalla norma 102, comma 6 R.G., che non consente di valutare sotto altro e diverso profilo rispetto a quello sollevato dall’organo inquirente, i fatti dedotti in giudizio atteso che è tenuto a conformarsi alle domande e alle eccezioni non rinunciate o altrimenti precluse”.
Questo passaggio passerà alla storia della Giustizia Sportiva del tennis, forse anche di tutto lo sport italiano. Siamo a pagina 20 della sentenza d’appello del caso con protagonista Marco Cecchinato, la cui squalifica è stata ridotta di un terzo: da 18 mesi e 40.000 euro a 12 mesi e 20.000 euro. Il siciliano è stato scagionato dall’accusa peggiore, quella di “illecito sportivo” (il famoso articolo 10 del Regolamento di Giustizia). Tuttavia, il Collegio di secondo grado ha rilevato la violazione dello stesso articolo nel fatto che Marco Cecchinato è dedito alle scommesse, soprattutto sul calcio, e anche sul tennis. Tuttavia, non può essere giudicato su questo punto…perché la Procura Federale, l’organo inquirente…non ha posto la questione! Nella loro richiesta di radiazione, i procuratori si erano limitati a parlare dei match in cui Cecchinato avrebbe perso appositamente (contro Majchrzak a Mohammedia), in cui avrebbe fornito informazioni riservate (Seppi-Isner al Roland Garros) e in cui avrebbe, a sua volta, usufruito di informazioni riservate (Frigerio-Cox al Future di Antalya), senza porre l’accento sul fatto che Cecchinato non potesse in alcun modo scommettere, vista la sua posizione di tesserato e di membro ATP. Quella di Alfredo Biagini, Luigi Supino e Ferruccio Maria Sbarbaro è una stoccata durissima alla Procura, come a dire: “Avevate le prove sotto mano e non ce le avete sottoposte”. L’organo inquirente che non si accorge, o non dà peso, a elementi probatori che potrebbero influire sulla condanna dell’imputato. Incredibile.
Il resto della sentenza, 25 pagine suddivise tra aspetti formali e il merito, tutto sommato sorride a Marco Cecchinato, Riccardo Accardi e Antonio Campo. Come vi avevamo detto dopo la sentenza di primo grado, questa faccenda è piuttosto diversa rispetto al caso Bracciali-Starace perché gli elementi a disposizione erano chiari. Stava agli organi giudicanti stabilirne la gravità. E se il Tribunale Federale ha ritenuto che gli elementi fossero sufficienti per stabilire l’illecito, la Corte Federale di Appello è di parere opposto. Come detto, Cecchinato è stato squalificato per 12 mesi dall’attività federale. Tenendo conto che ha giocato la prima giornata del Campionato di Serie A1, non potrà svolgere attività nazionale fino al 16 ottobre dell’anno prossimo e – per deduzione – non potrà essere convocato da Corrado Barazzutti in Coppa Davis. Bisognerà vedere se l’ATP recepirà la squalifica del tribunale sportivo italiano, peraltro tenendo presente che esiste un terzo grado di giudizio (il Collegio di Garanzia del CONI). In quel caso, Cecchinato rischierebbe di ripartire da zero a ottobre dell’anno prossimo: grazie alla sospensione della sentenza di primo grado, ha potuto giocare diversi tornei, l’ultimo la scorsa settimana a Stoccolma. Di certo l’ATP e la Tennis Integrity Unit sono al corrente della vicenda. Non è da escludere che possano intraprendere un processo autonomo.
L’ACQUISIZIONE DELLE PROVE
Ma vediamo cosa dice la sentenza, cercando di riassumere in termini semplici e comprensibili le 25 pagine scritte con un linguaggio (molto) giuridico.
Le accuse sono note: Cecchinato è incolpato di aver perso apposta contro Majchrzak a Mohammedia e di aver dato al suo vecchio amico Accardi la “dritta”, in modo da scommetterci sopra. Inoltre avrebbe detto allo stesso Accardi che Seppi non era in grado di battere Isner a Parigi. Infine, grazie all’intercessione di Antonio Campo, avrebbe appreso (traendone guadagno) che Lorenzo Frigerio avrebbe perso ad Antalya da Daniel Cox. Si parla anche di altri match, che però erano stati archiviati già nella sentenza di primo grado. Come spesso accade, le difese hanno battuto su parecchi aspetti procedurali e presunti vizi formali per ottenere la nullità del procedimento. Nella fattispecie, quattro.
1) Estinzione del procedimento perché la sentenza è arrivata ben oltre i 90 giorni dall’avvio delle indagini, limite previsto dal RG (rigettata, perché il procedimento era da ritenersi sospeso nel momento in cui dovevano stabilire una data per visionare la partita insieme agli imputati).
2) Nullità perché il Collegio giudicante di primo grado sarebbe stato diverso rispetto a quello inizialmente nominato (rigettata perché c’era stato un semplice errore nella compilazione dei verbali d’udienza).
3) Ritardo dell’inserimento del procedimento nel registro della Procura CONI (rigettata perché il ritardo non è stato definito “abnorme” e comunque la giustizia sportiva non ha gli stessi, rigidi, obblighi della giustizia ordinaria).
