Quando un campione saluta è sempre un momento triste, specie se lo fa nel torneo di casa. Ma Lleyton Hewitt è rimasto fedele a se stesso fino alla fine. “Rusty”, “Canguro Mannaro”, uno dei più grandi agonisti della storia, ha resistito alle lacrime nonostante abbiano fatto di tutto per farlo piangere. Bec Cartwright è scoppiata in lacrime quando i tre figli Mia Rebecca, Cruz e Ava Sydney e sono scesi in campo e hanno partecipato a una celebrazione fatta di parole, boati, un filmato in cui Federer, Nadal, Djokovic, Murray e Kyrgios lo hanno salutato e omaggiato. “Non so se ho pianto. Forse un paio di lacrime” ha detto tra i sorrisi, nell'ultima conferenza stampa da giocatore. Accanto a lui, i figli. Tra loro il piccolo Cruz, che ha iniziato a giocare a tennis un mese fa, in una lezione privata con Peter Smith, che fu anche il primo maestro di papà. Lleyton ha spiegato che gli piacerebbe vederlo esordire nel tour a 14 anni, in modo da battere il suo primato (lui ha iniziato a 15). “Speriamo che un giorno possa giocare questo torneo, se lui vorrà”. Opinione diversa rispetto a Roger Federer, che non si augura una carriera tennistica per le gemelle Charlene Riva e Myla Rose. Ma Hewitt, si sa, ha sempre vissuto il tennis come una missione. Infatti non si prenderà neanche un giorno di riposo. Al massimo una birra “tranquilla” in questo strano giovedì notte, poi di nuovo in campo per il doppio con Sam Groth. Dopo l'Australian Open, un ultimo salto negli spogliatoi per infilare la tuta gialloverde dell'Australia e pianificare l'assalto alla Coppa Davis, nelle vesti da capitano. Si partirà il 4 marzo, sempre a Melbourne, nel vecchio impianto di Kooyong, dove 20 anni fa si innamorò della competizione quando vide la grande rimonta di Pat Cash su Mikael Pernfors. La fine è stata dolce, con poche tracce di rimpianti. Molto meglio perdere da un campione come David Ferrer piuttosto che con un giocatore qualsiasi. La simbologia aumenta nel momento in cui si scopre che a casa Ferrer c'è un piccolo “museo” in cui troneggia una t-shirt autografata di Hewitt. “Non ho mai avuto un idolo, ma lui è stato qualcosa di molto simile” ha detto lo spagnolo, che si è rapidamente defilato per lasciare spazio e gloria a Lleyton.
IL MOMENTO GIUSTO PER DIRE ADDIO
La partita è stata esattamente come ci si aspettava. “Ferru” ha appena 14 mesi in meno di Hewitt, ma la sua cilindrata è superiore. All'australiano è mancato il “punch”, era sempre costretto a giocare una palla in più e spesso finiva fuori giri. Fedele a se stesso, ha dato dell'idiota a un giudice di linea per avergli chiamato un paio di falli di piede. Ha scatenato un paio di ovazioni dopo alcuni punti vinti. “Credo siano stati i boati più grandi che io abbia mai sentito”, avrebbe poi detto in conferenza stampa. Nel secondo set ha avuto una montagna di palle break sul 4-3, ma Ferrer non gli ha concesso neanche una briciola. E lo ha punito nel game successivo. Nel terzo ha finalmente brekkato (2-1 e servizio), ma nemmeno lui ha pensato al quarto set. Era chiaro che sarebbe finita in tre set per poi lasciare spazio alle emozioni. Gli avevano preparato tutto, dal filmato emozionale alla discesa in campo dei figli. Lui non ne sapeva niente ma si è goduto ogni attimo. E chi pensa che la Rod Laver Arena gli abbia dato solo delusioni si sbaglia. E' vero che non ha mai vinto l'Australian Open (al massimo ha giocato una finale, nel 2005), ma nel 2003 ha provato l'immenso godimento della Coppa Davis. In semifinale ha infilato una grande rimonta contro Federer, in finale ha battuto Juan Carlos Ferrero in cinque set. Manco a dirlo, resta l'ultimo successo dell'Australia in Coppa Davis. Qualcuno ha anche provato a fargli cambiare idea, come Nick Kyrgios. Ma lui è irremovibile. “E' il momento giusto per fermarmi. Ho spinto al limite il mio corpo e non vedo l'ora di passare alla nuova fase della mia carriera. Una fase che prevede di dare una mano a tanti giovani, tra cui anche Nick”.
