Il progetto “Stop War, Start Tennis” non si è mai fermato: in questi giorni, il noto doppista pakistano ha visitato Ruanda e Uganda per vivere in prima persona realtà tragiche, laddove ci sono ancora malattie dimenticate e gli stipendi sono di 1 dollaro al giorno. Ma il tennis può dare un sorriso: pur di giocare, i bambini si sostituiscono ai paletti della rete per giocare tra loro.

Lo slogan è nato parecchi anni fa: “Stop War, Start Tennis”. Il pakistano Aisam-Ul-Haq Qureshi giocava in doppio con l'indiano Rohan Bopanna e i due non si limitavano a lottare ai vertici del ranking ATP, ma diffondevano un sentito messaggio di pace. Avevano persino ipotizzato di giocare su un campo per metà in India, metà in Pakistan. Non se ne è fatto nulla, anche se grazie al marchio di Bjorn Borg è stato fatto qualcosa del genere al confine tra Stati Uniti e Messico. La coppia si è divisa anni fa, ma Qureshi non ha perso la sua vocazione umanitaria. Il n.31 del ranking ATP di doppio si è concesso un paio di clinic nell'Africa nera, unica area geografica a non aver raggiunto un sufficiente sviluppo tennistico. Quando si è recato in Uganda, i bambini lo hanno accolto agitando le mani con gesti rapidi e tremolanti, tipico saluto ugandese dei non udenti, categoria particolarmente discriminata nel paese. Lui ha trascorso una settimana in un campo sporco, pieno di chiazze d'erba, dove c'erano più bambini che racchette o palline. Ma c'era la volontà di stare insieme. In una settimana, Qureshi ha conosciuto diverse categorie svantaggiate: bambini scalzi, adulti amputati, giovani disabili e rifugiati di guerra, piccoli malati di AIDS (da noi è quasi dimenticata, ma da quelle parti è ancora una piaga). C'erano anche adulti normodotati, ma con la sfortuna di trovarsi sotto la soglia della povertà. Per tornare in linea di galleggiamento, si sono inventati maestri di tennis. Il mini-tour di Qureshi ha lo stesso nome inventato una decina d'anni fa, cui aderì anche Francesca Schiavone: "Stop War, Start Tennis". Le storie sono tante e diverse tra loro, ma con un unico comune denominatore: la speranza che il tennis sia il preludio a un futuro migliore. La prima tappa è stata a Kigali, in Ruanda, seguita da quella a Kampala, in Uganda. L'obiettivo era triplice: analizzare gli attuali progetti, valutare le varie esigenze verificare che le donazioni e i fondi vengano usati in modo corretto e trasparente. “Sentivo che sarebbe stato importante venire in prima persona ed ascoltare le storie delle persone coinvolte – ha detto il pakistano – il mio coinvolgimento con il progetto non si limita a raccogliere fondi, ma conoscere e sviluppare relazioni con chi vive questa realtà giorno dopo giorno”.

GUARIRE LE FERITE DEL GENOCIDIO
Prima di arrivare a Kigali, l'ex n.8 del ranking di doppio aveva donato cinque sedie a rotelle specifiche per un programma di wheelchair tennis, organizzato dalla federazione ruandese e gestito dall'esperto coach keniano Lawrence Karanja. Per sua grande gioia, l'utilizzo che ne viene fatto è quello giusto. “Da professionista sono molto sensibile a dolori e infortuni. Quindi mi colpisce vedere l'entusiasmo e lo sforzo di una persona in carrozzina, il cui unico obiettivo è raggiungere la pallina. Grazie a loro, ho ancora maggiore ispirazione per ogni mio allenamento”. Qureshi è la persona giusta per comprendere certe dinamiche: pure lui è cresciuto in un paese “in via di sviluppo”, definizione ipocrita per definire le nazioni dilaniate da guerra e povertà. Per sua fortuna, il Pakistan offre più possibilità agli atleti rispetto al Ruanda. Quest'anno ha potuto coronare il sogno di giocare finalmente in casa un match di Coppa Davis, dopo 12 anni di esilio imposti dall'ITF per “ragioni di sicurezza”. E il suo Pakistan è subito tornato nel Gruppo 1. In chiusura, come fosse un gesto simbolico, ha visitato il memoriale del terribile genocidio del 1994. È storia: in 100 giorni di massacro, l'odioso principio della pulizia etnica contro i Tutsi generò quasi un milione di uccisioni. Il memoriale non si limita a ricordare i fatti del Ruanda: al suo interno c'è un centro educativo che racconta i genocidi che si sono sviluppati nel corso della storia. Qureshi ha potuto approfondire quanto è successo in Cambogia, Armenia, Namibia e nei Balcani. A oltre 20 anni di distanza, la federazione tennis ruandese è convinta che il nostro sport sia tra le armi più efficaci per guarire le ferite. In virtù di questo, ogni anno organizza un torneo in memoria di questi orrori. Il “Rwanda Genocide Memorial” attira ogni anno giocatori da Kenya, Uganda e Congo. “Lo slogan che ho sentito più volte durante la mia permanenza è stato 'Cresci, Ruanda!' – dice Qureshi – dopo tutto quello che ho visto, posso dire che il tennis in questo paese è certamente in crescita”.

