AMARCORD – Victor Pecci ha ballato una sola estate, ma il suo fascino ha varcato i confini spazio-temporali ben oltre le reali qualità. Due settimane d’oro a Roland Garros, ma poi…
Una rara immagine di Victor Pecci esultante
Di Riccardo Bisti – 4 gennaio 2014
Ha ballato una sola estate, ma la sua luce brilla ancora oggi. In tanti hanno vinto più di Victor Pecci, eppure ci si ricorda ancora di lui. Facendo un paragone ardito, è stato un po’ come…Bettino Craxi. Ancora oggi, non si capisce quale fosse la sua idea politica, cosa volesse dire. Ma ricordiamo lui, il suo carattere forte e carismatico. Victor Pecci è stato un po’ così. Un solo vero lampo, ma sufficiente per tramandarlo all’eternità. Eppure ci sono stati tanti finalisti Slam, ben presto dimenticati. Ci sono stati i Berasategui, i Clement, gli Schuettler, il mitico Martin Verkerk. Protagonisti per due settimane e poi scomparsi. Di Pecci ricordiamo tutto, persino la racchetta impugnata durante il Roland Garros 1979, il torneo della sua vita. Una Fischer Team, metallica, nera come i suoi capelli fluenti che hanno fatto strage di signorine negli anni 70 e 80. Non è stato un semplice quarto d’ora di celebrità. L'exploit gli ha spalancato le porte dell’eternità. Quando entri lassù, dove mettono piede solo i grandi, puoi permetterti qualsiasi cosa. Ad esempio, essere nominato Ministro dello Sport in Paraguay. Un paese povero e maledetto, ma Victor non lo ha mai tradito. Anzi, lo ha servito fino allo stremo delle forze. Per questo hanno scelto di premiarlo. Il merito fu di quel pazzesco Roland Garros in cui azzeccò una vittoria dopo l’altra. Con il suo completo griffato Fila (erano gli anni d’oro del Made in Italy) e un tennis leggero e ficcante, mise in fila Corrado Barazzutti, Harold Solomon (il ‘sorcio’, finalista tre anni prima contro Adriano Panatta), Guillermo Vilas (!!!) e Jimmy Connors in semifinale. Gli riusciva tutto. Serviva benino, ma il suo tennis si appoggiava a due fondamentali fragili e trovava certezze nelle volèe acrobatiche e una naturale predisposizione allo spettacolo. La volèe di rovescio era tagliente, ma quella di dritto era uno spettacolo. Piuttosto che farsi passare si tuffava, antesignano di Boris Becker. Chissà che Bum Bum non abbia preso da lui. E' stato precursore anche nei tweener. Nella storica semifinale contro Connors ne ha fatto uno, in perfetto stile, pur perdendo il punto. Allora era un colpo eccezionale, da copertina. E si prese i rimbrotti di Jimbo, seccato per la lesa maestà. Poco dopo, gli avrebbe stretto la mano da sconfitto.
Quando un tennista proviene da un paese povero, ci sono due possibilità. O è povero per davvero e ha utilizzato il tennis come strumento per il riscatto sociale, oppure fa parte di una ristretta elite. Nel Paraguay degli anni 70, oppresso dalla dittatura del generale Alfredo Stroessner, c’era una povertà incredibile. Il paese è senza sbocco sul mare, schiacciato tra Brasile e Argentina, senza speranze nè prospettive. Il tipico paese dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri piangono miseria. Pecci era figlio di un medico affermato, così potè permettersi lezioni private nel più bel circolo di Asuncion. Il talento non gli mancava: divenne campione nazionale ad appena 15 anni. Forte del successo, convinse i genitori a lasciarlo andare, destinazione tennis. Ebbe un’onesta carriera, condita da dieci titoli ATP. Difficile scovare il migliore, erano tutti modesti. Valeva un top-30, forse un top-20 nelle giornate di grazia. Ma in quelle due settimane parigine il puzzle si mise miracolosamente a posto. I parigini impazzirono per lui. Nella finale contro Borg, non c’era un solo spettatore che facesse il tifo per lo svedese. Pecci li aveva stregati con il suo aspetto magnetico, misterioso. Alto 193 centimetri, sembrava un attore di soap opera, genere televisivo molto amato dalle sue parti. In alcune foto, curiosamente, assomigliava a Ronn Moss, il “Ridge” di Beautiful, la telenovela per eccellenza degli Stati Uniti. Gli riusciva tutto, persino contro Borg. In quegli anni, a Parigi c’era un dominio simile a quello di Rafael Nadal: Borg non era soltanto imbattibile. Era inavvicinabile. Non è un caso che le uniche due sconfitte (datate 1973 e 1976) giunsero contro Adriano Panatta, che sapeva togliergli il tempo e aggredirlo con frequenti discese a rete. Per certi versi, Pecci ricordava Panatta. E provò a seminare zizzania nel robot svedese. Perse nettamente i primi due set, poi fece un capolavoro nel terzo, vincendolo al tie-break. Nel quarto oppose un’accanita resistenza prima di arrendersi. Dopo il matchpoint, Borg sollevò le braccia al cielo, come raramente gli capitava. Significa che, per un attimo, ebbe paura di perdere. Il suo sorriso durante la stretta di mano disse tutto.
