Un tweet particolare, uscito sui social del campione greco proprio mentre stava perdendo con Gasquet ci trasmette suggerimenti antici. Ma sempre validi: fermati, guarda, ascolta, ama

“‘Ricordati che devi morire!’ – “Sì, sì, mo’ me lo segno…”. Qualcuno ricorderà questo stralunato scambio di battute tra un frate e il grande Troisi improvvisamente catapultato con Benigni nel Medioevo, affacciato a una finestra, in Non ci resta che piangere. Alla tradizione spirituale del Memento mori – “Ricordati che devi morire!”, appunto – farà eco più tardi Goethe quando capovolgerà il detto in “Ricordati di vivere!”. Stessa cosa, da una prospettiva leggermente diversa.

Che c’entra con il tennis? Ce lo spiega l’incompiuta (per ora) e tormentata stellina Tsitsipas, non a caso greco, dunque più incline a filosofare. Qualche giorno fa, durante gli ottavi del torneo su erba di Stoccarda, giocati – e persi! – contro la vecchia volpe Gasquet, ha pubblicato questo tweet: “Non dimenticare di fermarti, guardare, ascoltare e amare. Perché un giorno tutto questo sparirà e così anche noi”. Tweet programmato? Forse. Fatto sta che è uscito proprio durante il match. A ulteriore riprova di come il tennis sia uno sport che spinge, anzi costringe chi lo pratica a gestire varie questioni psico-esistenziali, in un continuo confronto con se stesso e i propri demoni interiori.

Ma in questo caso si può fare una vera e propria esegesi delle parole dell’ellenico. Si comincia dal “Non dimenticare”. Gli antichi padri monastici asserivano che la dimenticanza, ossia la trascuratezza e il lasciar correre, è una delle patologie esistenziali più pericolose, perché ci condanna a non comprendere, a lasciarci scorrere la vita davanti agli occhi, come eterni principianti. Del resto, ben prima di loro, Gesù lo aveva detto icasticamente: “Ricordatevi della moglie di Lot!”. E ai suoi discepoli aveva più volte chiesto, con stupore: “Non ricordate questo, quest’altro…?”.

La non dimenticanza, poi, si declina in contenuti pratici. “Fermarsi”, anzitutto, non essere trascinati qua e là come foglie al vento. Non lasciarsi vivere, ma decidere di vivere. Ciò si manifesta attraverso il “guardare, vedere”, come lo stesso Nazareno non cessa di avvertirci nel discorso relativo alla fine della storia, cioè all’essenziale. Varie volte in questa occasione chiede proprio di guardare, ovvero di rendersi conto, stare in guardia: in breve, smettere di demandare ad altri e prendere in mano la propria vita. Nessun altro può farlo per noi. Se chiudiamo gli occhi, se ci giriamo dall’altra parte, la pagheremo noi e la faremo inevitabilmente pagare a chi vive con noi!

Biblicamente “guardare” fa rima con “ascoltare”. Anzi, ogni comportamento si radica nell’ascoltare, che indica ben più dell’udire. Significa avere “un cuore capace di ascolto”, cioè essere persone aperte alla vita, in grado di aderire alla realtà. Ricordando che, secondo la sapienza rabbinica, dovremmo ascoltare almeno il doppio rispetto a quanto parliamo, dal momento che abbiamo una sola bocca e due orecchi… Non mi pare un caso che sempre Gesù abbia ripetuto così spesso: “Ascoltate! Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti! Fate attenzione a ciò che ascoltate, a come ascoltate, a chi ascoltate”.

Alla fine tutto ciò serve a una e una sola cosa: amare un po’ meglio, un po’ di più. Direbbe la Bibbia: “amare con tutto il cuore, la mente e le forze”. E lasciarsi amare. Servono commenti? Forse uno solo, che Tsitsi pone alla fine, da consumato esperto dell’arte retorica: “Perché un giorno tutto questo sparirà e così anche noi”. Già, proprio così. Non siamo eterni. Tutto sparirà, anzi passerà (“This will all be gone”, nel tweet originale). E così anche noi. Paura? Scaramanzia? No, coscienza del limite e gioia nel godere di quanto ci è dato di vivere attimo dopo attimo. Un giorno… Per noi il tempo è sempre un frattempo. Oggi il frattempo ha le fattezze di uno splendido mese di tennis sull’erba, che culminerà con Wimbledon. Ah, non dimenticate che il 21 giugno il torneo di Halle premierà il dieci volte vincitore King Roger: uno che si è ricordato di vivere e di rallegrare, con i “Federer moments”, tanti nostri frattempi.