Il grande scriba, al secolo Gianni Clerici, ha raccontato sulle pagine di Tennis Italiano con la complicità della figlia Carlotta, i miti del tennis…

 

di Carlotta Clerici – foto Archivio Storico Tennis Italiano

 

Tutti gli anni, mio papà fa in modo di comperare qualche biglietto per il Roland Garros. Perché, dice, io rimanga minimamente aggiornata e sappia distinguere uno spagnolo dall’altro; anche se non è facile.

 

Consapevole dell’importanza di un numerato, rimango seduta per qualche ora sul Centrale, ma, come ne esco, non riesco a trattenermi da una piccola visita sentimentale agli eroi dei miei tempi, di quando ero bambina e papà aveva un appartamento a Londra. Comprato, afferma, “perché di Wimbledon e dello Strand non si può fare a meno”.

 

Così quest’anno ho avuto la ventura di trovare sul programma Ilie Nastase, impegnato in un doppio, e mi sono subito affrettata verso un campo secondario ma non di meno completamente esaurito. Ho trovato il mio idolo ingrassato e anche lievemente pelato sotto l’onda del capellone di una volta.

 

L’ho visto arrabbiarsi o fingere di arrabbiarsi, ridere, tentare qualcuno dei suoi numeri da clown e qualche straordinario rovescio. Ho passato un’ora di nostalgia, nella quale si confondevano passato e presente, e all’immagine di quel signore di mezza età si sovrapponeva una sorta di Ariele degli anni Settanta. Quando più tardi mi sono ritrovata a cena con papà, gli ho chiesto di parlarmi di Ilie, di dirmi in che cosa fosse diverso da altri tennisti dei suoi tempi.

 

“E’ stato diverso – ha risposto lui – per una caratteristica fondamentale. Ha introdotto nel gioco lo spettacolo teatrale, direi soprattutto il musica hall. Certo, attori del court ce n’erano già stati. Come Tilden, ad esempio, attore tanto professionale da aver giocato un match e aver recitato nello stesso giorno a Broadway. Ma nessuno era stato tanto irriverente, tanto consapevole che il tennis fosse anche e in qualche occasione soprattutto spettacolo. Qui, in Francia, si dice infatti jouer sia per lo sport che per la scena. Ed ecco che Nasty, scelto dal destino per il palcoscenico dei court, era spinto a giocare, cioè a recitare”.

 


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Ho chiesto a papà di ricordare qualche sketch della carriera di Nasty.

 

“Sono mille – ha riso lui -. Una volta, credo a Eastbourne, un giudice di linea gli aveva chiamato un fallo di piede. E Nastase si era tolto la scarpa, l’aveva posata sulla linea di fondo, nella posizione in cui, secondo lui, era stato il piede al momento della battuta. E aveva invitato quel giudice interdetto a intervenire, spiegare, modificare. E’ la mia scarpa, o il mio piede, aveva chiesto a voce altissima, mentre la gente si piegava in due dal ridere. Un’altra volta – continua papà – sono stato corresponsabile di uno sketch che ha finito di incrinare il sodalizio con il suo mentore Ion Tiriac.

 

Ero stato ospite, qualche sera prima, di un ristorante nel quale si faceva omaggio ai clienti di enormi baffi finti. Come li avevo mostrati a Nastase, aveva fatto in modo di sottrarmeli. Ma non pensavo che, alla presenza della Principessa Margaret e della Duchessa di Kent, quel fenomeno trovasse modo di applicarseli, d’un tratto, dopo che Tiriac aveva sbagliato una palla da fucilazione. Ion si ritrovò sommerso di risate, e ricordo ancora la sua espressione. Tanto disperatamente furiosa e indignata che non ho mai trovato il coraggio di parlargliene”.

 

Mi sono ritrovata, a questo punto, di un altro vecchio aneddoto raccontato da papà e gli ho chiesto se fosse vero che Nasty aveva sempre bisogno di un interlocutore, a bordo campo.

 

“Verissimo – ha risposto lui. Non era capace di stare solo, né di attribuirsi in proprio tutte le responsabilità di quello che gli accadeva. E’ rimasta storica, nel nostro giro, la lite durata cinque set con Michele Brunetti, il consigliere della Fit, che per primo aveva sfamato lui e Tiriac, poveri emigranti, al torneo di Ancona. Quell’incredibile siparietto si svolse durante la prima delle due finali di Wimbledon mancate da Nasty contro l’americano Stan Smith. Il fenomeno aveva appena litigato con Tiriac per via dei baffi, e pregato Brunetti di assisterlo, come amico, manager, uomo d’angolo, confessore. Tra le sue improvvisate mansioni, Michele si era assunta anche quella di occuparsi delle racchette di Ilie, le Dunlop Maxply. Nonostante le cordature fossero state messe a punto dal miglior specialista della Dunlop, Nasty non le trovò di suo gradimento, e all’inizio del match prese a lamentarsi, a imprecare, indirizzandosi a Brunetti, fortunatamente in italiano. La vicenda continuò fino all’ultimo set, con risvolti di follia. Nastase, sempre più furibonda, addirittura capace di salire sopra la racchetta per allentarne col proprio peso la cordatura. Brunetti era diviso tra la vergogna e il desiderio di non compromettere ancor di più una vicenda già abbastanza compromessa da quel folle. Finì per perdere al quinto, Nastase, un match in cui, secondo me, era favorito. Il male maggiore è che un’occasione simile non gli capitò più. E un tipo come lui, per cinque anni il migliore del mondo, non vinse il torneo più importante per un tennista”.

 

A questo punto, papà si è fermato. Mi assicura che potrebbe continuare per una ventina di pagine. Forse addirittura potrebbe raggiungere il rigaggio di un romanzo breve. Peccato che non ne voglia sapere, che ripeta sempre che di tennis ha scritto troppo, scrive troppo.

 


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Ilie Nastase è nato a Bucarest, in Romania, il 19 luglio 1946 ma risiede a New York. Interprete di un gioco a tutto campo, pieno di soluzioni talentose, vinse in carriera 57 titoli di singolare e 51 di doppio.

 

Nei tornei del Grande Slam, in singolare si affermò agli Us Open nel ’72, agli Open di Francia nel ’73, raggiunse la finale al Roland Garros nel ‘71 e a Wimbledon nel ’72 e ’76, dove perse da Stan Smith e Bjorn Borg .

 

Nel doppio ottenne tre titoli: uno con Ion Tiriac (Open di Francia 1970) e due con Jimmy Connors (Wimbledon ’73 e US Open ’75). Fu numero uno del mondo nell’agosto 1973.

 

 


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