Le prime pagine di tutto il mondo si riempirono di sue immagini. Ti sapeva colpire, con il magnetismo tipico della gente carismatica. La popolarità salì alle stelle, tanto che qualche mese dopo giornalisti e fotografi di tutto il mondo accorsero al suo matrimonio con la splendida 18enne Mercedes Bariocanal (figlia di un miliardario di Asuncion). Un matrimonio deciso in fretta, dopo pochi mesi di fidanzamento. L’incontro fatale avvenne a fine aprile nel locale notturno più famoso di Asuncion, “La Caracole”. “Ci ero andato per consolarmi dopo la brutta sconfitta in semifinale a Monte Carlo contro Borg…”. Non poteva durare. Infatti franò rapidamente, così come la sua carriera. Intendiamoci: restò su livelli più che dignitosi fino alla metà degli anni 80 (l’ultimo titolo risale al 1983), ma lontano dall’eccellenza di quella primavera parigina. Nella vita privata, le cose sono andate a gonfie vele. Dopo la fine del matrimonio, si è unito a un’altra splendida ragazza di nome Gabriella, poi ha trovato stabilità con Sylvia, che le ha dato il figlio Giuliano. Un nome italiano, così come è italiano il più grande rimpianto tennistico. Non certo la finale al Roland Garros, dove Borg era un UFO sceso tra gli esseri umani. No, Victor avrebbe voluto vincere gli Internazionali d’Italia. Nel 1981 avrebbe giocato la finale. Battè di nuovo Vilas, ma si presentò sfibrato contro l’altro argentino Josè Luis Clerc. E il sogno rimase chimera. Negli ultimi anni di carriera, la sua missione divenne la Coppa Davis. Accompagnato da un paio di carneadi (Hugo Chapacu e Francisco Gonzalez) mantenne il paese nel World Group per sei anni, tra il 1983 e il 1989.
La grande impresa arrivò nel 1987, quando batterono gli Stati Uniti ad Asuncion in una delle più folli imprese della storia. Davanti a un pubblico indemoniato, Victor vinse il singolare decisivo contro Aaron Krickstein dopo che Chapacu aveva rimontato da 1-5 al quinto contro il povero Jimmy Arias. Quando scriviamo “indemoniato”, intendiamo in senso letterale. Il giudice arbitro, il danese Kurt Nielsen, fu minacciato da un gruppo di scalmanati guidati da un tizio con una maschera di Ronald Reagan. In campo volarono sassi e tappi di bottiglia, oltre agli ululati quando servivano gli americani. Fu il momento più alto nella storia del tennis paraguaiano, cui assistette Stroessner in persona. Proprio in quegli anni, il Partito Socialista Italiano di Bettino Craxi viveva il suo massimo splendore. Ma la caduta era dietro l’angolo. Anche quella di Pecci, e del tennis paraguaiano, era vicina. Due anni dopo, gli Stati Uniti ritrovarono il Paraguay e stavolta si giocava a Fort Myers, con Andre Agassi e Michael Chang. Fu mattanza, anche se il 34enne Pecci tolse un set a Chang. In quei giorni, era iniziata la rivoluzione che avrebbe rovesciato il regime di Stroessner. Imbarazzato, Pecci si disse 'scosso' per le notizie che arrivavano dal suo paese. “Ma in campo ho cercato di pensarci”. Nell’altro singolare, Agassi infierì su Chapacu con una cattiveria inaudita, riservandogli una fredda e distaccata stretta di mano. Qualche dirigente paraguaiano se la prese. Quando lo riferirono ad Agassi, lui disse: “Chiedetegli cosa sta succedendo in Paraguay”. Pecci avrebbe smesso l’anno dopo, senza rimpianti. E’ rimasto nell’ambiente come maestro, poi nel 2003 è diventato capitano di Coppa Davis. Ma non si sono mai scordati di lui, nemmeno ai piani alti. Quando gli hanno affidato il Ministero dello Sport, probabilmente avevano ancora in mente i miracoli del Roland Garros 1979. Erano giorni difficili per il Paraguay, avvolto da un’informazione di regime. Ma il sapore delle sue volèe arrivò fino ad Asuncion, tanto da bloccare le trasmissioni radiofoniche per un’edizione straordinaria dei GR. Raccontavano, le voci, che il Paraguay era ricomparso nella geografia del mondo grazie a un tennista, la cui arma era una racchetta nera griffata Fischer. Non erano nè cannoni, nè fucili.
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