Perché negli Slam i favoriti arrivano sempre in fondo, molto di più rispetto alle donne? Tsonga è convinto che sia una questione di ormoni, ma i numeri dicono che…
Agnieszka Radwanska, n. 4 WTA, ha mancato l’accesso alle semifinali di Melbourne
 
Di Riccardo Bisti – 28 gennaio 2013

 
“Le donne sono più instabili rispetto agli uomini. Si tratta di ormoni, noi siamo sempre in forma e voi no. Questo è tutto”. Con queste parole, dette tra il serio e il faceto, Jo Wilfried Tsonga ha liquidato la domanda sul perché l'Austalian Open femminile ha riservato più sorprese rispetto al maschile. Frasi pesanti, passate sotto silenzio perché giunte nei momenti caldi del torneo. Nemmeno le femministe più incallite hanno replicato al francese, forse perché hanno considerato il contesto: Tsonga ha detto queste cose di notte, dopo aver perso una partita di cinque set contro Roger Federer. Ma vale la pena approfondire. Da quando Andy Murray è ufficialmente entrato tra i Big Four (Australian Open 2009), in diciassette Slam il dominio dei primi quattro è stato impressionante. Da allora, le prime quattro teste di serie del tabellone hanno ottenuto 46 slot su 68 disponibili nelle varie semifinali. In varie occasioni è stato raggiunto l’en-plein, con tutti i primi quattro in semifinale. L’Australian Open 2013 non ha fatto eccezione, con David Ferrer che ha preso il posto di Rafa Nadal. Nello stesso periodo, in campo femminile, le prime quattro teste di serie hanno ottenuto 32 posti in semifinale su 68. Meno del 50%. A Melbourne sono giunte in semifinale le sole Azarenka e Sharapova, con Williams e Radwanska eliminate nei quarti di finale.
 
Esistono ragioni più plausibili per spiegare la discrepanza rispetto alla (strampalata?) teoria biologica di Tsonga. Una di queste risiede nei lunghi stop a cui si sono sottoposte alcune giocatrici, voluti o forzati. Serena Williams è stata ferma un anno, mentre le belghe Kim Clijsters e Justine Henin si erano addirittura ritirate. Ci sono stati tornei in cui non avevano nemmeno un posto tra le teste di serie. Il caso di Monica Seles, cui fu assegnato lo stato di numero 1 “ex-aequo” con Steffi Graf allo Us Open 1995, è rimasto unico (anche perché aveva premesse ben diverse). Tra gli uomini non è mai accaduto qualcosa del genere. Potrebbe capitare a Rafa Nadal, appena uscito dai primi quattro dopo quasi otto anni. Difficilmente Rafa avrà recuperato posizioni da qui al Roland Garros, visto che ha una montagna di punti da difendere. La spiegazione più plausibile, tuttavia, riguarda la lunghezza dei match. In campo femminile, le sfavorite hanno bisogno di vincere due set, mentre tra gli uomini si gioca al meglio dei cinque set. La lunga distanza favorisce e tutela il giocatore più forte. Magari possono essere messi in difficoltà, ma alla lunga è difficile che non emerga il più forte. E’ difficile ipotizzare cosa succederebbe se gli Slam si giocassero al meglio dei tre set, anche perché la strategia dei vari Djokovic, Federer, Murray e Nadal cambierebbe. E’ tuttavia un dato di fatto che il serbo abbia sofferto le pene dell’inferno contro Wawrinka, così come Federer abbia lottato duramente contro Tsonga. Risultati alla mano, avrebbero vinto anche se si fosse giocato slla breve distanza, ma non esistono controprove. Di sicuro è capitato che nei primi turni giocassero abbastanza male da poter favorire una possibile sorpresa. Tra le donne, è più semplice questo accada. Gli uomini posso sopperire a una giornata storta, mentre la favorita di turno ha meno tempo per recuperare.
 
Dall’Australian Open 2009 a oggi, è capitato 13 volte che un tennista compreso tra le prime quattro teste di serie perdesse due dei primi tre set (e poi vincesse) in un match precedente alle semifinali. E’ successo due volte a Nadal, Murray e Ferrer, tre volte a Djokovic e quattro a Federer. Questa statistica considera come episodio unico i tornei in cui il fatto si è ripetuto due volte. Il format dei tre set su cinque funziona anche al contrario: in quattro occasioni, infatti, un Big Four ha perso prima delle semifinali dopo aver vinto due dei primi tre set. I numeri sono chiari: se gli Slam si giocassero al meglio dei tre set, negli ultimi quattro anni i Big Four avrebbero intascato 37 slot su 68, appena cinque in più rispetto alle donne. Ma se consideriamo gli episodi di Clijsters, Serena Williams ed Henin (non certo vere outsider), il gap si riduce in misura esponenziale. Soprattutto alla luce del senso comune secondo cui gli attuali Fab Four siano i più forti nella storia. Borg, McEnroe, Connors e Lendl avrebbero qualcosa da ridire, ma tant’è. E’ curioso che l’affermazione “sessista” sia giunta proprio da Tsonga, uno dei più coinvolti dalla discrepanza del forma. Lo scorso anno, arrivò a matchpoint contro Djokovic al Roland Garros dopo essere stato avanti due set a uno. Ma vanta anche due vittorie di prestigio dopo aver perso i primi due set: contro lo stesso Djokovic all’Australian Open 2010 e contro Federer a Wimbledon 2011. Alcuni giocatori sono contrari alla parità di montepremi tra uomini e donne, citando come argomento la disparità del format. “Noi giochiamo cinque set, loro tre” si sente dire. Argomento su cui si discuterà all’infinito, e dove è impossibile trovare un punto d’incontro. Ognuno resterà sulle sue convinzioni. Quel che sembra certo è che il format più breve rende più imprevedibile il tennis. A quanto pare, tra le donne è proprio così.