ERRORI E RINASCITE
Lleyton Hewitt è stato il James Brown nel tennis. “Pensa che palle il mondo se non avesse detto 'Get Down'” diceva una canzone-omaggio. Possiamo dire lo stesso dei “C'mooon!” dell'australiano. Ne ha strillati a migliaia, facendo imbufalire parecchi avversari. Tra loro Alex Corretja, Juan Ignacio Chela (ricordate lo sputo dell'argentino, proprio in Australia?) e David Nalbandian. Come il “Padrino del Soul”, anche lui ha avuto i suoi problemi con la “giustizia”. Prima le presunte accuse di razzismo nei confronti di James Blake (Us Open 2001, polemica con un giudice di sedia di colore), poi qualche lamentela per le condizioni di gioco al Foro Italico (tanto da costringere Sergio Palmieri a tenere una conferenza stampa), infine quella voglia di fare soldi utilizzando alcuni marchi che erano già registrati. In primis il “vicht”, poi il logo “C'mooon!”. Ha fatto tutto in modo legittimo ma non sempre impeccabile sul piano etico. E qualche giornalista si è arrabbiato quando, nel 2010, ha fatto sapere il nome della terza figlia solo a chi sottoscriveva un servizio di SMS in abbonamento. Ma….
Ogni uomo fa i suoi errori
e per lui la vita forse non è stata tutta fiori
Una finestra a quadri, lui da dietro, gli altri fuori
Ma la musica, la musica cancella anche gli errori
E' andata così per James Brown, possiamo dire lo stesso di Hewitt. Col tempo ha limato alcuni atteggiamenti che irritavano i colleghi ed è diventato un esempio per i giovani. Un esempio di come il duro lavoro permetta di superare ogni limite. Perchè – diciamolo pure – nessuno pensava che quel biondino smilzo e un po' isterico sarebbe diventato numero 1. Invece ce l'ha fatta (per 80 settimane!) e ha vinto tutto quello che poteva vincere. Lo Us Open nel 2001, quando bucherellò Pete Sampras dalla prima all'ultima palla, e Wimbledon 2002, simbolo supremo di un vuoto di potere che da lì a poco sarebbe stato colmato da Roger Federer. Se lo prese a morsi, vincendo un match clamoroso nei quarti contro Sjeng Schalken, rimontando da 2-4 nel quinto set. Quando Federer ha preso in mano il tennis, per Lleyton sono iniziati i problemi fisici. Normale, perché aveva sottoposto un fisico normale a ritmi da Superman. Tra un'operazione e l'altra si è trascinato fino al 2012, quando l'alluce del piede sinistro era ormai devastato dai continui cambi di direzione. 4-5 medici gli dissero che avrebbe dovuto smettere, ma lui non si è arreso. Voleva che i figli si rendessero conto di avere un papà campione. E ha vinto lui, acciuffando il titolo ATP numero 30. In mezzo, anche un paio di vittorie su Federer (Halle 2010 e Brisbane 2014). Davvero, non poteva chiedere di più a se stesso. Nemmeno nella notte di Melbourne.
Sono in tanti ad aspettarlo quando mister Brown ritorna
invecchiato, un po' ingrassato ma sul palco sempre in forma
e continua a riproporre questo ritmo universale
sempre giovane e potente, ancora micidiale
con i nuovi musicisti che si schierano al suo fianco
con lui che canta e balla senza essere mai stanco