La Williams conferma i pronostici e trionfa al Roland Garros contro una generosa Sharapova. La russa è riuscita nell’impresa di crearle qualche problema, ma non poteva fare di più. 
Quando Serena Williams ha scaricato il suo ruggito, la finale ha cambiato direzione

Di Riccardo Bisti – 8 giugno 2013

 
Dopo aver vinto lo Us Open 1968, uno dei primissimi Slam aperti ai professionisti, Arthur Ashe disse che “Nessuno sta a sentire i perdenti”. Aveva ragione. Ma stavolta dobbiamo fare uno sforzo e ascoltare le emozioni di Maria Sharapova, mai vista così umana come nella finale del Roland Garros persa 6-4 6-4, con onore, contro una grande Serena Williams. Il ghiacciolo emotivo della russa si è sciolto e a fine partita era quasi in lacrime, come se avesse accettato una realtà inconcepibile per una come lei: Serena è più forte. Il mondo del tennis non aveva dubbi, mentre lei era convinta di essere la più brava. Era certa che applicandosi, ingegnandosi, cambiando qualcosa nel suo gioco, sarebbe riuscita a ribaltare una rivalità che l’ha vista perdente 13 volte su 15, con gli unici due episodi favorevoli risalenti al 2004. Masha è scesa in campo piena di fede, coraggio, buoni propositi…e idee chiare. Ha “sporcato” la traiettoria dei colpi, cercando spin e profondità, e ha cercato di mostrare una viva presenza agonistica alla Williams. Un body language che mandasse messaggi chiari e forti all’americana. “Mi batti da nove anni, ma non mi fai paura”. L’inizio di questa finale è stato sorprendente. Masha ha ripreso per i capelli il primo turno di battuta (era sotto 0-40) ed ha incredibilmente preso un break di vantaggio. Il giochino, fatto di palle liftate e continui “Come On!” è durato fino al 2-0 e 40-15, ma non poteva durare. Masha è andata sovraritmo, non poteva giocare tutto il match a quei livelli. Tuttavia, ha avuto il merito di risvegliare la tigre dormiente. Nel terzo game, quando si è resa conto che l’avversaria faceva sul serio, la Williams ha iniziato a ruggire come una belva impazzita. I suoi colpi hanno ripreso a fare male, sfondando le difese russe o – nel migliore dei casi – piegandole le braccia. Serena è salita 4-2 e tutti pensavano alla consueta sparatoria. Invece la Sharapova ha continuato a lottare, attestandosi su un sorprendente livello medio. E’ salita 4-4, ma ha pagato lo sforzo, cedendo gli ultimi due game e lasciando per strada ogni speranza di vincere. Era chiaro che un suo eventuale successo sarebbe necessariamente passato dal primo set.
 
Eppure ha continuato a giocare con dignitosa caparbietà. Nel secondo set non ha “sbracato”, ed anzi c’è stato un solo break in tutto il parziale (nel terzo game). E’ rimasta in scia fino all’ultima, ma Serena era troppo concentrata. Troppo desiderosa di dare una gioia al coach Patrick Mouratoglu e renderlo “profeta in patria”, chiudendo il cerchio di un’avventura (anche personale) iniziata 12 mesi fa dopo la drammatica sconfitta contro Virginie Razzano. Serena è riemersa dal suo punto più basso e ha vinto laddove era riuscita soltanto una volta, nel 2002, quando il tennis era una questione in famiglia tra lei e la sorella Venus. La vittoria di undici anni fa fu una delle quattro tappe del “Serena Slam”, ovvero quattro successi consecutivi anche se in anni solari diversi. Alla luce di questo successo, Serena rimpiangerà ancora di più la sconfitta contro Sloane Stephens in Australia. Il 2013, in effetti, poteva essere l’anno buono per lo Slam “vero”, quello che ricordano tutti e non soltanto gli appassionati. Vincendo il torneo tecnicamente più complicato, a Londra e New York la strada avrebbe potuto essere in discesa. Invece dovrà rimandare all’anno prossimo. Ma siamo convinti che in questo momento non ci pensi. Sarebbe interessante sapere cosa le è passato per la testa quando si è inginocchiata sulla terra del Campo Chatrier dopo l’ennesimo ace. Trasmetteva una gioia immensa, spontanea, incredibile per chi ha milioni sul conto in banca e decine di trofei a casa. Eppure non ha perso la voglia di vincere e confrontarsi con se stessa. Mouratoglu le ha fatto venire la curiosità di sapere dove può arrivare. Da lì è nata la nuova Serena, attenta come non mai alla preparazione atletica e a dettagli apparentemente secondari come l’attrezzatura e le incordature.
 
Serena vince il suo 16esimo Slam ed è sempre più vicina a Chris Evert e Martina Navratilova. Proprio Martina ha detto che la Williams può arrivare a quota 23, superando persino Steffi Graf e se lo dice una campionessa di longevità, è opportuno starla a sentire. In effetti, Serena sta benissimo. Gli infortuni e una condotta di vita non sempre professionale ne hanno allungato la carriera. A settembre compirà 32 anni, ma non c’è traccia di logorio. Anzi, corre meglio oggi rispetto a qualche anno fa. E allora ci si domanda fino a quando potrà giocare. Quando le parlano di ritiro, sgrana i suoi occhioni e fa l’offesa. In Australia, intese male una domanda sull’argomento (le avevano chiesto solo se pensava di ritirarsi da un match in corso) e per poco non azzannava il giornalista. Il tennis ha (ri)trovato la sua numero 1, incapace di perdere da 31 partite e ben decisa ad andare avanti. Ma ha riscoperto una Sharapova umana, diversa dall’immagine della femme fatale che vediamo nelle pubblicità. Maria ha avuto il merito di offrirci una finale, quando molti avevano paura che potesse essere un’esecuzione. Non ce l’ha fatta, ma chi ha pagato il biglietto la ringrazia. Per battere Serena, tuttavia, ci vogliono armi che in questo momento non ha nessuno. Ma le inseguitrici non si scoraggino: nulla è immutabile, nemmeno le vittorie della Tyson in Gonnella. Oggi è difficile pensarlo, eppure è così.

ROLAND GARROS DONNE – FINALE
Serena Williams (USA) b. Maria Sharapova (RUS) 6-4 6-4