L’INTERVISTA – Secondo molti, Giorgio Galimberti è la persona più indicata per il ruolo da capitano dell’Italia nel post-Barazzutti. “Lo spero, non l’ho mai nascosto”. Nel frattempo, dirige la San Marino Tennis Academy e vuole portare Simone Bolelli nei top 20.– Giorgio Galimberti è un fiume in piena. Direttore della San Marino Tennis Academy, assistant coach delle formazioni di Coppa Davis e Fed Cup, volto e voce di Supertennis, da un paio di mesi è anche coach di Simone Bolelli insieme a Federico Torresi e al mentore Eduardo Infantino. Ma l’ex numero 115 del mondo non si accontenta, e non nasconde il sogno di poter diventare un giorno capitano della nazionale, magari già nel post-Barazzutti. L'abbiamo raggiunto nel suo fortino sul Monte Titano, dove da qualche mese ha dato il via alla sua prima attività imprenditoriale.
Le più grandi soddisfazioni te le sei tolte in Coppa Davis, ora sei assistant coach dell’Italia in Davis, qui a San Marino alleni praticamente l’intera formazione. Ti senti un po’ un uomo-Davis?
È una competizione che mi ha dato tante emozioni, dalla gioia pazzesca per la vittoria in doppio sulla Spagna di Nadal/Lopez a tante altre, comprese alcune sconfitte. A volte anche perdere lascia dei segni indelebili. La Davis per me ha rappresentato tanto: mi è rimasto il sogno di diventare capitano dell’Italia. L’ho detto con trasparenza e credo di essere fra i papabili, anche se ci sono anche altri pretendenti. Quando Barazzutti deciderà di lasciare, probabilmente nel 2016 come ha dichiarato, vedremo cosa succederà. Però lui è un’istituzione, se dovesse decidere di continuare è giusto che abbia la priorità.
Dalle tue parole si percepisce una certa stima nei suoi confronti…
Per me Corrado è come un padre, mi ha seguito quando giocavo in Coppa Davis e anche fuori, aiutandomi in alcuni tornei, Slam compresi. Anche qui a San Marino viene più volte nel corso dell’anno a supervisionare i ragazzi della mia accademia. C’è una collaborazione.
Ci descrivi il tuo ruolo con le nazionali?
Diciamo che il mio rapporto con la Federazione per Coppa Davis e Fed Cup ha più chiavi di lettura. In primis mi permette di rimanere aggiornato, avere sott’occhio i migliori giocatori italiani, confrontarmi con dei grandi coach e trarre spunti per gli allenamenti. Mi piace pensarlo come un corso di formazione iniziato nel 2012, quando parlando con Corrado e il presidente Binaghi dissi che ero disponibile a collaborare con la nazionale. È venuto fuori un ruolo che mi piace molto e ormai si è calcificato. Non so se ci siano secondi fini per il futuro, io me lo auguro e sto vivendo questa esperienza come una ‘scuola da capitano’, per agevolare il passaggio di consegne. Ma magari è solo una mia interpretazione, e chi di dovere non lo pensa nemmeno.
Pensi che il grande rapporto costruito con i ragazzi ti possa aiutare?
Sicuramente mi ha dato una mano il fatto di aver giocato con tutti, Seppi, Bolelli e pure Fognini. Dopo l’operazione alla spalla ci persi nettamente, e lui ci scherza ancora: “ti ho dato 6-2 6-1”. Conosco tutti benissimo e c’è quel leggero distacco d’età che può far sentire un po’ d’autorevolezza, anche se poi non ce n’è bisogno. Ci sentiamo per tanti motivi, anche fuori dalla Davis, e penso che questo rapporto molto familiare possa agevolarmi in un eventuale futuro da capitano.
Conosciamo tre versioni di Giorgio Galimberti. La prima l’abbiamo appena analizzata, veniamo alla seconda: direttore della San Marino Tennis Academy.
Il mio impegno qui è iniziato nel 2009, quando dalla Federazione Sammarinese mi hanno chiesto di lavorare per loro. La struttura è ottima, abbiamo costruito tre nuovi campi (oggi sono 8) e nel 2015 ho rilevato l’accademia, fondando la società ‘Sta Srl’, di cui sono amministratore unico. Gestisco io l’accademia, ospite sui campi della Federazione. Si sono resi conto che dovevano lavorare su obiettivi federali e non sulla gestione di un'Academy, così sono subentrato io. Ho anche maggiore libertà nella gestione degli investimenti. Diciamo che dal 2015 sono a tutti gli effetti un imprenditore del settore tennis. Ne vado fiero: ho solo 38 anni e la macchina sulla quale sono salito sta andando molto bene.
