A un certo punto si era appassionato di ingegneria. Per lui, Nduka Odizor, gli Stati Uniti erano il paese dove tutto era possibile. Qualche anno prima, la sua vita era cambiata grazie a un docente universitario. Si chiamava Robert Wren, insegnava presso l'Università di Houston e durante un viaggio a Lagos, Nigeria, rimase colpito dalle capacità tennistiche di quel ragazzone di 15 anni. Lo invitò in Texas e gli consentì di completare gli studi, a sue spese. Una volta terminato il liceo, Nduka si è infilato all'università. L'amata ingegneria e l'astrofisica lo affascinavano, ma gli orari delle lezioni si sovrapponevano agli allenamenti. E allora ha ripiegato su Business e Finanza. Ma era bravo, Nduka. Nel 1981 si è laureato e gli studi gli sono serviti, visto che oggi è un ricco immobiliarista e uomo d'affari. Ma è anche il più forte tennista mai prodotto dalla Nigeria. Un paese pieno di risorse, sia naturali che umane, ma travolto dalla corruzione e dalla malapolitica come quasi tutti i paesi dell'Africa Nera. Per questo, raramente abbiamo visto atleti nigeriani sfondare nello sport. Sono forti nell'atletica leggera, hanno avuto una grande nazionale di calcio, ma finisce più o meno lì. Tennisti? Manco a parlarne. Oggi ci sono otto nigeriani nel ranking ATP, ma il più forte (Michael Moses, 21 anni), staziona al numero 1268. Un tempo, la Nigeria è il miglior paese dl continente. Oggi langue in settima posizione. Ma tanti anni fa stavano per vivere un sogno ad occhi aperti. E forse sarebbe andata diversamente se i suoi genitori adottivi non avessero ritardato la sua carriera. “Prima finisci gli studi, poi potrai fare il professionista”. Un sentenza che ha tolto alla Nigeria un possibile campione. Nell'ultimo anno di università, il ranking parlava chiaro: numero 3 nella classifica NCAA alle spalle di John McEnroe e Tim Mayotte. In quegli anni, guidare il ranking universitario significava strappare contratti importanti. McEnroe aveva firmato con Sergio Tacchini e con Dunlop, mentre Mayotte era finito sotto l'ala protettrice di Head e Adidas. Nduka, soprannomato “The Duke”, non aveva contratti per le racchette ma Adidas gli offrì la bellezza di 100.000 dollari. Però c'era un problema: gli mancava un semestre per finire gli studi. Andò dai genitori adottivi, spiegò la situazione ma loro alzarono le spalle. “Prima finisci l'università”. Insomma, per inascare quei soldi avrebbe dovuto terminare l'università in un mese e mezzo, mentre in condizioni normali ce ne volevano tre. Ce la fece. “Quando c'è un ostacolo, la gente pensa che non ci sia più niente da fare, soprattutto in Nigeria. Un ostacolo non significa che la strada è finita. Significa che è il momento di riflettere per superarlo”.
