Oggi, 18 settembre, è un giorno storico per la storia politica della Gran Bretagna. Per la prima volta è stato indetto un referendum sull’indipendenza della Scozia e, se dovesse prevalere il “si” alla separazione, si apriranno nuovi scenari politici. Anche nello sport … di FABIO FERRO

di Fabio Ferro

 

Il 18 settembre sarà un giorno storico per la storia politica della Gran Bretagna. Per la prima volta è stato indetto un referendum sull’indipendenza della Scozia e, se dovesse prevalere il “si” alla separazione, si apriranno nuovi scenari politici, anche nel mondo dello sport.

 

La svolta politica è possibile, oltre che probabile e potremmo vedere una Scozia indipendente presentare una squadra nazionale già alle Olimpiadi di Rio 2016, oltre che ai mondiali delle varie discipline sportive. Questo scenario fa tremare il Regno Unito, visto che, agli ultimi Giochi Olimpici, la Gran Bretagna, che nell’atletica ha uno sport di rilievo nazionale, ha conquistato ben 10 medaglie grazie ad atleti non inglesi, tra le quali spiccava l’Oro di Andy Murray. Facile dedurre che, se politicamente la Scozia dipende dall’Inghilterra, sportivamente parlando il rapporto è all’inverso.

 

Ai dubbi sulla “fuga di campioni” è subito intervenuto Sir Craig Reedie, vice-presidente del Comitato Olimpico ed ex Presidente dell’Federazione Olimpica Scozzese, sostenendo, anche con una certa sicurezza, che gli atleti non vorranno gareggiare come scozzesi, ma piuttosto continueranno a farlo come britannici adducendo anche la creazione dei sistemi sportivi e di supporto alle federazioni richiederà ben più dei 18 mesi che ci separano dalle Olimpiadi. Peccato che, mentre Reedie affermava quanto sopra, un altro Sir, tale Andy Murray, diceva “io giocherò per la Scozia” e, insieme a lui, molti altri atleti. Un inizio scoppiettante, ma da Andy, che più volte ha eletto Braveheart a suo film preferito, cosa avremmo dovuto aspettarci?

 

Se per alcune discipline, come gli sport di squadra, Sir Reedie ha probabilmente ragione a sostenere che l’interesse dei professionisti sia nel non variare l’attuale sistema, per gli sport individuali, come il tennis, il passaggio da Gran Bretagna a Scozia sarebbe molto più semplice e veloce e potrebbe garantire l’espressione del sentimento nazionale degli atleti. Si apre quindi uno scenario da giallo fantapolitico-sportivo senza precedenti, soprattutto in chiave Davis Cup, competizione che vedrebbe James Ward a n.1 britannico, annullando qualunque speranza di permanenza nel World Group. Per Sir Andy Murray, scozzese come riportato dai giornali inglesi dopo aver perso a Wimbledon, mentre fino al turno precedete era stato britannico, non cambierebbe molto, in quanto ha sempre sostenuto da solo la squadra Britannica con i due punti in singolare e andando a giocarsi perennemente il doppio.

È una perdita che la Gran Bretagna non può permettersi in termini tennistici, ma se Murray rispetterà la premessa fatta, nel caso dovesse prevalere la scelta dell’indipendenza al Referdum, probabilmente cancellerà anche la felicità di 77 anni di attesa per la vittoria di un britannico a Wimbledon.

 

Alla politica e al tennis, si aggiunge poi una questione commerciale. Infatti, dopo la vittoria nello Slam londinese nel 2013, qualcuno intorno al campione scozzese, in collaborazione con uno sponsor tecnico, ha ben pensato di registrare un marchio “77” che potrebbe equipaggiare Andy dal gennaio del prossimo anno e che, in caso di prevalenza del “si”, vedrebbe scendere di molto l’appeal e distruggere un’operazione commerciale fortemente legata sia all’Inghilterra che a Murray.

 

da Spaziotennis.com