1 DOLLARO AL GIORNO DI STIPENDIO
La seconda tappa si è sviluppata in Uganda, dove ha potuto conoscere i fondatori di “Tennis For All” (TFA), associazione non governativa, senza scopo di lucro, che prova ad avvicinare al tennis i bambini che frequentano le scuole più povere, quelli che non possono permettersi neanche il sogno di impugnare una racchetta. Anche l'Uganda ha una storia piena di tumulti interni: un crudele dittatore come Idi Amin, una brutale guerra civile e un'altra, altrettanto incomprensibile, contro la Tanzania. Inoltre è il paese al mondo con il maggiore tasso di AIDS, ma c'è anche tanto analfabetismo, malattie e pessimi servizi igienici. Le cifre non hanno anima, ma non si può rimanere indifferenti nell'apprendere lo stipendio dell'ugandese medio: 1 dollaro al giorno. Nella East Kololo School di Kampala, non ci sono campi da tennis. Per questo, lo sforzo di TFA è fondamentale. Le attrezzature scarseggiano, eppure ogni giorno riescono a far giocare i bambini della scuola elementare durante la ricreazione. Tra gli istituti coinvolti, ce n'è anche uno destinato ai non udenti. “Devo complimentarmi con Julius Kobe e Vincent Muwereza, i fondatori di TFA – dice Qureshi – hanno creato un programma speciale per i bambini che hanno bisogno di attenzioni speciali. Passano un mucchio di tempo a insegnare la tecnica, ma non si limitano a questo: danno suggerimenti sulla preparazione atletica e insegnano ad essere sportivi”. C'è un'immagine che, più di altre, ha emozionato Qureshi: vedere dei bambini sostituirsi ai paletti e tenere in piedi un pezzo di plastica a mò di rete di metà campo, in modo da consentire ai loro compagni di giocare. “Trovano il piacere di giocare a tennis laddove molti di noi non vorrebbero neanche parcheggiare la loro auto”. Il rettore della “Uganda School for the Deaf” ha informato che nel paese la sordità è vista come una malattia grave e invalidante. Chi è sordo, viene considerato uno stupido. Ma ha anche aggiunto che 43 bambini della sua scuola potrebbero recuperare l'udito, se solo potessero usufruire di uno speciale apparecchio acustico, che costa appena 40 dollari. Con i suoi quasi 3 milioni guadagnati in carriera, sia pure al lordo delle tasse, crediamo proprio che Qureshi non sarà rimasto indifferente. L'ultima tappa della sua visita è stata Entebbe, sempre in Uganda, dove ha incontrato i responsabili di Babies Uganda, fondazione che si occupa principalmente di bambini. Sia quelli che senza famiglia, sia quelli che nascono già malati di AIDS. Ha consegnato centinaia di medicinali acquistati in Pakistan tramite la sua fondazione. “Sono grato di avere una piattaforma che mi consenta di incontrare chi lotta ogni giorno per la sopravvivenza – ha concluso – il tennis può aiutarli a vivere un po' meglio. Il mio scopo è far sapere ai ruandesi e agli ugandesi che i loro progetti sono importanti e che noi tennisti possiamo dare una mano per fornire beni di prima necessità: attrezzature per il tennis, libri e apparecchiature di vario genere”, Davvero un bel gesto, quello di Qureshi, che meriterebbe ben altra visibilità. Noi abbiamo provato a dargliela.