LA PROTEZIONE DI SCOTLAND YARD
La storia, specie quella sportiva, è fatta di leggende. E ce n'è una dura a morire: Odizor avrebbe raggiunto i quarti a Wimbledon. Non è vero. Però è vero che nel 1983 ha fatto un figurone, spingendosi fino agli ottavi. Battè Guilermo Vilas (n. 4 del mondo), Peter Fleming (storico compagno di McEnroe) e Loic Courteau (futuro coach della Mauresmo) prima di cedere a Chris Lewis, che in quei giorni giocava su una nuvola. Diventato professionista a 23 anni, ha vissuto una carriera dignitosa ma non brillante come il suo fisico statuario gli avrebbe consentito. E' come se fosse partito dai box, senza fare le qualifiche: fino a un certo punto recuperi, ma i primi sono ormai scappati via. E così Nduka ha recuperato fino al numero 52 ATP, vincendo diversi challenger e un titolo Grand Prix (più o meno l'equivalente degli attuali tornei ATP), a Taipei nel 1983. E' rimasto tra i top-200 ininterrottamente dal 1982 al 1988, ma di lui si ricordano soprattutto le faccende fuori dal campo. Ad esempio, il razzismo. Il maledetto razzismo. A Wimbledon, alcuni skinheads lo minacciarono di morte: secondo loro, un nero non aveva diritto a giocare sui sacri prati di Wimbledon. Per questo, coinvolsero addirittura Scotland Yard per garantire la sua sicurezza. La situazione lo esaltò fino a fargli giocare il miglior torneo in carriera. “Il razzismo è stato un grosso problema nei miei anni nel tour, e lo è ancora. Arrivi nello spogliatoio e gli altri se ne vanno. Chiedi a un giocatore di allenarsi e ti dice di no, tirando fuori qualsiasi scusa. La verità è che non vogliono dividere il campo con un nero. Nessuno vuole giocare con te e ti dicono pure che i campi di allenamento sono occupati”. Ma lui aveva un carattere indomito. Si dice che i Leoni Indomabili d'Africa arrivino dal Camerun, ma Odizor rispecchiava bene il loro spirito. A tal punto che dal 1985 al 1987 è entrato nientemeno che nel Board ATP, unico africano a ricoprire il ruolo. Le sue doti oratorie lo hanno portato allo scontro con il comitato olimpico nigeriano durante le Olimpiadi di Seul 1988, quando non volevano pagare gli atleti. Per questa ragione, Odizor è sparito per anni dalla scena nigeriana. Le sue ultime tracce pubbliche nel ventesimo secolo risalgono al 1995, quando si presentò a Brescia per una fortunata edizione di "Tennis for Africa", esibizione benefica cui parteciparono Andrei Chesnokov, Jordi Arrese, Stefano Pescosolido e il comico Francesco Salvi. Ma ormai viveva in America con la moglie e il figlio Nicholas.
LA SPERANZA DI UN TOP-10 NIGERIANO
E' tornato in Nigeria nel 2004. Voleva dare una mano, ma si è scontrato con la politica e non se ne fece nulla. Ma adesso è tornato sul serio. Ha inaugurato un progetto di edilizia abitativa per almeno 10.000 persone, ma il suo sogno è dare un po' di speranza al tennis nigeriano. In passato aveva portato migliaia di racchette, scarpe e attrezzature di ogni genere. Ma tutto finiva in mano ai dirigenti sbagliati, il materiale spariva e il progetto falliva. Per questo si è messo in proprio, e con l'aiuto di un paio di persone fidate ha inaugurato la Duke Odizor Tennis School ad Abuja. “La gente si lamentava perché il governo non fa niente, ma lagnarsi è un errore – ha detto – il governo è fatto di persone, quindi è anche colpa nostra. Quindi ho deciso di cominciare ad Abuja, per conto mio. Magari qualcuno mi seguirà”. Il progetto scatterà ufficialmente nel 2016, ma è già partita la fase sperimentale. Una decina di ragazzini si stanno allenando sotto la guida di Babatunde Abe, un maestro che si è formato negli Stati Uniti. Oltre agli allenamenti, i ragazzi hanno a disposizione i pasti e una piccola quota settimanale. “Non è una semplice accademia, ma una vera e propria scuola – dice Odizor – dove vengono insegnate cinque lingue: inglese, francese, cinese, spagnolo e swahili. Siamo consapevoli che il 90% dei ragazzi non avrà una carriera nel tennis, ma se saranno educati a dovere avranno le competenze necessarie per avere successo altrove”. Qualche weekend fa, Odizor ha donato 50 paia di scarpe, 30 racchette e un bel po' di vestiti. Stavolta sono finiti nella mani giuste e serviranno ad alimentare l'attività di dieci piccoli baby-tennisti. “50 anni fa ero un semplice raccattapalle a Lagos, ma qualcuno mi ha dato la possibilità di giocare a tennis. Quello che sto facendo adesso è il mio tentativo di ricambiare. Un piccolo gesto può cambiare una vita”. E la Nigeria, con i suoi immensi pozzi petroliferi dove qualche anche qualche imprenditore italiano si è arricchito, potrebbe splendere anche nel tennis. Era destino che il Duca non entrasse tra i top-10, ma adesso qualcuno potrà farlo al posto suo.