Nella finale più lunga nella storia del Grande Slam, Djokovic batte per la settima volta di fila Nadal. E continua la caccia al Grand Slam. DI RICCARDO BISTI
Per Novak Djokovic è il terzo successo all'Australian Open dopo quelli nel 2008 e nel 2011

Di Riccardo Bisti – 29 gennaio 2012


E’ difficile scovare un’immagine simbolo per descrivere la finale più lunga nella storia del Grande Slam. Da quando Spencer Gore battè William Marshall a Wimbledon 1877, non c’era mai stata una finale così lunga, intensa ed emozionante. Non è stata la più spettacolare, perché Novak Djokovic e Rafael Nadal sono due grandi campioni, ma il loro tennis è troppo schematico. Per 5 ore e 53 minuti, comprensivi di una pausa per chiudere il tetto della Rod Laver Arena, lo scambio tipo era sempre il solito: Djokovic prendeva in mano lo scambio grazie alla maggiore profondità dei suoi colpi e attaccava Rafa con il dritto anomalo o il rovescio incrociato. Lo spagnolo arrivava, più o meno in affanno, a giocare il dritto incrociato, e il serbo provava a “finirlo” dall’altra parte. Se riusciva ok, sennò si ripartiva. Con ammirevoli e spettacolari variabili, il match non si è discostato dal canovaccio. Le grandi emozioni sono arrivate grazie all’incredibile alternanza di situazioni e punteggio, come solo nel tennis può accadere. Nadal sembrava morto, poi è resuscitato. Proprio come Djokovic. Che però, nello sprint finale, ha avuto un briciolo di coraggio in più e ha vinto il quinto Slam in carriera, il terzo consecutivo, il quarto negli ultimi cinque giocati. Ma la scena madre, ancor più che le urla belluine di un “Nole” a torso nudo subito dopo la vittoria, sono i due giocatori che attendono di essere premiati. Mentre uomini incravattati parlavano delle meraviglie di questo torneo per conto di KIA (sponsor principale) e della federtennis australiana, i due hanno chiesto una sedia perché non riuscivano a stare in piedi. Come Rocky Balboa e Apollo Creed dopo il loro leggendario primo incontro. Nei libri di storia verrà inciso il nome di Djokovic, ma senza Nadal non avremmo visto questa grande finale. E senza Nadal, Djokovic non avrebbe raschiato il barile delle energie.
 
Il punteggio finale recita così: 5-7 6-4 6-2 6-7(5) 7-5 per il serbo, ma se fosse stato un match di boxe sarebbe finito in perfetta parità. Quando un match di boxe finisce pari, il campione in carica mantiene la cintura. Essendo Djokovic numero 1 ATP e campione in carica dell'Australian Open, l’esito finale ha una sua logica. Ce l’ha per tutti, ma non certo per Nadal. Lo spagnolo ha saputo commuovere a cavallo tra il quarto e il quinto set, quando si è ribellato all’idea di una settima sconfitta consecutiva. Dopo Indian Wells, Miami, Roma, Madrid, Wimbledon e Us Open, voleva prendersi la rivincita almeno a Melbourne. Dopo aver vinto un primo set sfibrante sul piano delle energie, Rafa ha ceduto piuttosto nettamente il secondo (nonostante una bella rimonta, vanificata da un doppio fallo sul setpoint) e il terzo. A quel punto, l’inerzia sembrava tutta a favore di Djokovic, specie dopo che i primi due giochi del quarto set ricordavano pericolosamente quelli della finale dello Us Open, poi dominata dal serbo. Invece Nadal è rimasto attaccato al match, con le unghie e con i denti. Sul 4-3, Djokovic si è trovato 0-40 sul servizio di Rafa. Con una monumentale forza di volontà, lo spagnolo si è aggiudicato cinque punti consecutivi proprio mentre su Melbourne cadevano le prime gocce di pioggia in due settimane di torneo. Eravamo allo scoccare delle 4 ore, e dopo 10 minuti di attesa per chiudere il tetto e asciugare il campo i due hanno ripreso a tirare mazzate. Lo schema era sempre il solito, ma Rafa ci credeva sempre di più. Anche quando nel tie-break si è trovato sotto 5-3 ed ha avuto la forza di vincere quattro punti consecutivi, esultando come un pazzo. Era mezzanotte passata, e c’era un quinto set da giocare.


