Il teschio sulla maglietta Hydrogen completa la simbologia di Simone Bolelli, già pirata con orecchino e barba incolta. Prima semifinale ATP dal 2008: è iniziata la seconda carriera?
In semifinale, Simone Bolelli se la vedrà con David Nalbandian
Di Riccardo Bisti – 16 febbraio 2013
Simone Bolelli aveva bisogno di una simbologia forte, qualcosa in cui identificarsi per tornare a ruggire come cinque anni fa, quando la sua crescita sembrava inarrestabile. All’epoca giocava col cappellino all’indietro e l’orecchino da pirata. Poi è successo quel che è successo, ed è piombato in una crisi che sembrava altrettanto inarrestabile. Era uscito dai top 100 e non riusciva a riprenderli. Non c'era verso. Il look da bravo ragazzo, così adatto a un tipo tranquillo come lui, non gli ha portato fortuna. Lo scorso anno ha ripreso a indossare il cappellino all’indietro, mentre l’orecchino c’è sempre stato. Ha vinto un paio di challenger (Florianopolis e Recanati) e piano piano ha ritrovato l’aria dei grandi tornei, quella dove si esprime al meglio. Quest’anno, la simbologia ha raggiunto la sublimazione: Hydrogen è un brand nuovo, giovane, ambizioso. Per lanciarsi nel tennis ha scelto di legarsi proprio a Simone. Il bello è che il simbolo Hydrogen è un teschio, un po’ macabro ma grintoso. E il teschio è il simbolo dei pirati, gli stessi che Simone evoca con l’orecchino e la barba che di tanto in tanto si lascia crescere. Un mix che al torneo ATP di San Paolo è micidiale: l’aspetto trasandato, da pirata incazzato, che si unisce a un tennis elegante e alla calma tipica di Simone, ragazzo che non si esalta quando vince e non si deprime quando le cose vanno male.
Simone deve ringraziare se stesso, questo equilibrio interiore, se nella classifica di lunedì prossimo tornerà tra i primi 70 ATP. L’ultima volta risaliva al 19 ottobre 2009, quando non vinceva più una partita e nel suo best 18 c’erano ancora (tanti) punti conquistati sotto la guida di coach Claudio Pistolesi, con cui si è separato il 21 maggio 2009, durante la World Team Cup. Da allora tanti tentativi, alcuni miseramente falliti (Riccardo Piatti, Renzo Furlan), e le critiche di un ambiente che non accettava lo spreco di un talento cristallino, che può stare (almeno) tra i top 50. Con un altro carattere, chissà, avrebbe potuto arrendersi, rassegnarsi a una dimensione da challenger, e magari vivacchiare grazie al doppio e alla Coppa Davis (dove viene convocato “d’ufficio” da quando è rientrato nei ranghi federali). Invece – sia pure a modo suo – Simone ha continuato ad allenarsi seriamente, con dedizione, alzandosi alle 7 è andando a correre tutte le mattine a Monte Carlo, dove risiede. Ok, al mondo c’è di peggio, ma quando perdi contro Dustov, Pashanski, Munoz de la Nava, Marcan, Millot, Gil, Elias, Bubka….qualche dubbio ti viene. E magari è più facile abbandonarsi tra le braccia della splendida moglie Ximena. Invece ha continuato, convinto di potercela fare. Magari non pensa più di entrare tra i primi 10 come diceva – senza spavalderia – fino al 2009. Ma in un tennis dove l’età media è sempre più alta, 27 anni sono l’età giusta per cercare un salto di qualità.
La semifinale a San Paolo, dove ha superato Albert Montanes (terza volta su tre scontri diretti) con un doppio 6-4, lo riporta tra i primi quattro di un torneo ATP dopo quasi cinque anni. L’ultima volta risaliva al maggio 2008, quando a Monaco di Baviera raggiunse addirittura la finale. Si presentò a Roma come nuova stella del tennis italiano e giunse al terzo turno prima di cedere a Roddick. Terzo turno a Parigi (battendo Del Potro), terzo turno a Wimbledon (battendo Gonzalez)…e poi i fatti di Montecatini, dove si è spenta la prima carriera di Simone. Da allora, un lungo periodo di oblio, in attesa di trovare lo slancio per la seconda. Pare che il momento sia arrivato. “Sapevo che sarebbe stata una partita difficile: sulla terra Montanes è forte, ma le condizioni sono veloci e in queste tre partite mi sono adattato molto bene. Ho servito bene e sono rimasto concentrato per tutta la partita”. I pezzi sono finalmente al loro posto. Dopo aver sciupato tre palle break nel quinto game, ha brekkato sul 4-4 e ha chiuso il primo set con un ace. Dopo un gentile scambio di break in avvio di secondo, Simone ha trovato l'allungo decisivo sempre nel nono game e ha visto premiato il suo tennis più aggressivo. I 90 punti ATP di San Paolo porteranno il suo bottino a 725 (gli scadono i 17 dei quarti al challenger di Ortisei). In caso di finale, intascherebbe altri 60 punti che lo porterebbero addirittura tra i primi 60. Se la vedrà con David Nalbandian, uscito vincitore da una grande partita contro Nicolas Almagro, campione in carica del Brasil Open. L’argentino si è imposto 7-6 3-6 7-6, attirandosi le simpatie del pubblico per il suo tennis spettacolare, e chiudendo con una spettacolare risposta di rovescio. I due non si sono mai affrontati, ma Eduardo Infantino, coach di Bolelli, in passato ha allenato Nalbandian. Chi meglio di lui potrà consigliarlo? Il Pirata è tornato, ma adesso vuol sbarcare su isole ancora più ricche. La stiva del Galeone ha fame di tesori.
CADE VOLANDRI. Per un po’, l’Italia ha sperato di piazzare due semifinalisti a San Paolo. Invece, a sorpresa, Filippo Volandri si è fatto sorprendere dall’argentino Martin Alund con il punteggio di 7-5 7-6. Alund ha 27 anni, è numero 111 ATP (sua miglior classifica di sempre) e prima di questo torneo non aveva vinto una sola partita nel circuito ATP. Si sta rifacendo con gli interessi e – salvo sorprese – si toglierà lo sfizio di giocare contro Rafael Nadal.
Essere vulnerabili, e ammetterlo, è una grande risorsa
Vulnerabili lo siamo tutti, anche e soprattutto i tennisti, in un’epoca in cui la pressione per il risultato è...