4) Il più importante: l’acquisizione delle prove, definita “irregolare”. Sostanzialmente, Riccardo Accardi ha consegnato alla Procura le chat di Whatsapp contenenti le sue conversazioni con Cecchinato senza sapere di poter poi essere indagato, senza la presenza di avvocato, e senza che gli fosse detto che aveva questi diritti. In effetti sembrerebbe una violazione del diritto di difesa (oltre che della privacy). Tuttavia, il Collegio respinge anche questa osservazione perché si sottolinea come i giocatori abbiano riversato le chat in modo spontaneo, rispondendo affermativamente a una semplice richiesta della Procura. Insomma, non è stata violata la libertà dei terzi. Al contrario, la Procura “se l’è cavata” sulla mancata informativa agli accusati, poiché le sentenze sportive sono l’epilogo di “procedimenti amministrativi (seppure in forma giustiziale) e non giù giurisdizionali, sicché non possono ritenersi presidiate dalle garanzie del processo”. L’osservazione è discutibile sul piano etico, ma trova riscontri sia in sentenze del TAR del Lazio che del Consiglio di Stato. Insomma: se si ottengono prove in modo poco ortodosso (come in questo caso), non possono essere utilizzate in un procedimento penale, ma possono esserlo in sede amministrativa (a cui sono equiparati i procedimenti sportivi).
IL MATCH DI MOHAMMEDIA
Sul merito, il Collegio si discosta dalle interpretazioni del Tribunale Federale. Se in primo grado si riteneva che le prove a carico di Cecchinato fossero sufficienti per parlare di illecito, secondo la Corte d’Appello non è così. Sull’incontro di Mohammedia, gli elementi a carico di Cecchinato erano i seguenti.
1) Le chat prelevate da Accardi portano un “vuoto” dal settembre 2015 al 22 dicembre 2015 (giorno dell’udienza dello stesso), mentre sia prima che dopo i due chattano spesso. Secondo il primo giudice era la prova del desiderio di voler cancellare le prove, mentre secondo le difese si voleva trasformare in prove…l’assenza di prove. Da parte loro, Biagini, Supino e Sbarbato ammettono che la cancellazione è avvenuta come effetto della “preoccupazione” per le indagini, però non può essere ritenuta una prova.
2) La chat del 23 settembre 2015, l’unica disponibile, vede Cecchinato arrabbiato per la scommessa persa in occasione di Napoli-Carpi. “Solo i marocchini mi possono salvare…”, scrive. Secondo il Tribunale, era la prova che il torneo di Mohammedia, in Marocco, fosse l’evento che gli avrebbe permesso di recuperare il denaro perso. Secondo la Corte d’Appello non è così, e si tiene conto dell’interpretazione delle difese (molto ardita, secondo noi…) secondo cui l’affermazione potrebbe voler dire che “Ceck” voleva impegnarsi al massimo in Marocco per intascare con il montepremi i soldi persi. E’ più credibile la tesi accusatoria, ma siamo lontanissimi da una qualsiasi prova. E infatti il Collegio non la ritiene tale.
3) L’anomalia della scommessa di Accardi su quella partita: anziché i soliti 50-100 euro, ne ha giocati 800 contro Cecchinato. Secondo il Collegio, ha scommesso una cifra così alta perché aveva saputo direttamente dall’amico di non essere in forma e non avere molto chance di vittoria, senza per questo prefigurare l’illecito.
4) Il fatto che avesse già prenotato il viaggio per tornare in Italia. In effetti, è prassi normale per ogni professionista. Il fatto che Cecchinato avrebbe data per scontata la sconfitta parlando con il tour operator non può certo essere considerata una prova.
Insomma, tanti indizi ma niente di più. Per Cecchinato resta soltanto la violazione dell’Articolo 1 (principi di lealtà, probità e rettitudine), che secondo il Collegio è ampiamente violato. Tra l’altro, al termine del processo, lo stesso Marco aveva fatto pervenire una lettera in cui – pur negando gli addebiti – mostrava pentimento per il suo comportamento.
SEPPI-ISNER A PARIGI
C’è poi la faccenda di Seppi-Isner. Anche qui viene contestato il solo Articolo 1, per il fatto che Cecchinato avrebbe dovuto “farsi i fatti suoi” piuttosto che parlare ad Accardi delle difficoltà di Seppi. Tuttavia, si trattava di informazioni reperibili nell’ambiente e di cui si era parlato anche sui giornali. Per questo, non esiste illecito
SPARARE A SALVE
In merito agli altri due incolpati, c’è un piccolo sconto per Riccardo Accardi, la cui pena passa da 12 a 10 mesi (per lui si arriva alle stesse conclusioni di Cecchinato, ovvero violazione dell’Articolo 1, descrivendolo come “dedito alle scommesse e sempre in cerca, compulsivamente, di notizie per orientare al meglio le proprie scommesse”), mentre resta di 4 mesi quella di Antonio Campo, che effettivamente risulta avere dato ad Accardi le informazioni privilegiate sulla sconfitta di Frigerio contro Cox. Di conseguenza, per lui non ci sono sconti. In attesa di eventuali ricorsi in Italia e di eventuali procedimenti all’estero, la faccenda ha preso una piega ben precisa. Non c’è molto da aggiungere alle considerazioni già esposte a luglio, ovvero che i tre ragazzi non avessero una corretta percezione di quello che stavano facendo e che non ci fossero chissà quali intenzioni criminali. La leggerezza, tuttavia, è stata compiuta ed è compito degli organi giudicanti stabilire quanto debba costare. Semmai, uscendo dal merito, è incredibile – ed è la vera notizia – il passaggio con cui la Corte Federale di Appello bacchetta la Procura per non aver contestato a Cecchinato la sua attività di scommettitore. Come a dire: avevano un bazooka in mano, invece hanno sparato a salve.
LA SENTENZA DELLA CORTE FEDERALE DI APPELLO
LA SENTENZA DI PRIMO GRADO (19 luglio 2016)
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