“Ciao Carmelo, come stai???”. Con la sua voce squillante, un mesetto fa Marco Trungelliti si è presentato al challenger di Manerbio, dove avrebbe perso al secondo turno. Salutava il supervisor Carmelo Di Dio mostrando tutta la sua simpatia. Non troppo alto (il sito ATP dice 178 centimetri), riccioli ribelli e borsone delle racchette portato a mò di zaino. Nonostante abbia 25 anni, sembra ancora un ragazzino che va a scuola – la scuola del tennis – speranzoso che le cose possano girare per il verso giusto. Scavando meglio, si scopre che si tratta di un ragazzo intelligente. Sono lontani i tempi in cui rappresentava l'Argentina nei tornei junior. Ben presto ha capito che quella non era la vita reale e si è lanciato nel professionismo, sempre in cerca di uno sponsor in più o una spesa in meno. Marco è sempre lì, a un livello alto ma non altissimo. Per ora non ce l'ha ancora fatta, ma forse ha trovato la strada giusta. In questi giorni avrebbe voluto essere a Bruxelles, a rappresentare l'Argentina nella semifinale di Coppa Davis contro il Belgio. Invece lo passerà in viaggio tra la Cina e Taiwan, dove la prossima settimana giocherà il ricco challenger di Kaohsiung. Dopo aver giocato tutta la stagione sulla terra battuta, ha scelto l'Asia per giocare qualche torneo sul cemento. Per lui, nato a Santiago del Estero, la più 'messicana' delle città argentine (pare che la gente sia molto pigra e la siesta pomeridiana sia un rito irrinunciabile), è stata una scelta coraggiosa. Ma col ranking incagliato in 250esima posizione, poteva essere una soluzione. “Il primo problema erano i soldi per il viaggio, poi c'era la necessità di trovare qualcuno con cui viaggiare: meglio non andare da soli, perché in oriente c'è un mondo completamente diverso”. Il primo problema l'ha risolto con i soldi guadagnati giocando le gare a squadre in Europa. Compagno di viaggio? L'amico Matias Castro, motivato a mille per giocare le qualificazioni.
DIFFICOLTA' AL SUPERMERCATO
E così, l'allievo di Gabriel Markus e Francisco Cabello ha acquistato il biglietto e ci ha provato, peraltro dopo una recente operazione per un'ernia inguinale. “Ho affrontato diversi giocatori che si allenano sempre sul cemento, ma ho iniziato a credere nelle mie capacità. E so che il mio gioco ben si adatta al duro”. Risultati? Finale a Bangkok e semifinale a Shanghai. Finalmente è tornato tra i top-200 ATP, a un soffio di posizioni dal suo best ranking (n. 177, oggi è 189). A Nanchang è andata male: ha perso al primo turno contro l'azzurro Riccardo Ghedin, ma un incidente di percorso ci può stare. E pazienza se a Bruxelles ci andranno il coetaneo Federico Delbonis, o addirittura Diego Schwartzman (due anni più giovane di lui). Marco sa restare positivo anche se non trova carne al supermercato, e nemmeno la pasta. “Bisogna sapersi adattare, anche se capitano situazioni in cui non trovo la pasta o le mie amate capsule di caffè. In compenso, vedo rane vive o carne fuori dai frighi che la gente compra lo stesso. Una volta ho visto un polpo vivo sul tavolo: ci mettono la salsa e lo mangiano. Vivo! E' scioccante, ma dobbiamo adattarci: noi siamo i visitatori”. Tuttavia, sul piano tennistico le cose si sono messe bene. “L'Asia è perfetta per giocare a tennis perché, anche se si tratta di Challenger, trattano molto bene i giocatori. Gli hotel sono di qualità e sempre a nostra disposizione, indipendentemente da chi sei”. Più in generale, Trungelliti sente di aver fatto la scelta giusta: l'Asia lo ha aiutato a trovare la forma migliore. “In Sud America non guardiamo molto all'Asia, eppure da noi ci sono condizioni molto difficili: un torneo è in altura, in un altro ci sono le palle diverse, uno hai campi lenti, un altro li ha veloci…non è semplice. Giochi 4-5 tornei e non sai esattamente se stai giocando bene. Quando le condizioni sono simili, indipendentemente dal risultato trovi le giuste sensazioni e al termine del circuito stai giocando molto bene”.
LA DIFFERENZA TRA I TOP-10 E TUTTI GLI ALTRI
Come tanti giocatori, “Trunge” ha un sogno ben preciso: entrare tra i top-100 ATP. In sette anni di professionismo non ci si è mai avvicinato, eppure è convinto di potercela fare. Da dove trova tutta questa fiducia? Come fa a trovare la giusta motivazione, settimana dopo settimana? La risposta, forse, si trova in un suo interessante articolo scritto un anno e mezzo fa per il blog dell'accademia Elitennis. Vale la pena riportare alcuni passaggi: “Se tu guardi un allenamento tra un top-10 e il numero 150 ATP, e non conosci i loro nomi, non saresti in gradi di dire chi è il più forte. Accade spesso anche nei tornei del circuito. E allora cosa fa la differenza tra un giocatore e un altro? Facile: la qualità dell'allenamento e la forza mentale che ti consente di mantenere la qualità il più a lungo possibile. Tutto questo è strettamente legato al modo in cui giocherai in partita. I più forti tirano fuori il giusto guadagno da ogni ora di allenamento, ogni esercizio, ogni colpo, ogni secondo di ogni seduta. Qualunque cosa accada in partita, loro sono pronti ad affrontarla. Nulla li sorprende: il risultato è solo una conseguenza: la cosa importante è essere pronti quando accadono le cose”. Marco ci sta provando, sia pure tra mille difficoltà. Se è riuscito ad abituarsi ai ritmi frenetici di Buenos Aires e non sente più la mancanza della sua Santiago, può farcela anche con il tennis. Se la merita, con quell'espressione da scolaretto speranzoso.