L'OPINIONE – Un grande nome del giornalismo ha espresso sul Corriere della Sera le sue idee sullo storytelling che si è creato dietro agli exploit azzurri allo Us Open. Sono frutto dell'imponderabile e non della programmazione. By MARCO IMARISIO 

(*) Le metafore e il maledetto storytelling sono per definizione materiale da maneggiare con cura. Anche l'insistita narrazione della finale italiana allo Us Open come specchio dell'Italia che riparte presenta alcune controindicazioni. Quell'evento incredibile, ancora più bello perché inatteso, è frutto dell'imponderabile che rende lo sport un affascinante mistero, non certo della programmazione di un intero movimento.


DELOCALIZZAZIONE

Pennetta-Vinci è il premio alla carriera per due grandi atlete ma non riflette nulla, neppure lo stato di salute del tennis italiano. I successi delle ragazze pugliesi e delle loro colleghe non sono il prodotto di un sistema ma di un settore privato, le famiglie, che quasi sempre ha scelto di delocalizzare. Sara Errani, finalista al Roland Garros 2013, e la stessa Pennetta, sono italiane di passaporto ma spagnole di formazione. Roberta Vinci è rimasta qui, spostandosi a Palermo dove ha trovato un coach straordinario come Francesco Cinà che l'ha fatta fiorire a trent'anni, sempre pagando di tasca propria. Camila Giorgi, madre italiana e papà argentino, è in buona sostanza un progetto padre-figlia cresciuto in giro per il mondo, Spagna, Francia, Stati Uniti e adesso Italia, ovunque potesse trovare sostegno economico.


INIZIATIVA PRIVATA

Dietro, il nulla o quasi. Non c'è una italiana sotto i 21 anni nelle prime 300 giocatrici della classifica mondiale. Il futuro del settore maschile è ancora più incerto. I fenomeni del futuro sono già tra noi, dal tedesco Alexander Zverev al russo Andrey Rublev, due nomi da ricordare. La lista è lunga, e ha un solo nome nostrano, quello di Matteo Donati, unico under 21 tra i primi 300 del mondo, preceduto da ben 14 coetanei. In Francia, Russia e Germania i centri tecnici federali sono filiere di ottimi giocatori. Quelli italiani sono in crisi nera e riconosciuta, da anni. Le meravigliose storie di Flavia, Roberta e le altre sono un monumento al coraggio della piccola impresa. E se proprio devono essere specchio o metafora di qualcosa, al massimo lo sono di una iniziativa privata che come al solito sopperisce alle carenze di un settore pubblico inefficiente.  

(*) Articolo apparso sul Corriere della Sera