AMARCORD. Quando siamo andati a trovare Gianluigi Quinzi all’età di 12 anni. La scoperta di Panatta, lo sbarco negli Stati Uniti e l’infanzia della nostra più grande speranza.
Gianluigi Quinzi in azione all’età di 12 anni
(Foto di Fabrizio Stipari)
TennisBest – 15 giugno 2012
Questo articolo è uscito nel 2008, quando TennisBest Magazine non era ancora una rivista da edicola, ma una specie di annuario per collezionisti. Gianluigi Quinzi aveva 12 anni ed era già un piccolo professionista. All’epoca si allenava con l’entourage di Riccardo Piatti: il sodalizio si è interrotto per alcune divergenze tra il team e la famiglia, in particolare sull’attenzione da dedicare ai tornei junior. Diventa molto interessante rileggerlo oggi, con Gianluigi al top del ranking mondiale Under 18. E’ una fotografia rara (e preziosa) del background in cui è cresciuto il Golden Boy del tennis italiano, tra la passione per lo sci e le corse con i go-kart.
Dall'inviato a Monte Carlo, Lorenzo Cazzaniga
Adriano Panatta non è famoso per la sua attitudine al sacrificio. Dunque, un pomeriggio passato a far giocare bambini nella piazza di Macerata deve essergli parso un inferno. “Tre palle a testa” intimava all’ennesimo fanciullo, un biondino, mancino, dall’aria molto decisa. Il ragazzino si è meritato due minuti di palleggio, più il tempo affinché Adriano ne prendesse le generalità: Gianluigi Quinzi, nato a Cittadella, residente a Porto San Giorgio, classe 1996.
Tra sci e tennis
Aveva quattro anni ed è cominciata così l’Odissea della famiglia: mamma Carlotta, ex campionessa di pallamano e nazionale giovanile di sci alpino e papà Luca, ex C2 e capo dell’impresa di costruzioni di famiglia, oltre che Presidente del tennis club della sua città, dove si gioca uno dei migliori tornei under 12 d’Europa. “Odissea? – attacca papà Luca -. Mah, quella è finita bene! Quando è nato Gianluigi, il tennis non era assolutamente lo sport di riferimento. Abbiamo casa a Brunico e quindi era logico andare tutti a sciare a Plan de Corones”. Come accade spesso con i predestinati, pare siano in grado di eccellere in qualsiasi cosa facciano: “Era molto portato, tanto che a sette anni era arrivato secondo ai campionati altoatesini, praticamente degli assoluti italiani”. A tre anni e mezzo però, Gianluigi si è avvicinato casualmente anche al tennis, frequentando il circolo fondato dal nonno. Al maestro, Antonio Di Paolo, è preso un colpo alla prima lezione. Attestato che il bambino era dotato di capacità particolari, per 3-4 anni si è andati avanti parallelamente con tennis e sci (“Sciare è bellissimo, molto meglio che giocare a tennis!” dice Gianluigi).
Mostro di precocità
Ma che fare di preciso? Brunico non è dietro l’angolo e il ragazzino a sette anni faceva già semifinale nel torneo under 10 del Nike Junior Tour. Se Dio vuole, il tennis prende il sopravvento. Il problema era legato solo alla sua precocità. E’ da quel periodo che la FIT ha cominciato ad imporre racchette piccolissime per i ragazzini della sua età, palle sgonfie e campo ridotto. “Ma lui viveva già in un’altra dimensione” ricorda papà Luca. Detto e fatto, decidono di partecipare ai Campionati Americani giovanili, torneo denominato Little Mo in onore della mitica Maureen Connolly. In Florida, nello stato maggiormente competitivo, vince i Regionals e il Masters nazionale, lasciando per strada pochi game. Tennis Week manda un inviato per scoprire chi è questo ragazzino fenomeno, mentre i lunghi artigli dell’Img (la più importante società di management sportivo) lo invita all’Accademia di Nick Bollettieri, ormai diventata da diversi anni di loro proprietà. Jimmy Nagelsen lo vede e immediatamente lo trascina sul campo privato di Nick. Dopo 10 minuti di palleggio, il guru americano emette la sentenza: “Di campioni ne ho cresciuti tantissimi e a questo bambino voglio dare una possibilità. Di solito preferisco i ragazzi dell’Est agli italiani perché hanno più fame. Ma lui è l’eccezione”. A ruota arriva una borsa di studio: a 8 anni è il più giovane a riceverne una da Bollettieri. Tanto per intenderci, Maria Sharapova ne aveva 9.
