Gli inviti ai tornei consentono a tanti giocatori di vivere esperienze importanti, ma anche di “bruciarli”. E spesso sono decise da agenzia e compagnie di management. Higueras: “Io le abolirei”.
Di Riccardo Bisti – 22 aprile 2014
Ogni anno, quando si avvicinano gli Internazionali d’Italia, scatta il toto-wild card. Tra gli appassionati si accende un vivace dibattito su chi la meriterebbe e chi no. Più in generale, la wild card è una potente arma nelle armi degli organizzatori dei tornei. Nella maggior parte dei casi, viene concessa a giocatori che non hanno la classifica sufficiente per giocare un torneo. “Non è così difficile assegnarle – ha detto Mike Baron, direttore dell’ATP di Delray Beach – una si conserva fino all’ultimo per assegnarla a un giocatore di richiamo, poi si privilegiano gli americani e qualche giovane di prospettiva. Solo alla fine, si opta per un giocatore che non ha la possibilità di giocare nel main draw. E’ importante tenerne una fino all’ultimo, perché un anno le avevamo assegnate tutte e Andy Roddick ce l’aveva chiesta una settimana prima, ma non lo abbiamo potuto accontentare. E’ stato un peccato”. Quasi tutti i direttori di torneo agiscono in questo modo. Le statistiche dimostrano che buona parte degli inviti sono assegnati ai giocatori del paese in cui si disputa il torneo. Spesso il fattore-tifo incide, perché il pubblico è più invogliato a seguire un connazionale. Tuttavia, tanta attesa si traduce spesso in sconfitte. Secondo tanti esperti, le wild card sono dannose e rischiano di “bruciare” le giovani promesse, gettate in pasto a una realtà più grande di loro. Secondo il noto coach Robert Lansdorp, le wild card sono dannose. “Non aiutano. Potrebbero causare una tempesta nella mente dei giocatori”. La pensa allo stesso modo Josè Higueras. “Fosse per me, non ci sarebbero proprio”. E pensare che fa parte di un’associazione, la USTA, che in occasione dello Us Open concede 16 inviti tra uomini e donne. E ogni invito vale decine di migliaia di dollari. “So che né Josè né Patrick McEnroe amano le wild card – ha detto David Brewer, direttore dello Us Open – per questo hanno istituito dei tornei per assegnare le wild card per i giocatori americani”. Per il Roland Garros, gli inviti a disposizione della USTA andranno ai giocatori che hanno raccolto più punti in un circuito di challenger su terra verde.
GIOCATORI AIUTATI, GIOCATORI OSTEGGIATI
L’importante giro d’affari nei tornei più importanti ha creato un vero e proprio mercato. Anni fa, perdere al primo turno di un torneo challenger regalava un punto ATP e la certezza di entrare in classifica mondiale. Diversi challenger furono sospettati di aver “venduto” gli inviti a giocatori di modesta qualità ma con maggiori possibilità economiche. Per evitare il problema, da qualche anno tutte le sconfitte al primo turno non concedono punti. Ma il prize money resta. E diversi manager cercano di allettare i giocatori con determinate proposte. Del tipo: “Se firmi con me avrai più wild card”. “Non è così che si costruisce un campione – dice Lansdorp – guardate cosa sta succedendo a Ryan Harrison: non ha combinato nulla. Jack Sock sembra un buon giocatore, ma di certo le wild card non gli danno una mano". E gli agenti cosa ne pensano? Sam Duvall rappresenta Eugenie Bouchard e John Isner, rispettivamente una stellina e il numero 1 americano. “Ho opinioni contrastanti sull’argomento. Le wild card possono essere una grande occasione per chi le merita, ma allo stesso tempo un salvagente che non aiuta a migliorare”. Negli States si discute di Jack Sock. E’ tra i top-100, ha 21 anni…ma è ancora nel limbo tra top e flop. Si vedrà. Però lo massacrano per le 19 wild card ottenute negli Stati Uniti. E ha raccolto solo 13 vittorie. A quanto pare, dietro il meccanismo delle wild card c’è la mano degli agenti. Altrimenti non si spiegherebbe perché Sock è stato così aiutato, mentre Denis Kudla di meno e Tennys Sandgren…per nulla. Anni fa, il caso di Donald Young era stato addirittura clamoroso. Senza contare i giocatori che provengono da piccoli paesi, o che semplicemente non attirano l’interesse degli agenti.
LA POTENZA IMG
Per un giovane tennista, avere una buona compagnia di management è fondamentale. La società di management più potente, al netto dei problemi economici, è la IMG. Della loro scuderia fa parte il giovane Kyle Edmund. Gli hanno fatto avere una WC a Chennai e una a Miami. “Dove ha quasi battuto Julien Benneteau – dice Fernando Soler, che si occupa della parte tennis – in tre mesi ha raccolto esperienze eccezionali, mentre senza questi aiuti magari ce ne sarebbero voluti 18. Anche se ha perso, ha capito di poter giocare a certi livelli”. Intanto si è portato a casa un assegno di oltre 9.000 dollari, ben più sostanzioso di quanto aveva intascato vincendo un torneo future il mese prima. Chennai e Miami sono tornei di proprietà IMG, ma Soler sostiene che la società si è sempre comportata bene: “Operiamo così da 50 anni e nessuno si è mai lamentato. Poi ci sono gli agenti delle altre società che spingono per i propri giocatori, mentre i direttori dei tornei vogliono sempre i migliori. Noi Diamo la priorità ai nostri, altrimenti diamo gli inviti a chi potrebbe essere una bella storia”. Anche per questo, tanti giocatori continuano a firmare con la società che ha acquistato persino l’accademia di Nick Bollettieri. Insomma, spesso influiscono fattori esterni sconosciuti al grande pubblico. Di sicuro è un bene che le sconfitte al primo turno non diano più punti, e per fortuna gli Internazionali d’Italia hanno criteri piuttosto trasparenti, come la classifica ATP-WTA degli italiani e la presenza in Davis o Fed Cup. Almeno qui, l’onda lunga degli agenti non arriva. E le pre-qualificazioni sono aperte addirittura a tutti i tesserati. Più in generale, difficilmente il problema scomparirà. A meno che le carte selvagge non vengano abolite del tutto, o magari limitate ai tornei di qualificazione, dove si suda per davvero. E per due soldi.
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