E ce la racconti un po’, questa San Marino Tennis Academy?
C’è un po’ di tutto, dai ragazzi che fanno full-time alla scuola tennis, e capita che arrivi gente dall’estero per allenarsi qui. Siamo ben attrezzati anche per loro. Abbiamo dei buoni prospetti, qualche giovane seconda categoria che a livello ITF qualcosa ha vinto, e speriamo di crescere ancora. Il fiore all’occhiello è stato un corso sperimentale svolto da settembre a giugno. Abbiamo regalato 9 mesi di tennis a circa 110 ragazzini dai 4 ai 6 anni, con l’obiettivo di tenere una buona scuola da sviluppare in futuro. 45 proseguiranno: è un numero importante. Nel tennis bisogna essere lungimiranti e lavorare alla base, per far crescere il maggior numero possibile di ragazzi e creare un ambiente ricco e competitivo.
Terza versione: coach di Simone Bolelli. Situazione?
Il contatto è nato prima degli Internazionali d’Italia. Simone mi ha chiamato e mi ha chiesto cosa ne pensassi e soprattutto se sarei riuscito, compatibilmente con i miei altri impegni, a inserirmi nel suo team. Comprende Eduardo Infantino, che non lo segue nei tornei ma è un po’ il suo mentore, la persona di riferimento, e Federico Torresi, che sta facendo il mio stesso lavoro. A Parigi siamo andati entrambi, per conoscerci e ragionare sulla situazione. Abbiamo deciso che andare sempre in due non ha senso, c’è il rischio che si crei un conflitto di ruoli, così abbiamo stabilito le competenze di ognuno e ci siamo divisi i tornei e le settimane di allenamento. La base di Simone rimane Tirrenia, dove c’è Infantino e dove sia io che Federico faremo tappa. Una soluzione ottimale, perché mi permette sia di seguire l’accademia sia di girare nei migliori tornei del mondo. Un grande motivo d’orgoglio.
Nonostante la saggia organizzazione di cui hai parlato, non c’è il rischio che tre persone diventino troppe?
Alla fine le persone che viaggiano con lui sono due, io e Federico. Infantino sta dietro, con la sua grande esperienza, a stabilire piani e obiettivi. Poi, sulla base di dialogo e collaborazione, lavoriamo per portare avanti un progetto comune. Sicuramente tre persone chiuse non possono collaborare, sta tutto nella loro intelligenza. Sarei stupido se pensassi di inserirmi in un team e passare sopra agli altri. Ci sono dei ruoli da rispettare nell'interesse del giocatore. Non devo fare io il protagonista, come nessuno degli altri due. Non ne abbiamo bisogno. La pensiamo tutti allo stesso modo.
Come hai vissuto queste prime settimane?
Forse sembrerò presuntuoso, ma credo di avere già l’esperienza giusta. Ho giocato a buoni livelli, ho avuto tanti allenatori bravi, conosco il giocatore, non credo ci siano altre grandi difficoltà. L’importante è capire la necessità di chi si ha davanti. Non dipende dalla lunghezza del periodo in cui lo si segue. Se uno è bravo a fare il suo lavoro lo capisce subito. L’aver giocato è un plus non indifferente, un qualcosa che chi non ha giocato non può avere. Non a caso nel tennis moderno quasi tutti i coach sono ex giocatori.
Quindi ritieni più importante la tua esperienza da giocatore rispetto agli studi successivi?
Questa domanda l’ho già sentita (l’avevamo posta il mese scorso a Giancarlo Petrazzuolo, ex coach di Bolelli, ndr). Io non sono stato un campione, ma a un certo livello ho giocato. E credo che le risposte di ogni giocatore derivino dal genere di esperienza che ha vissuto. Nel mio caso ha più importanza quella da giocatore. Ma questo non sminuisce il corso da tecnico nazionale, di cui vado fierissimo. Diciamo che metto davanti l’esperienza da giocatore, potenziata dalle informazioni raccolte con gli studi.
Dove può arrivare questo Bolelli?