La collaborazione con Piatti
L’Accademia di Bollettieri è in realtà uno scatolone commerciale dove vengono buttati dentro giocatori di ogni genere e livello, a caccia di un sogno o anche solo di un’esperienza formativa. C’è però anche una camera stagna con una porta assolutamente indipendente: se riesci ad entrarci, quella è la tua fortuna. Da un paio d’anni però, Bollettieri non è solo. Conscio che, quando è in Italia, il circolo e il maestro di casa non sono sufficienti a crescere un talento di questo livello, papà Luca si rivolge al nostro coach più titolato: Riccardo Piatti: “L’ho conosciuto al Radisson Hotel di New York, durante lo US Open – ricorda Quinzi senior -. Ero in ascensore e lui si è avvicinato col figlioletto Rocco. Adesso, appena possibile veniamo a Monte Carlo. Qui Gianluigi ha pure giocato con Novak Djokovic, con immagini riprese dal maestro Danilo Pizzorno: magari un giorno varranno qualcosa!”.
Quali priorità?
Da sei mesi, nello staff è entrato anche Nicola Ceragioli, coach cresciuto alla scuola Sartori: una garanzia. Non sono state sospese nemmeno le visite all’Accademia di Bradenton: “Anche se non c’è nessun progetto comune, anche Piatti ci ha sempre consigliato di trascorrere dei periodi da Bollettieri – dice Luca -. L’Accademia dovrebbe servire come strumento di allenamento e sperimentazione della parte tecnica che viene approfondita con Riccardo”. In sostanza, qualità da noi, quantità da loro, una formula spesso vincente. Tutto sembra procedere per il meglio, anche se man mano che il ragazzino cresce, le sue esigenze mettono alla prova anche anime sportive come quelle della famiglia Quinzi. Avere un figlio in America dedito solo al tennis, con l’aspetto scolastico messo in secondo piano, è una problematica di grandissima riflessione, anche perché i Quinzi sono veri tradizionalisti, con tanto di nonni insegnanti.
"In America la scuola si adatta allo sport"
Gianluigi (e vedi ancora la precocità!) ha cominciato la scuola a 5 anni ma qualche dubbio persiste. Non aver niente da perdere ti obbliga (o ti solleva) dal fare certe scelte; ma, con un’attività imprenditoriale attivata e le porte aperte per una crescita sana e sicura, pone la famiglia Quinzi in una situazione rischiosa. “Oggi Gianluigi si sta formando come personalità ma non ha ancora la percezione di quello che l’eventuale fallimento di questo progetto potrebbe comportare. Per questo cerchiamo di metterlo nelle condizioni migliori per affrontare un possibile insuccesso, perché le qualità ci sono ma la garanzia di sfondare no”. Il punto dolente resta la scuola italiana: “In America è più votata ad accettare lo sport. Da noi in classe c’è il crocefisso, laggiù i trofei vinti dai ragazzi e nei casi di eccellenza è la scuola che si adatta allo sport, mentre in Italia questo non accade mai. E questo problema non te lo risolvono Piatti e Bollettieri. Però perché non dovrei dare a mio figlio la possibilità di diventare un campione di tennis?”.
Tra i go-kart e Bollettieri
In questa Babele, Gianluigi si muove tranquillo. Quel che più sorprende è come affronti il tennis con estrema professionalità, tanto più che non è la sua prima passione: “Io adoro i go-kart. Avevo un cinquantino modificato per farlo andare più forte. Ho tutti i caschi e le tute di Schumacher ed ero pure bravino, vero papà?”. E già mostrava un certo temperamento: “Tamponavo tutti. Quando c’era la curva li prendevo in pieno e loro si incazzavano. Però dopo non mi prendevano mai. Però una volta, avevo 5 anni, si sono alleati tutti contro di me e mi hanno rotto il kart. Che paura!”. L’opposizione della nonna è stata sufficiente per dirottarlo verso discipline meno rischiose, anche se non meno faticose. Nick Bollettieri è infatti alla soglia degli 80 anni con nove matrimoni alle spalle e una forza d’animo misteriosa. Alle 4 del mattino balza in piedi e dagli 8 ai 10 anni, Gianluigi si è allenato con lui dalle 5 alle 7 del mattino: “E’ vecchietto e gli è venuta la panzetta, ma è davvero bravo. Però l’America non mi piace granché: sono tutti obesi e si mangia malissimo”. Ha ragione papà Luca quando dice che "Questi sono i sacrifici a cui ti obbliga il tennis, che sarà anche uno sport nobile ma io lo trovo estremamente operaio perché ti impegna a fondo ogni santo giorno che Dio manda in terra”.
Grandi ambizioni
La sensazione è che la famiglia Quinzi sia totalmente cosciente di quel che l’aspetta e della strada da percorrere per arrivare in alto. Così come dei sacrifici e dei rischi. Il padre è un ingegnere ed è abituato a programmare anche gli imprevisti. Che nel tennis possono essere tanti e improvvisi. Ma l’obiettivo è chiaro: “In Accademia te lo insegnano subito: diventare numero uno, due o tre al mondo – dice papà Luca -. Potrei arrotondare a cinque, ma già 20 non andrebbe più bene”.
Nota: a fine Gennaio 2009 si è esaurito, amichevolmente, il sodalizio tra Quinzi e l'entourage di Riccardo Piatti.
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