Gli addetti ai lavori non hanno dubbi: Karolina Pliskova è tra le favorite dell'Australian Open. E hanno ragione. Però non hanno fatto i conti con una ragazzona americana che, sotto il tetto della Rod Laver Arena, ha firmato una mezza sorpresa a dispetto del ranking WTA. Coco Vandeweghe è numero 35 WTA, mentre Eugenie Bouchard è 47esima. Però a Melbourne Park aveva già raggiunto una semifinale, tre anni fa, quando si era rivelata al mondo. Il ritorno con coach Thomas Hogstedt l'aveva caricata a mille, sembrava il torneo della rinascita. Invece l'ha spuntata Coco, al termine di una bella battaglia, col punteggio di 6-4 3-6 7-5. E così sarà l'american(on)a a sfidare Angelique Kerber negli ottavi, provando a borseggiarle il titolo conquistato 12 mesi fa. Coco ha limiti precisi, ma ha una grande dote: la personalità. Ed ecco che torniamo a Karolina Pliskova. Un paio d'anni fa, la Vandeweghe l'ha battuta al secondo turno di Wimbledon. La ceca era già più forte, più titolata. Ma Coco gelò tutti: “Guardate che ho più armi di lei”. Per adesso i risultati non le danno ragione, ma la californiana nata a New York, famiglia di super-sportivi e genitori divorziati, non ha abbassato di una virgola l'asticella delle ambizioni. Un paio d'anni fa le hanno chiesto se ambisce a diventare numero 1 WTA. “E' sempre stato il mio obiettivo, quindi, perché no? Ho sempre avuto sogni di questo tipo: vincere uno Slam, una medaglia d'oro…devo mettermi nella posizione di pensare che sia possibile”. Difficile che ce la faccia, però la personalità – che a volte sfocia nella presunzione – le ha consentito di portare a casa un match complicato, in cui si è trovata in svantaggio di un break nel terzo set (2-0, 3-1, 4-2), poi ha riacciuffato la parità e ha giocato un game magistrale sul 4-4, cancellando ben quattro palle break, in un game eterno, condito da otto parità. Col suo servizio in kick ha fatto sfracelli, anche quando non metteva in campo la prima.
TALISMANO MARTINA
“Non c'è problema se devo giocare la seconda – ha detto – mi sono accorta che lei non gestiva troppo bene il mio kick. Il mio obiettivo è giocare spesso la prima, perché non è divertente ricorrere alla seconda, però il mio gioco non è così legato al servizio. Ho trovato fiducia nello scambio da fondo, poi giocare il doppio ha migliorato la risposta. Insomma, il servizio non è più una questione di vita o di morte”. A proposito di doppio, nel suo box c'era Martina Hingis, sua compagna in questo torneo. “Dopo avermi riscaldato, è stata lei a chiedermi se avevo un biglietto in più. Io ho detto 'Ok, parla pure con Craig' (Kardon, suo coach da un anno e mezzo, ndr). E' sempre buono quando qualcuno fa il tifo per te. Martina è contenta dei miei successi, anche perché se vinco in singolare scendo in campo più contenta anche in doppio. E' una bella persona, non aveva particolari motivi per venire in tribuna”. La storia della Vandeweghe esalta la teoria di Malcolm Gladwell, secondo cui un talento non nasce mai per caso, ma è sempre favorito dall'ambiente che lo circonda. Ed è quanto accaduto a Colleen Vandeweghe (questo è il suo vero nome, “Coco” è spuntato negli anni di scuola, quando la chiamavano “Coco Pebbles” e “Coco Puffs”), nipote di un campione NBA (Ernie) e soprattutto figlia di un'atleta olimpionica. Mamma Tauna ha partecipato a due Olimpiadi: Montreal 1976 da nuotatrice (“E rimase sconvolta dalla mascolinità delle nuotatrici della Germania Est. Le sembrava che lo spogliatoio fosse pieno di uomini, poiché avevano voci profonde e passi martellanti. Poi si è scoperto che erano piene di steroidi”) e Los Angeles 1984, da pallavolista. Ed è stato proprio nel 1984, quando Coco non era nemmeno nei pensieri della madre, che si sono gettate le basi del suo gran servizio, uno dei migliori del circuito. “Il servizio me l'ha insegnato Vic Braden. Credo che debba entrare nella Hall of Fame, sono stupita del fatto che ci sia un dibattito”.
VIC BRADEN SI', POLITICA NO
Morto nel 2014 a 85 anni di età, era stato tra i pionieri del professionismo ed era noto per i suoi metodi innovativi, che divulgava nel “Vic Braden Tennis College”, sito a Coto de Caza, California. “Nel 1984, mia madre si allenava proprio a Coto de Caza, lui la prese da parte e le disse che doveva giocare a tennis, altro che pallavolo. Sembrava folle, invece fu mia madre a mettermi in contatto con lui. E' stato utile per diversi giocatori e ha cambiato il gioco in tanti modi”. Se non ci riuscì con la madre, Braden ha saputo spingere verso il tennis la giovane Coco, scippandola al basket. Dovesse centrare un grande risultato, glielo dedicherà. “Guardate che quella contro la Bouchard non è tra le mie vittorie più importanti. Nella mia breve carriera ho vinto diverse partite che ricordo con piacere, come il mio primo titolo WTA ('s-Hertogenbosch 2014, ndr), poi quando a Montreal ho superato Jankovic e Ivanovic, una dopo l'altra. Questo successo me l'aspettavo, è funzionale a quello che voglio realizzare quest'anno e in questo torneo”. Peccato che non le abbiano chiesto quali obiettivi abbia. Forse non ricordavano quella frase buttata lì, due anni fa, quando parlò senza peli sulla lingua. Per adesso ha fallito, incapace di andare oltre la 29esima posizione. Non crediamo ce la farà, però il plexicushion di Melbourne, così rapido, fa tornare in mente una frase di coach Craig Kardon. “Credo possa diventare la seconda giocatrice più forte sull'erba, solo Serena Williams è superiore. Deve giocare più prime palle ed essere più costante”. La rapidità dell'Australian Open 2017, in fondo, ricorda quella dei prati londinesi. E così Coco è tornata protagonista, pronta a sfidare la numero 1 del mondo. “Ci ho giocato una volta sola, un paio d'anni fa a Stanford”. Non ricorda bene, poiché l'ha pescata anche a Wuhan 2015. In entrambe le occasioni ha perso, una per ritiro. “Ma sono convinta che stavolta sarà divertente e interessante”. Solo tennis, per Coco: non seguirà l'insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca. “Sarà alle 4 del mattino, come faccio? Neanche in replica, qui non c'è TiVo. Ma non mi piace parlare di politica, per favore”. Meglio parlare delle sue (folli?) ambizioni con una racchetta in mano.