Le dichiarazioni dell’olandese creano allarme. In realtà non è risultato positivo: produceva soltanto molto testosterone. Ma perchè tirare sempre in ballo Nadal? 
Robin Haase sostiene che i controlli antidoping debbano essere più mirati

Di Riccardo Bisti – 23 novembre 2013

 
In tempi di off-season è una notizia da prima pagina. Se poi spunta il nome di Rafael Nadal, la bolla scoppia e fa il giro del mondo. Tutto nasce da un’intervista di Robin Haase con il quotidiano olandese “Volkskrant”. A un’occhiata superficiale, la tentazione di titolare “Haase è risultato positivo a un test antidoping” era troppo forte. Infatti, ci sono cascati in molti. I fatti: nel 2006, Robin era un ragazzo di 19 anni, in grande ascesa. Quell’anno ebbe una forte impennata nel ranking ATP, scalando oltre 500 posizioni. Partito al numero 669, chiuse in 167esima posizione. Era il primo anno in cui i controlli erano gestiti dall'ITF. E un test scatenò l’allarme. L’ATP gli mandò una lettera, dicendogli di procurarsi un avvocato. Cosa può pensare un ragazzo di 19 anni di fronte a una frase del genere? In verità, era stata riscontrata una semplice anomalia nel rapporto tra il testosterone e l’epitestosterone, tecnicamente definito T/E. Se il rapporto supera il 4:1, potrebbe essere un buon indicatore dell'uso di sostanze illecite. Se aggiungiamo che quello fu l’anno della sua esplosione….la verità è che il testosterone era prodotto regolarmente dal suo organismo. La quantità prodotta dall’essere umano varia moltissimo: si passa dai 2 agli 11 microgrammi al giorno. Pare che anomalie di questo tipo siano piuttosto frequenti. “Ero sotto shock. Ho letto solo la prima pagina e ho immediatamente chiamato il medico Babette Pluim. Mi ha consigliato di leggere la pagina successiva. C’era scritto che sarei stato sottoposto a ulteriori tre controlli nelle successive due settimane. I valori erano identici, e da allora non ho più sentito nessuno”.
 
Non si può dunque parlare di insabbiamento, bensì di scrupolo nell’affrontare a fondo la questione. E comunque, i regolamenti sono chiari (anche se discutibili) non c’è alcun obbligo di rendere noti i casi di positività fino a quando non c’è una squalifica. Ce l’hanno spiegato bene nel 2013, quando l’estate è stata colorata dal giallo di Marin Cilic. Ma lì c’era una positività, così come accadde nel 1997 ad Agassi (in quel caso, oltre all’insabbiamento, non ci fu alcuna squalifica) e, si pensa, ad altri giocatori negli anni 90 (l’ex presidente della federtennis spagnola, Pedro Munoz, sostiene di averne visto più di uno). Nel caso di Robin Haase, invece, c’è stata solo una lieve anomalia, spazzata via dai seguenti test. E Robin Haase vide tutelata la sua privacy. “Forse la WADA ha registrato da qualche parte i miei valori, in modo che certe anomalie non siano considerate sospette. Non lo so” ha detto nell’intervista.
 
La storia finisce qui. O meglio, sarebbe finita senza gli ultimi virgolettati dell’olandese. “Non ho mai avuto paura di incorrere in sanzioni perchè ero certo di non aver mai fatto uso di doping. Oggi? Nel 2013 sono stato controllato una dozzina di volte, ma credo che i controlli debbano essere più mirati. Se Nadal vince tutto dopo sette mesi di stop, credo che debba essere accuratamente controllato”. Boom. L’ultima frase, pur senza contenere accuse, ha scatenato i colpevolisti di tutto il mondo. Appena si parla di doping, si trova il modo di citare Nadal. E tocca ripetere cose già scritte: in attesa dei dati ufficiali del 2013, abbiamo la certezza che Rafa sia stato il giocatore più testato nel 2012, anche e soprattutto nel periodo di pausa. E’ stato l’unico a sottoporsi a 7 o più controlli al di fuori delle competizioni. Mai come oggi, il tennis è nell’occhio del ciclone sull’argomento doping. Ognuno dice la sua, anche tra gli addetti ai lavori, basandosi soprattutto su sensazioni empiriche. Quelle scientifiche, ad oggi, dicono che Nadal non ha avuto il minimo problema con i test antidoping. Si può discutere, invece, sulla qualità dei controlli. Sandro Donati, il medico che ha dedicato una vita a questa battaglia, ha sfatato la teoria del doping che è sempre avanti rispetto all’antidoping. “E’ una questione di volontà – ha detto durante la trasmissione Spazio Tennis su Radio Manà Manà Sport – il doping è indietro perchè è come un poliziotto che fa rilevazioni sul luogo del furto mentre il ladro sta scappando, e si mette a inseguirlo solo dopo”. La WADA ha recentemente cambiato presidente, passando da John Fahey a Craig Reedie. Vedremo se cambierà qualcosa. E se i poliziotti daranno la caccia ai ladri in modo ancora più incisivo.