La cinese ha obiettivi importanti anche fuori dal campo. “Mi sono laureata in giornalismo perché volevo capire perché si dicevano tante cose false su di me. Ho imparato tante cose”.
Il rapporto tra Na Li e i giornalisti non è sempre stato idilliaco
Di Riccardo Bisti – 7 gennaio 2013
Il 2013 di Na Li non poteva iniziare meglio. Ha sofferto un po’, ma ha portato a casa il torneo casalingo di Shenzhen. Ma adesso è tempo di pensare all’Australian Open, dove vanta una finale e si sente come a casa, non soltanto per quella definizione di "Slam dell’Area Asia-Pacifico". Durante la preparazione invernale, la prima sotto la guida di Carlos Rodriguez, ha cambiato alcuni aspetti del suo gioco. I risultati sono arrivati subito, segno che sul piano tecnico non ci sono problemi. Ma gli obiettivi sono più ampi, a partire da una migliore gestione della popolarità. “Da quando ho vinto il Roland Garros sono cambiate un mucchio di cose nella mia vita. Il cambiamento più radicale è avvenuto proprio in Cina”. Prima asiatica a vincere uno Slam, è stata travolta dalle aspettative di un miliardo di persone che si aspettavano un successo dopo l’altro. Ma nel tennis non è così automatico. Senza considerare le distrazioni cui una campionessa Slam non può sottrarsi: pubblicità, interviste, contratti…cambiare vita a 30 anni non è stato facile. E così, nella seconda metà del 2011, il suo rendimento è calato. “Non avevo mai vissuto niente del genere, e nemmeno il mio staff. Non sapevo come gestire la cosa fino a quando è arrivato Carlos e ha portato la sua esperienza”. L’allusione è ai trascorsi con Justine Henin, che (anche) grazie al coach argentino è rimasta in cima per tanti anni.
“Dopo tanti alti e bassi, credo di essere una giocatrice più matura. Gran parte del merito è dei consigli di Carlos. Mi ha detto di vivere con più leggerezza e di essere più rilassata sul campo da tennis”. Consigli banali, ma bisogna avere la capacità di trasmetterli. E Rodriguez ce l’ha. Durante la settimana di Shenzhen, la Li è parsa più volte nervosa, infelice. Dopo ogni errore gratuito si voltava nervosamente verso il marito (ed ex allenatore). Tuttavia, trovava il modo di concentrarsi subito dopo. Anche per questo ha messo a segno una difficile rimonta nella finale contro Klara Zakopalova, rimontata da 2-5 al terzo. Prima del trionfo a Parigi (ma anche dopo), la cinese era famosa per improvvisi black out mentali che le sono costati diverse sconfitte. Ne è un ottimo esempio la finale degli Internazionali d’Italia, dove ha buttato via il successo contro la Sharapova. Questi problemi sono apparsi meno evidenti a Shenzhen. Può essere un buon inizio, anche se le vere sfide arriveranno a Sydney e – soprattutto – a Melbourne. In Australia si trova bene: ha raggiunto la semifinale nel 2010 e una storica finale nel 2011, persa contro Kim Clijsters. L’anno scorso si è suicidata, sempre con la belga, sciupando quattro matchpoint consecutivi. Stavolta l’incubo-Clijsters non ci sarà: Mamma Kim ha deciso di mollare (stavolta per sempre). Na Li ha detto di aver imparato ad accettare gli errori sul campo, anche se continua ad essere una perfezionista. “Non posso cambiare del tutto il mio carattere, ma le cose vanno meglio. Non mi arrabbio più di tanto sugli errori. Ho capito che gli errori possono capitare e c’è sempre la possibilità di rimediare”.
La maturazione di Na Li parte da un diverso atteggiamento fuori dal campo, dove è famosa per avere un temperamento schietto, polemico, ben poco “cinese”. Ma le cose stanno cambiando anche lì. Per intenderci, ha ricucito i rapporti con il governo locale, che nel 2009 la obbligò a rappresentare la sua regione nei National Games, nonostante fosse reduce da un infortunio e avesse un mucchio di impegni. Quest’anno ha chiesto di saltare l’evento e le hanno dato il permesso. “Nel vecchio sistema loro ordinavano e io dovevo eseguire – dice la cinese – adesso è tutto più negoziabile. Ho le mie idee e le discutiamo insieme. C’è molta più professionalità”. E poi c’è il desiderio di migliorare il rapporto con i media. E’ capitato più volte che le sue conferenze stampa fossero conflittuali, soprattutto con i giornalisti cinesi. Nella sua autobiografia, intitolata “Playing Myself”, pubblicata l’anno scorso, la giocatrice ha ammesso di essere rimasta “rabbrividita” dalla lettura di alcune storie sul suo conto. A suo dire, erano tutte montature. “Sapete perché ho deciso di laurearmi in giornalismo? Volevo capire perché i media raccontavano storie del tutto inventate sul mio conto”. Nel 2002 smise di giocare per ultimare gli studi presso la Huazhong University. “Adesso ho capito che il loro lavoro è fare titoli sensazionalistici. 10 persone avranno 10 persone diverse sulle tue parole, per questo va così. E se rispondo male, è ovvio che i pareri non saranno troppo positivi”. Adesso la cinese vuole essere degna di una campionessa Slam anche fuori dal campo. “Mi sono resa conto che non devo più dire o fare quello che mi passa per la testa, perché non sai mai chi ti sta guardando. Devo assumere una maggiore responsabilità sociale e cercherò di essere un buon modello per i giovani”. In Cina non aspettano altro.
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