Prima di intascare l'agognato successo Slam, Andy Murray e Simona Halep hanno dovuto tribolare parecchio. C'è qualcosa che li accomuna con Kevin Anderson, recente finalista allo Us Open e a Wimbledon. Qualcosa che non può essere sottovalutato: condividono (o hanno condiviso) lo stesso psicologo dello sport, l'americano Alexis Castorri. Una comunanza che fa capire quanto sia importante un corretto ordine mentale: se escludiamo Rafael Nadal e poche altre eccezioni, quasi tutti i giocatori – anche i più forti – hanno dovuto combattere con limiti comportamentali. Il problema della Halep era uno spirito eccessivamente autocritico, mentre Anderson era troppo schivo, quasi timido. Lo scorso anno, il suo ex coach Neville Godwin (licenziato a fine anno, nonostante sia stato tra gli allenatori dell'anno) diceva che i ragazzi molto alti non sono quasi mai prepotenti. “Anzi, sono imbarazzati dalla loro stazza, quindi tendono a sminuirsi”. Castorri se ne è accorto subito ed è lì che ha lavorato con Anderson. Gli ha consigliato di mostrare senza timore le sue emozioni, trovando la chiave giusta parlandogli della sua passione per la chitarra. “Devi trattare il pubblico del tennis come quelli che seguono un concerto rock”. Il processo non è stato immediato, ma ha raggiunto ottimi risultati. Durante lo scorso Roland Garros, il suo avversario Diego Schwartzman si era lamentato con la giudice di sedia Marijana Veljovic per le eccessive dimostrazioni di Anderson. “Com'è possibile dire 'Right here! Right here!' dopo ogni punto? Non ho mai visto niente di simile. Se gioca un buon punto o se faccio una cattiva scelta, dice sempre qualcosa”. L'argentino avrebbe comunque vinto, rimontando due set di svantaggio, ma l'erba di Wimbledon ha esaltato il gioco e l'atteggiamento di Anderson. Nella semifinale-maratona contro John Isner, la sua forza mentale è stata decisiva. Ha servito una ventina di volte per rimanere nel match, salvo poi raccogliere i cocci di un avversario più distrutto di lui.
"IL TENNIS CONTA AL 20%"
“Ho cercato di aumentare la mia energia emotiva: è qualcosa che stavo cercando di fare già da un po'”. Più esattamente dal 2015: i due hanno iniziato a vedersi poco prima dello Us Open, quando arrivò nei quarti superando Andy Murray. “A presentarci è stato Jesse Levine, altro giocatore con cui avevo lavorato in passato – ha detto Castorri – Kevin è molto coscienzioso, come tutti i grandi giocatori. Ha imparato a semplificare la sua competitività”. Per scelta, Castorri non viaggia nei tornei e preferisce tenere un basso profilo. Tuttavia, la sua fama si è rapidamente diffusa, come testimoniano i nomi dei giocatori con cui ha lavorato, tra cui quattro campioni Slam: Simona Halep, Andy Murray e – in passato – Ivan Lendl. Ce n'è anche un quarto, che però non vuole essere identificato. Lavora a Fort Lauderdale, in Florida, e spesso viene contattato dai maestri che pensano di aver individuato una giovane promessa. “Il percorso per arrivare ad alti livelli è un tunnel lungo e oscuro – dice Castorri – quando parlo con un giovane, gli dico che potrebbe essere anche un giocatore fantastico, ma si tratta di appena il 20% di quello di cui ha bisogno. Il resto è composto dalla disciplina mentale, la gestione delle aspettative, la capacità di viaggiare tanto senza scompensi e le pressioni che accompagnano il successo. La capacità tecnica e atletica, dunque, è soltanto una dimensione”. La motivazione è qualcosa di irrinunciabile, ma va gestita in modo intelligente. “Tutti i campioni sono competitivi e motivati, anche se non sempre mostrano questo aspetto. Può anche essere una forza distruttiva: per questo, bisogna incanalarla nel modo giusto e renderla un punto di forza”. A quanto pare, gli ultimi giocatori con cui ha lavorato ci sono riusciti benissimo. Simona Halep ha chiuso l'incubo Slam, mentre Kevin Anderson ha raggiunto vette che a 32 anni sembravano ormai irraggungibili. E, alla luce di questo, il suo discorso durante la premiazione non va sottovalutato: “Lavorerò duramente per avere un'altra chance”. Diceva sul serio. Ci crede sul serio.