Qualche anno fa, i giovani francesi lo conoscevano per essere un cantante di successo. Pochi (nessuno?) sapeva che Yannick Noah era stato un grande tennista (prima) e uno straordinario capitano di Davis e Fed Cup (dopo). A tennis giocava bene, anche se due terzi del suo repertorio tecnico erano obbrobri estetici. Si rifaceva con l'atletismo sfrenato e – soprattutto – col carisma. Lo stesso che ha permesso alla Francia di artigliare un paio di Coppe Davis fuori tempo massimo, nel 1991 e nel 1996, con lui in panchina. Poiché la Francia è la patria di Monsieur Chauvin e il tennis è sport molto seguito, va da sé che vincere l'Insalatiera può spostare gli equilibri (cit.) dell'opinione pubblica. Visto che non la azzannano da 16 anni (Melbourne 2001, l'eroe fu Nicolas Escudè), l'ex presidente FFT Jean Gachassin, in una delle ultime zampate della sua lunga presidenza, ha pensato bene di licenziare Arnaud Clement per richiamare il figlio prodigo Noah, che aveva messo da parte il tennis da almeno un paio di lustri. Ma vuoi mettere il clamore mediatico, il carisma, la capacità di attirare il pubblico mainstream? Ed eccolo, nell'ultra-tecnologico Stade Pierre Mauroy di Lille, a cercare di vincere la terza Davis da capitano contro un Belgio che ha il vantaggio di non avere nulla da perdere, almeno a bocce ferme. La nuova campagna di Noah sulla panchina “bleu” è iniziata così così, con una semifinale persa in Croazia senza colpo ferire. Quest'anno è arrivato in finale senza problemi, vincendo tre partite-allenamento contro Giappone (senza Nishikori), Gran Bretagna (senza Murray) e Serbia (senza Djokovic). Perdere sarebbe stato da fucilazione mediatica.
"HERBERT E GASQUET SI COMPLETANO MOLTO BENE"
Il carisma gli è rimasto, perché ha trovato modo di recuperare Jo Wilfried Tsonga: classifiche a parte, è legittimo considerarlo il miglior tennista francese. Non era facile, giacché Jo aveva detto ciao alla Davis, per i soliti motivi: “Voglio concentrarmi sull'attività individuale, eccetera, eccetera”. Se ci aggiungi la paternità, la frittata era fatta. Ma se contro Giappone e Gran Bretagna erano bastati il suo cocco Pouille, Gilles Simon, il fido Gasquet e persino Jeremy Chardy, per la semifinale lo ha ripescato. Questo è carisma. Oggi Tsonga è il numero 1 di una squadra senza veri leader, ma bella compatta. Anzi, un leader c'è. È proprio Yannick, che alla vigilia ha sorpreso tutti con una decisione impossibile da capire, almeno a occhio nudo. Fuori Nicolas Mahut, la parte sana del temibile doppio con Pierre Hugues Herbert, dentro Richard Gasquet, che con Herbert (la parte malata del doppio: la scorsa settimana hanno mollato il Masters perché aveva il mal di schiena) non ha mai giocato, nemmeno al torneo della parrocchia. Incredibile. Con il Belgio che ha recuperato in extremis il gigante De Loore, buon doppista, il confine tra genio e incompetente è molto labile. Vincere tre singolari sarebbe sufficiente, ma Noah si è attirato migliaia di occhiate perplesse. Davvero valeva la pena, nel momento più importante, separare la coppia più affidabile? “Ho aspettato fino all'ultimo momento – ha detto il condottiero francese – la scelta è arrivata mercoledì notte. Durante lo stage erano stati tutti molto bravi, ma dovevo scegliere la squadra migliore. Nel corso degli allenamenti ho notato alcuni segnali. Per me è stata una scelta ovvia, chiaramente mi assumo il rischio. Mi rendo conto che scegliere Herbert e Gasquet, vista da fuori, possa sorprendere. Però dovevo mettere da parte l'aspetto emotivo. Giovedì scorso Pierre Hugues era a letto con la lombalgia, ma ho potuto scegliere fino all'ultimo momento e in questi giorni mi ha dato indicazioni molto preziose. Richard è in piena forma, è solido e costante. Non giocare la semifinale lo ha stimolato, ed è in buone condizioni psicologiche. Non hanno mai giocato insieme? Secondo me si completano molto bene. Per me, sono il miglior doppio possibile. C'è sempre una prima volta: al mio esordio in Davis ho fatto coppia con Francois Jauffret e abbiamo vinto. Gli automatismi si trovano rapidamente sul campo. E poi, se ci sarà un problema con il singolare, Richard potrà giocare”.
16 ANNI DI ATTESA
A ben vedere, Gasquet lo meriterebbe anche. Tre anni fa fu la vittima sacrificale nella finale contro la Svizzera, sullo stesso campo di Lille. Contro Federer non aveva chance. Stavolta sarebbe diverso, anche se in singolare partiranno l'intoccabile Tsonga e quel Pouille che tanto piace a Noah. Gli aveva fatto da mentore nel 2015, ben prima di ricevere la telefonata di Gachassin. Tuttavia, ha meno esperienza e in semifinale ha lasciato un punto (pericoloso) contro Dusan Lajovic. Non è detto che sul 2-2 scenda in campo. Per questo, forse, Noah si è tenuto lo spiraglio del terzo singolarista. Magari tra 72 ore gli daremo del genio. Come sempre, parlerà il campo. Di sicuro resteranno in panchina Mahut e Benneteau, ex amici, poi nemici, infine di nuovo amici. Entrambi speravano di giocare, ma il capitano ha scelto di convocare i più giovani. “Capisco che l'argomento sia di vostro interesse – ha detto Noah ai giornalisti – ma adesso non vorrei parlare di quelli che non ci sono. Questo non significa che non ci pensi, ma avremo modo di tornarci. È la parte difficile del nostro lavoro. Posso dire che sono scese delle lacrime, anche da parte mia. È complicato andare da un ragazzo e dirgli che non giocherà, la finale è il sogno di tutti”. 26 anni fa, a Lione, aveva rischiato Henri Leconte. Lo aveva pescato in ospedale, con la schiena a pezzi. Trovò le parole giuste per caricarlo e fu ripagato da un weekend che ancora oggi è tra i più belli nella storia dello sport francese. La Davis mancava da 49 anni. Oggi non c'è l'epica di allora, il Belgio non è come gli Stati Uniti, Goffin non è Sampras, anche se 16 anni sono un'attesa niente male, specie se conditi da tre finali perse tra le lacrime. Capitan Yannick ha scelto di rischiare, assumendosi ogni responsabilità. È un grosso rischio: se vincerà, avrà fatto il suo dovere, ma se andrà male gli salteranno addosso. Tutto il mondo è paese. Lui lo sa, ed è pronto ad affrontare ogni conseguenza. A 57 anni, se lo può permettere.