Nell’ultimo parziale è emersa la grandezza di Djokovic. I due, stremati da una finale mai così muscolare, hanno preso a giocare al risparmio. La potenza dei colpi si è ridotta di un 20-25% e tutto faceva pensare a una vittoria di Nadal, fisicamente più fresco e memore del quinto set dominato nella finale di tre anni fa contro Roger Federer. Invece Djokovic è stato grande nel radunare le (poche) energie rimaste e, sotto 2-4, ha infilato subito il controbreak. Nadal avrà come unico (e immenso) rimpianto un passante di rovescio a campo aperto che lo avrebbe portato su 40-15 e che probabilmente sarebbe stato decisivo. Una volta ristabilito l’equilibrio, Djokovic ha mostrato più coraggio ed ha infilato il break decisivo all’undicesimo game, chiudendo al 368esimo punto del match con una classica combinazione servizio-dritto, non prima di aver cancellato da campione una palla break che avrebbe ulteriormente allungato la pugna. Si è sdraiato per terra, e dopo un freddo abbraccio con il Rafa sconfitto si è tolto la maglia (aveva provato a strapparla ma non ci è riuscito, per la gioia dei cinesi che guidano la Sergio Tacchini) ed è andato a festeggiare sotto il suo clan. Durante la premiazione, in cui i due giocatori hanno mostrato ancora un buonismo da latte alle ginocchia (eccezion fatta per il “Buongiorno” con cui Nadal – con apprezzabile umorismo – ha salutato il pubblico, essendo quasi le 2 di notte, poi imitato da Djokovic), Djokovic ha espresso l’unico concetto interessante quando ha detto a Nadal: “Abbiamo fatto la storia, purtroppo non possono esserci due vincitori”. La sensazione è che lo pensasse davvero, perché stavolta era dura individuare il più forte.
 
La storia ride con Djokovic, quarto giocatore dell’Era Open a vincere tre Slam di fila. Prima di lui ci erano riusciti Rod Laver (presente in tribuna fino all’ultimo e anche durante la premiazione), Roger Federer e lo stesso Rafael Nadal. Con questo successo, il serbo raggiunge Tony Trabert e Frank Sedgman a quota cinque Slam, ma può vincere ancora. Nadal dovrà tornare a Manacor a leccarsi le ferite, perché non sarà facile tirarsi su dopo l’ennesima mazzata. Da quando è arrivato a 10 Slam, mettendo nel mirino Bjorn Borg e lo stesso Laver, si è bloccato contro il muro-Djokovic. Di Nadal, oltre che l’atteggiamento gladiatorio, è piaciuta la compostezza nel post-match. Ricordando la premiazione australiana di 3 anni fa, Nadal avrebbe avuto mille e più motivi per scoppiare in lacrime come accadde a Federer. Invece ha mantenuto la giusta lucidità e una fredda cortesia nei confronti di Djokovic, avversario che rispetta ma non ama. E’ il modo giusto per affrontare le sconfitte e ripartire, anche se qualche lacrima potrebbe cadere negli spogliatoi come accaduto dopo la finale di Wimbledon 2007 (una delle quattro sconfitte di Rafa in cinque set) o come due settimane fa, quando nella sua stanza di albergo non giocava a Pro Evolution Soccer ma temeva di non poter partecipare il torneo per i problemi al ginocchio destro. Djokovic adesso festeggerà: lo aspettano nella piazza centrale di Belgrado, magari dopo aver ringraziato le stesse divinità cui ha chiesto aiuto nei momenti più delicati del quinto set, quando baciava la croce di legno che portava al collo e faceva ripetutamente il segno della croce, memore di essere stato insignito dell’Ordine di Saint Sava, la più alta onoreficenza della Chiesa Ortodossa Serba. Perché dentro questa finale c’è finito di tutto. Il tennis è anche questo.

AUSTRALIAN OPEN 2012 – FINALE
Novak Djokovic (Srb) b. Rafael Nadal (Spa) 5-7 6-4 6-2 6-7(5) 7-5