Numeri alla mano, il numero 2 di Francia è Adrian Mannarino. Ha appena esordito in Davis e ha finalmente trovato un modo per gestire le sue emozioni. Fino a qualche tempo fa, nervosismo e scatti d'ira ne condizionavano i risultati. Poi ha iniziato a lavorare con Jean-Cristophe Faurel ed è cambiato tutto. “Vorrei che gli avversari mi affrontassero come se fossi Ferrer”

Yannick Noah si è preso ancora qualche ora per ufficializzare le convocazioni in vista di Italia-Francia. I media transalpini stanno formulando diverse ipotesi, poiché la situazione attuale dei top-players lascia spiragli per parecchi giocatori. Spera in una chiamata anche l'attuale numero 2 di Francia, quell'Adrian Mannarino che ha siglato il punto decisivo contro l'Olanda. Esordiente assoluto, ha perso contro De Bakker nella prima giornata ma si è rifatto contro Robin Haase, spedendo i bleus a Genova. Compirà 30 anni a fine giugno: la sua crescita è stata più lenta del previsto a causa di una comportamento non sempre impeccabile, un nervosismo latente che spesso esplodeva sul campo. Una volta, durante un torneo Challenger a Lexington, ha scaraventato una racchetta contro una recinzione e per poco non colpiva un povero raccattapalle. Un filmato su Youtube è la triste testimonianza dello scatto d'ira. Gli è anche capitato di lanciare una racchetta da una parte all'altra del campo, manco fosse un giavellotto. Sono soltanto due esempi di una natura comportamentale negativa, che per anni è sfociata nell'autolesionismo. “Mi innervosivo facilmente, bastava perdere il servizio una volta, o magari sbagliare una palla facile – dice il francese – e uscivo rapidamente dalla partita. Avevo la sensazione che i miei avversari ne fossero consapevoli”. In effetti era così: quando giocavano contro di lui, mantenevano un rendimento costante in attesa che fosse Mannarino a regalare la partita. Prima dello scorso ottobre, nonostante un buon talento e il coraggio di cambiare totalmente il movimento del dritto, era entrato solo occasionalmente tra i top-30 ATP. Però il lavoro con il nuovo coach, Jean Cristophe Faurel, lo ha reso più tranquillo e sereno, sia dentro che fuori dal campo. Il suo miglior risultato è stata la finale all'ATP 500 di Tokyo (batté Cilic prima di perdere da Goffin), base da cui ha costruito un ranking al numero 22, sua miglior classifica di sempre.

FAUREL, COACH E CONFIDENTE
Sono le credenziali con cui si presenta all'esame di Yannick Noah. Fosse italiano, sarebbe ragionevolmente certo di giocare al fianco di Fabio Fognini. Ma in Francia no, in Francia ci sono mille opzioni. “Non ho fatto particolari cambiamenti nel mio gioco: semplicemente, comprendo meglio il gioco e sono più attento sul piano mentale – racconta – ho la sensazione di combattere su ogni palla. Quando vado in svantaggio, non avviene perché mi sono arrabbiato sul campo o sono stupidamente uscito dalla partita. Faccio del mio meglio su ogni punto, sono un giocatore più solido e mi sembra che stia funzionando”. Il lavoro con il nuovo coach si è basato su aspetti comportamentali, sia in allenamento che nell'approccio ai match. Faurel lo prende da parte e gli dice: “Ipotizziamo che tu sia avanti 4-1, ma il tuo avversario ti abbia raggiunto sul 4-4. Hai due opzioni: farti prendere dallo sconforto e pensare che avresti dovuto chiudere il set due game fa, oppure restare concentrato. Sul 4-4 hai bisogno di due game per vincere il set: se c'è un momento in cui devi essere forte di testa, è adesso”. Il Miami Open non è andato troppo bene: Adrian ha perso all'esordio contro Steve Johnson. Si aspettavano qualcosa di più, anche per festeggiare un anno di collaborazione. Mannarino e Faurel hanno iniziato a lavorare insieme subito dopo la scorsa edizione. Però si conoscevano da tempo: oltre ad essersi affrontati un paio di volte nei tornei Futures (era il 2008), hanno giocato nello stsso club a Parigi. “Il problema principale di Adrian era dentro se stesso, doveva gestire le sue frustrazioni” dice Faurel. Il problema era noto, tanto da aver consultato un paio di psicologi dello sport, ma non aveva funzionato. “Si tratta di una questione molto personale: affinché le cose funzionino, devi trovarti a tuo agio con la persona” dice Mannarino, che in Faurel ha trovato un coach, ma anche un confidente. “Con lui ho la sensazione di poter parlare di qualsiasi cosa. A volte capita di addentrarci in discussioni profonde, forse funziona meglio che una sessione di allenamento sul campo. Mi capisce bene, poi c'è un'intesa reciproca che facilita il lavoro”.

SULLE TRACCE DI FERRER
Partendo da una buona base in termini di fiducia, Faurel ha fatto passare messaggi importanti anche sul piano tattico. Con i suoi colpi un po' strani, soprattutto il dritto, oggi Mannarino entra in campo con le idee chiare. “Devo essere più solido possibile. Correre bene, costringere l'avversario a situazioni difficili. Io so di poter correre molto, molto a lungo. Per questo mi piace tramutare il match in una vera lotta”. Il modello, l'esempio, è ben chiaro: David Ferrer. Mannarino vuole che gli avversari pensino al suo stile di gioco come a quello dello spagnolo. Ogni partita contro di lui deve diventare una gara di logoramento. “Quando affronti Ferrer sai in anticipo che non sarà facile, perché andrà su tutte le palle. Io non lo faccio bene con lui, ma sto provando a fare le stesse cose. Ultimamente, sta pagando”. Se ne sono accorti anche i suoi avversari. Tra loro, un giocatore di livello come Sam Querrey. Lo ha battuto a New York, ma ci aveva perso tre volte. “Mi è sembrato di battere una specie di Nadal – ha detto l'americano – è sempre stato un avversario molto complicato”. Adrian non è più un ragazzino, ma sente di avere margini importanti. “Non mi aspetto la perfezione, ma mi prendo i piccoli miglioramenti che ci sono stati negli ultimi dodici mesi. Sto cercando di restare il più possibile concentrato, senza farmi distrarre da faccende extra-tennistiche. Certe cose non le puoi cambiare semplicemente schioccando le dita. Vorrei diventare una persona sempre più paziente, giorno dopo giorno, e spero che le cose possano migliorare. È un lungo viaggio, ma forse un giorno diventerò un ragazzo maturo. Non sarò più un ragazzino. Vedremo”. La terra rossa non è la sua superficie preferita, ma con Noah ha creato una buona alchimia, la stessa che potrebbe dargli la forza necessaria per lottare fino all'ultima palla. Se davvero sarà spedito in campo, Fognini e company sono avvisati: Adrian è pronto a lottare “per molto, molto a lungo”.