Steve Johnson è il miglior tennista college di sempre. A 23 anni, ci prova col professionismo. E’ a ridosso dei primi 100, ma la strada non è facile. Haas ha fiducia: “A differenza di altri, ha davvero voglia di arrivare”.
Steve Johnson è nato a Orange, in California, il 24 dicembre 1989
Di Riccardo Bisti – 20 febbraio 2013
Tanti giocatori hanno dimostrato che si può diventare ottimi professionisti dopo aver intrapreso la carriera universitaria. L’ultimo è stato John Isner, diventato "pro" a 22 anni. Prima di lui ci sono stati i gemelli Bryan, James Blake, Jesse Levine, Somdev Devvarman…una ventina d’anni fa anche il nostro Davide Sanguinetti era transitato nei college americani. Ma i successi che hai avuto al college non valgono niente nel circuito ATP. Steve Johnson lo sa bene. A livello NCAA era un fenomeno. Era come Roger Federer, Michael Schumacher, Tiger Woods. Non conosceva la sconfitta. Ha vinto quattro titoli consecutivi con la sua franchigia, aggiudicandosi anche due titoli individuali. Visto che va di moda paragonare atleti di epoche diverse, il 23enne californiano (è nato e residente ad Orange, nei pressi di Santa Ana, dalle parti di Los Angeles) è stato il più forte tennista college di tutti i tempi. Ma è consapevole del fatto che il passaggio tra i professionisti lo obbligherà a ripartire da zero. “All’Università l’ho fatta franca su alcuni aspetti – ha detto la scorsa settimana a San Josè, dove ha ottenuto il suo primo quarto di finale ATP – e mi sono reso conto che certe cose non avrebbero funzionato tra i professionisti. Adesso sto lavorando per ottenere il massimo da me stesso. Nel circuito ATP, se giochi un filo più corto, ti mettono pressione e tirano un sacco di colpi vincenti. Al College, riesci comunque ad essere competitivo anche se sei corto o se non metti la palla esattamente dove vorresti. Qui non puoi permetterti il minimo errore. E’ dura, ma è il tennis. Devi semplicemente impegnarti e migliorare”.
A San Josè ha mostrato di aver recepito i dettami, annullando un paio di matchpoint a Ivo Karlovic (battuto 8-6 al tie-break del terzo) prima di superare Tim Smyczek. Si è presentato ai quarti senza aver mai perso il servizio in tutta la settimana. Ma poi ha affrontato Tommy Haas. Il tedesco ha 11 anni più di Steve e almeno 15 di esperienza in più. Lo ha controllato senza problemi, imponendosi 6-4 6-2. Era il loro primo scontro diretto, ma si erano allenati qualche volta a Los Angeles. Haas lo ricordava: “E’ uno che lavora duro, un agonista. Ha degli obiettivi, ed è l’atteggiamento giusto. Ho visto tanti ragazzi di 18-19 anni, magari più talentuosi di lui, che però hanno meno voglia di arrivare. Si vede nei loro occhi a un miglio di distanza. E’ qualcosa che mi uccide. A volte dici ai ragazzi di porsi degli obiettivi, di avere la volontà di lavorare. Ma è troppo tardi. Come puoi dire queste cose a gente di 20 anni? O ce l’hai non ce l’hai. Invece Steve è un combattente, lo apprezzo molto”. Secondo Haas, chi esce dal college ha bisogno di un po’ di tempo per abituarsi ai ritmi dei professionisti. Ma poi arriva. “Credo che lo vedremo in giro per un bel po’”. Da parte sua, Johnson è convinto che un quarto di finale ATP non arrivi per caso. “Magari qualcuno non è d’accordo: mi piacerebbe dimostrare che ho ragione”.
Quando non è in giro per i tornei, Johnson annusa l’aria di casa, non distante dall’Università dove spadroneggiava. Si allena presso lo USTA Training Center di Carson, nei pressi di Los Angeles, dove lo seguono David Nainkin, Dustin Taylor e Rodney Marshall. Su quegli stessi campi, tra gli altri, si allenano Sam Querrey e Sloane Stephens. Tuttavia è rimasto in contatto con Peter Smith, suo vecchio allenatore ai tempo del college, quando spadroneggiava con la divisa dell’Università della California del Sud. Sotto la sua guida, ha vinto 72 partite di fila. “Parliamo ancora, ci teniamo in contatto. Quando sono a casa mi piace molto uscire con lui e gli altri ragazzi del team. Sarà sempre una parte importante della mia carriera. Credo che ascolterò sempre i suoi consigli su cosa va e cosa non va. E’ sempre stato in grado di tenere alta la mia concentrazione, e per quattro anni abbiamo trascorso un mucchio di tempo insieme. E’ capace di mettermi sempre nel giusto stato d’animo”. Il buon risultato a San Josè gli ha consentito di ottenere il best ranking: attualmente è numero 136 ATP. Naturalmente, l’obiettivo minimo è entrare tra i top 100. “L’ideala sarebbe che tutti i top 20 si ritirassero. Mi aiuterebbe molto!” ha scherzato. Forse non sarà un crack come John Isner, anche perchè è più basso di 20 centimetri e il servizio fa meno male. Ma va tenuto d’occhio. Lo sa bene Jim Courier, capitano di Davis, che lo ha scelto come sparring partner per gli allenamenti del team. La strada è ancora lunga: a Memphis, dove è entrato in tabellone grazie a una wild card, ha ceduto al qualificato Rhyne Williams (altro prodotto del college). Ma Steve sa che gli ostacoli sono dietro l’angolo. Starà a lui non abbattersi nei momenti di difficoltà.
Post correlati
Essere vulnerabili, e ammetterlo, è una grande risorsa
Vulnerabili lo siamo tutti, anche e soprattutto i tennisti, in un’epoca in cui la pressione per il risultato è...