A Simone è sempre mancato un po’ di carattere, un po’ di cattiveria agonistica. Ma se l’avete visto di recente, sono arrivati i pugnetti, i “forza”, le espressioni positive. L’emblema è stato il match con Viktor Troicki a Parigi. Si è messo nelle condizioni psicologiche per giocarlo al meglio. Era carico, si incitava. Diciamo che sta maturando e lavorando molto, sia in campo, per provare ad aprirsi di più il campo con degli angoli per poi affondare di potenza, sia col preparatore atletico Carlo Ragalzi. Il rovescio è migliorato, serve ancora un pochino di mobilità da fondo campo: negli anni ha fatto grandi progressi, ma non bisogna fermarsi. Anche Federer a quasi 34 anni continua a inserire qualcosa di nuovo nel proprio tennis. La consapevolezza di essere sano, pronto e preparato aiuta a giocare bene. Bolelli potrebbe fare un 2016 da primi 20 al mondo. Lui è uno di quelli che contro i top player ha sempre giocato bene, ma gli è mancato qualcosina di testa. Stiamo lavorando anche su quello. I mezzi tecnici ci sono.
In pochi anni sei passato da giocatore a coach nel circuito. Come vedi ora l’ambiente tennis rispetto a prima?
Secondo me ogni anno si gioca sempre meglio, sempre più vicini alle righe, lo spazio fra i due avversari è sempre minore. Il tennis è in continuo mutamento, alcune soluzioni tattiche spariscono, poi ritornano. È necessario essere sempre aggiornati. Dal punto di vista umano, invece, è un ambiente di brave persone. Magari arrivo nello spogliatoio e capita che Federer mi dica “Hi Galimba, how are you?”. Federer! Io non sono nessuno e questo mi saluta? Oppure Djokovic che mi abbraccia. Sì, abbiamo giocato il doppio insieme un paio di volte, ma nient’altro. Più sono forti, più i giocatori hanno i piedi per terra.
C’è qualcosa che cambieresti?
Mi piacerebbe trovare una soluzione per aumentare i montepremi dei tornei minori, perché la gavetta nei Futures è veramente una vita da cani. C’è molta gente che fa tanta fatica dal punto di vista economico. Mi piacerebbe che si riuscisse a guadagnare di più, così da pagare il coach, le spese e mettere via qualcosa a fine anno. Non arrivare a 30 anni e aver speso pure tutti i soldi della famiglia. Il livello tennistico è altissimo, ma dal punto di vista economico non è ripagato. I montepremi sono invariati da una vita. Ai miei tempi chi vinceva uno Slam prendeva 800mila euro, oggi prende due milioni. Una crescita che non è stata direttamente proporzionale anche nei Futures. Però non ho una soluzione, altrimenti l’avrei proposta.
Non pensi che si potrebbe risolvere investendo una parte degli introiti degli Slam?
Certo, si potrebbe creare un fondo, basterebbe l’1% da ogni torneo e si farebbe tantissimo. Ma nella piramide la distribuzione dei soldi va sempre in alto. E chi arriva in cima alla piramide, e quindi ha voce in capitolo, non si interessa degli altri, non pensa da dove è partito. Se vogliamo è un po’ come la politica: tutti predicano bene ma una volta arrivati lassù se ne approfittano. Un sistema difficile da modificare.
Novak Djokovic può diventare il più forte di sempre?
Non amo fare paragoni. Credo che insieme a Federer e Nadal formi un’incredibile generazione di fenomeni. Hanno tutti vinto tantissimo, con stili diversi. Forse Novak è quello che può risultare un po’ meno divertente, ma questo non toglie nulla a quello che ha fatto e farà. Io comunque sono un tifoso di Federer, l’apice di tennis espresso da lui è quello che più mi ha divertito.
Prima da giocatore di Davis, poi da assistant coach, sei nell’ambiente federale da una quindicina d’anni. Come è cambiato in questo periodo?
Corrado ha fatto un grande lavoro nelle squadre, per creare un ambiente sano fra tutti, giocatori, coach e staff. Oggi la Federazione sta cercando di supportare il più possibile i giocatori, con tanti servizi, vari medici. Sta facendo un buon lavoro. Gli Internazionali stanno riscuotendo un successo pazzesco, e la televisione è stata la mossa numero uno. Ha dato uno slancio mostruoso alla popolarità del tennis. Io vedo mia madre, guarda solo SuperTennis da mattina a sera. E chissà quanti altri come lei. E poi stanno mettendo mano al settore tecnico. È un lavoro lungo e complicato, ci sono ancora tanti passi da fare, per creare un ambiente valido con tecnici di spessore. L’obiettivo è di rendere Tirrenia un centro dal tale appeal che i giocatori facciano a gomitate per essere convocati.
Argomento Fognini, personaggio che divide. Siete amici, la tua idea?
