C'era un triste senso di ineluttabilità. Non poteva andare in altro modo, anche se l'intera comunità del tennis – salvo il clan di Alexander Zverev – ha sperato che Richard Gasquet potesse illuminare a notte di Monte Carlo. Erano tutti per lui, incuranti della residenza monegasca di Zverev (mentre Richard ha scelto di mettere radici a Neuchatel, per ovvie ragioni fiscali). Interessava ancora meno il fatto che Zverev si sarebbe rovinato il compleanno, giacché in questo umido venerdì ha compiuto 21 anni. Il giorno prima, Gasquet aveva raccolto la vittoria numero 500 della sua lunghissima carriera, scattata 16 anni fa proprio a Monte Carlo. Baby fenomeno, ancora 15enne, batté lo specialista Franco Squillari prima di perdere da Marat Safin. Ma nella testa dei francesi la sua strada era iniziata molto prima, nel 1995, quando Tennis Magazine sbatté in copertina un bambino di nove anni, strillando “Il Dono del Cielo”. Erano trascorsi 12 anni dall'ultimo Slam vinto dalla Francia e credevano che Richard avrebbe soddisfatto i loro pruriti Slam. Ne sono passati altri 23 e sono ancora in attesa, sia pure con qualche Coppa Davis in tasca. Oggi le loro speranze di affidano ai polpacci di Lucas Pouille: con tutto il rispetto, non è la stessa cosa. È affascinante, la vicenda di Richard Gasquet, sconfitto da Sascha Zverev nei quarti del Rolex Monte Carlo Masters. Erano le nove di sera, ben oltre gli orari standard di questo torneo. Di solito, a quell'ora, i pullman di appassionati provenienti da tutto il nord Italia sono già sulla vita del ritorno, più vicini a casa che al paese dei balocchi monegasco. È finita 4-6 6-2 7-5 ed è stato il festival delle occasioni sciupate da un Gasquet splendido, a tratti eroico, ma pur sempre Gasquet. Ovvero, un meraviglioso perdente.
TALENTO E DIFETTI
A quasi 32 anni di età, abbiamo ben chiari i suoi limiti. Il primo nasce dalla testa, quella timidezza che traspare nelle interviste, si manifesta nell'assenza di gossip (salvo il maldestro “bacio alla cocaina” di tanti anni fa con la misteriosa Pamela) ed è simboleggiata da un modo di stare in campo che a volte può sembrare un insulto al suo talento da copertina. Metri dietro la riga di fondocampo, in difesa, come un terraiolo qualsiasi. Se poi il suo avversario ha una cilindrata importante – ed era il caso di Zverev – si trova spesso a giocare in slice, persino con il dritto. Però Gasquet è questo, e molti hanno tardato a capirlo. Non poteva essere diverso, e nemmeno più forte. Numero 7 del mondo, finalista in tre Masters 1000, semifinalista in tre Slam (l'ultima volta a Wimbledon 2015), immediato rincalzo ai più grandi. Per un po', gli hanno fatto credere di poter diventare bravo come loro. Nel 2005, su questo stesso campo, sembrava essersi aperto la strada verso il cielo tennistico: batté un Federer già grande, 7-6 al terzo, proprio nei quarti, chiudendo con un passante di rovescio che sembrava una pistolettata ad aprirsi le porte del club più esclusivo. Era ancora un ragazzino, lo avevano ribattezzato "Piccolo Mozart" e gli appassionati sfogliavano la margherita: chi sarebbe diventato più forte tra lui e Rafael Nadal Parera? Qualche settimana dopo sarebbe arrivato in finale ad Amburgo, ma la scalata si è bloccata lì. Perché Richard Gasquet non è soltanto un talento cristallino, soprattutto con il rovescio a una mano, capolavoro tecnico e stilistico che troverebbe spazio in ogni galleria d'arte tennistica. Ha i suoi difetti, un po' tattici, un po' strutturali (un fisico così così, baricentro basso e resistenza da ottocentista, più che da maratoneta). Inoltre pecca di autostima, come ha sempre raccontato, anche nell'intervista “definitiva”, rilasciata tre anni fa alla rivista francese “Society”. Però il suo mito, pur decadente, è rimasto vivo e lo accompagnerà fino al giorno del ritiro.
UNA "I" SENZA PUNTINO
Perché Gasquet gioca benissimo, esprime sensazioni che superano i confini della razionalità ed è uno per cui “vale la pena pagare il biglietto”. C'è poi quella sensazione di sfiga perenne, come se fosse condannato a non vincere mai niente di importante. Troppo forti gli avversari, troppo fragile lui: è difficile manomettere entrambi gli assiomi in un unico torneo. E allora la sua carriera è piena di sconfitte gloriose come questa, in cui è stato avanti di un break nel terzo set (4-3 e servizio, sigillato da un punto capolavoro). Sul 4-4 e sul 5-5 ha avuto palle break per andare a servire per il match, “ma lì ho risposto male” ha sibilato in conferenza stampa, più rassegnato che deluso. “È difficile perdere una partita come questa. È stata incredibile, faticosa, ho corso moltissimo. Zverev è fortissimo, è un combattente, per questo è numero 4 del mondo. E poi si muove in modo incredibile: è alto quasi due metri, ma copre il campo come se fosse 1.75”. Tutto vero, ma Richard avrebbe potuto vincere. Aveva le armi per farlo, le ha mostrate sin dal primo punto. Però gli manca sempre quel qualcosa, quel puntino sulla I. Gasquet è una I senza puntino: fa tutto bene, ma gli manca sempre quel dettaglio che potrebbe fare la differenza a suo favore. Adesso dice che giocare tanti match gli fa bene, che il livello è soddisfacente, che se continua così può ottenere grandi risultati. Vero, ma purtroppo per lui un'altra occasione è scivolata via, come acqua tra le dita. Se un giorno dovesse vincere un grande torneo ci sarebbe tanto materiale per portare una spruzzata di letteratura, unita a retorica, nel mondo del tennis. Ma oggi è difficile pensare che ce la possa fare. Partite come questa lo confermano crudelmente. Che peccato.