Racchiude tutto una frase che ho sentito di recente, pronunciata da John McEnroe. Il concetto era: “paragonano Fognini a me, la tempra è uguale, ma a lui manca la costanza di fare comunque il 100% indipendentemente dalla rabbia”. Ogni tanto perde il focus, regala qualche partita. Deve lavorare su quello: non mollare un punto. Sta facendo fatica a ritrovare il bandolo della matassa. Gli italiani gli danno molto peso, hanno un giudizio negativo, mentre gli stranieri sono solo divertiti da lui, non vengono urtati dal comportamento perché non si mettono nei suoi panni come facciamo noi. Poi per carità, in alcune occasioni ha esagerato, non ho problemi a dirlo e l’ho detto pure a lui, ma rimane un ragazzo con cui ho un ottimo rapporto, sono molto legato anche alla sua famiglia. Diciamo che il Fognini che conosco fuori dal campo , generoso e disponibile, va a bilanciare con qualche casino che combina ogni tanto.
In passato sei stato spesso criticato per eccesso di patriottismo nelle telecronache della Coppa Davis. Cosa ne pensi?
Quello che ho sempre detto: coloro a cui dà fastidio possono cambiare canale o togliere il volume. Io sono italiano, commento l’Italia, che altro devo fare? Qualcuno si è mai permesso di dire a Galeazzi di non commentare in maniera così concitata? In giro ci sono tanti invidiosi, tanta gente che ha voglia di rompere le scatole. Il consenso lo conosciamo, è al 90%, e c’è un 10% di oppositori che sappiamo da dove arriva. Io mi reputo un federale, perché credo che questa Fit stia facendo bene e perché quando ero giovane mi ha dato tanto. Sono riconoscente di questo, non sono una persona che dimentica.
Si dice che Camila Giorgi sia un po’ chiusa, tenda a non fare gruppo. Da dentro come la vedi?
Camila è bravissima ed educatissima, forse un tantino introversa, ma quella è una sua particolarità. È fatta così, questo non crea alcun problema. All’interno del team si è fatta ben volere, nonostante fosse la nuova arrivata e ci fossero degli equilibri e dei meccanismi già oliati, all’interno di un gruppo vincente. Diciamo che all’inizio c’era un po’ di imbarazzo, di mancanza di abitudine, ma ora Camila è parte integrante del team Italia.
E i giovani? Prima sembrava che Quinzi dovesse spaccare il mondo, ora si punta su Donati…
I ragazzi di livello ci sono, ma la strada è molto difficile. Mi auguro che Quinzi trovi presto la serenità e uno staff di livello, a mio avviso sta cambiando troppe guide. Un allenatore ha bisogno di tempo, non ha la bacchetta magica, non può fare i miracoli in un mese. Donati mi piace tantissimo, l’ho notato quando lo scorso anno ha fatto da sparring alla nazionale nel week-end di Napoli. Fa tutto bene, è un ragazzo umile, tranquillo. Dissi che per me sarebbe venuto fuori, e sta venendo fuori. Ma ciò non esclude che presto possa partire anche Quinzi, così come tutti gli altri. Ci vuole tanto lavoro, umiltà e organizzazione.
Il tanto atteso top 10 salterà fuori?
Sì, ma come hai detto ‘salterà fuori’. Non credo lo si possa costruire. Guardate Baghdatis, o Dimitrov, vengono da nazioni senza chissà quale tradizione. Hanno tirato la monetina e gli ha detto bene. Anche i discorsi sulla fame di vincere sono cavolate. Non è una fame di soldi, ma di adrenalina, di sensazioni positive, quelle date dalle vittorie e di cui ogni giocatore si nutre. Secondo me fra non molto arriverà, e la sua presenza si ripercuoterà su tutto il movimento, come avvenuto per lo sci con Alberto Tomba. Serve qualcuno da emulare. Abbiamo grandi giocatori ma non grandissimi campioni. Un top 10 fa la differenza.
Fra le donne ne abbiamo avute tre…
Non sminuisco assolutamente il tennis femminile, però da un punto di vista di traino non riesce a competere con il maschile. Detto questo, siamo stati veramente fortunati ad avere delle giocatrici come Errani, Pennetta, Schiavone, Vinci, e pure Giorgi e Knapp. Fra le donne siamo uno dei movimenti più forti del mondo. Speriamo di arrivare lì anche con gli uomini. Credo sia qualcosa di ciclico, e l’Italia si sta organizzando bene. Quando arriverà qualche ragazzo con mezzi tecnici e fisici adatti, il top 10 si farà.
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