Boris Becker ribattezzò così il Centre Court di Wimbledon, dove trionfò il 7 luglio 1985, ad appena 17 anni, stabilendo un record di precocità che resiste ancora oggi. 30 anni esatti più tardi, riviviamo quella partita e quei momenti.A 30 anni esatti dallo storico successo a Wimbledon di un Boris Becker appena 17enne, riviviamo quei giorni e quelle emozioni, raccontate da Massimo Garlando nell'ultimo numero di TennisBest Magazine.
"Match point. Faccio rimbalzare la palla, cercando la concentrazione, la lancio in aria, contro il cielo azzurro. L'elettricità sul Centrale si taglia col coltello. E, in quel momento, provo l'emozione più forte di tutta la mia vita". Con queste parole, qualche anno dopo, Boris Becker ha ricordato quello che gli passava per la testa nel pomeriggio del 7 luglio 1985 quando, a 17 anni e 225 giorni, ha trionfato per la prima volta a Wimbledon e ha riscritto la storia del tennis, diventando il più giovane vincitore di un titolo Slam (record poi battuto poco meno di due anni dopo da Michael Chang, a Parigi) e, per dirla con le parole di un Rino Tommasi lapidario come nelle migliori occasioni, mettendo fine al fascino e al valore dei tornei juniores.
Anni sui libri di scuola, brevi fotogrammi, e cosa ci resta, di quella metà degli anni Ottanta? Reagan e Gorbaciov, certo, come nella canzone di Raf, e in Italia un passaggio di consegne importante: in giugno termina il mandato di Pertini e inizia quello di Cossiga, la fine di un'epoca, dal "partigiano come Presidente" al Ministro dell'Interno degli anni di piombo, il cui cognome veniva scritto sui muri con la K e con la doppia S in caratteri runici.
Del resto, molto di quello che succede in quegli anni, in tutti i campi, deve essere analizzato tenendo in considerazione la situazione politica del tempo. Dal cinema, dove la sfida tra Rocky e "ti spiezzo in due" Ivan Drago altro non è che la Guerra Fredda for dummies, alla musica, che inizia a mostrare una sensibilità verso i problemi dell'Africa con il Live Aid, concertone benefico tra Wembley e Philadelfia per combattere la carestia in Etiopia.
Per non parlare della presentazione dei duellanti: la dicitura Ovest dopo Germania per Becker, con un Muro ancora molto solido nella Berlino divisa, e l'origine sudafricana per il rivale Curren. Già, perché il ventisettenne Kevin aveva ottenuto da tre mesi la cittadinanza americana, dopo aver giocato (e perso) la finale dell'Australian Open sotto la bandiera del suo paese natale.
In effetti, girare il mondo con il passaporto sudafricano, all'epoca, comportava parecchi problemi logistici. Nel 1985 si era in piena era apartheid, Nelson Mandela rileggeva la poesia Invictus nella prigione di Robben Island ed era ancora molto lontano dal momento in cui avrebbe utilizzato lo sport per gridare al mondo la vittoria sua e della sua gente. Il Sudafrica era fuori dal CIO ed escluso dalle principali competizioni sportive mondiali, compresa la Coppa Davis, che si era aggiudicato nel 1974 grazie alla rinuncia dell'India, avversaria in finale. Logica, quindi, la scelta della cittadinanza americana per Curren, mascellone stile Beautiful, che negli Stati Uniti aveva frequentato il College e vinto il titolo NCAA nel 1979.
Quindi, fatte queste doverose premesse, indossiamo la tuta di Marty McFly e saliamo sulla DeLorean, in direzione Londra, Wimbledon, 7 luglio 1985, 14:08 ora del Big Ben, mentre Boris Becker si appresta a servire il primo quindici della finale dei Championships. Oppure trasferiamoci a Frittole nel quasi Millecinque, facciamo finta che Leonardo Da Vinci anziché il treno abbia inventato il tennis e puntiamo un fiorino sul giovane rappresentante del Sacro Romano Impero Germanico. Tanto per citare due film che, nel 1985, sbancarono i botteghini: Ritorno al Futuro di Robert Zemeckis, uscito negli USA il 3 luglio e Non ci resta che piangere, con Troisi e Benigni in forma smagliante, in sala l'anno prima ma pluripremiato in quella stagione.
O torniamo per un attimo bambini e sistemiamoci davanti alla tv, per seguire la diretta Rai (certo, lo dico per i più giovani: c'è stato un tempo in cui la Rai trasmetteva Wimbledon), naturalmente con il commento di Giampiero Galeazzi, impeccabile nella lettura del match e chiaramente folgorato sulla via di Leimen già dai primi giochi (no, la definizione di "tacchino freddo" appioppata a Stefan Edberg non gliel'ho ancora del tutto perdonata).
Curren, in completo Adidas decisamente colorato per i canoni del Tempio, appare molto nervoso. In presentazione, Bisteccone ci ricorda che è il numero nove del mondo, ha demolito i finalisti della precedente edizione del torneo, due mostri sacri come McEnroe nei quarti e Connors in semifinale, lasciando la miseria di 13 giochi in due partite, e ha tenuto il servizio per quarantaquattro volte consecutive. E' il favorito, è la sua grande occasione.
Becker, più classico nella candida divisa Ellesse, con i pantaloncini corti corti dell'epoca che mostrano la potenza esplosiva dei quadricipiti, appare paradossalmente molto più rilassato dell'esperto avversario, vuoi per l'incoscienza del teenager, vuoi per gli ostacoli superati (due match al quinto, in particolare il terzo turno con Nystrom, con lo svedese che ha servito due volte per il match prima di arrendersi 9-7). E' il numero venti del mondo, ha appena vinto il prestigioso prologo al Queen's, arriva alla finale senza essere testa di serie del torneo. "Soprannominato Bum Bum da cronisti incompetenti, ha, oltre al vigore, manina fatata", per usare le parole del Maestro Gianni Clerici.
L'attesa è finita, l'evento sta per cominciare. I bagarini hanno fatto affari d'oro piazzando i preziosi tagliandi all'esorbitante cifra di 300 sterline, l'equivalente delle 750.000 lire dell'epoca. Per farci un'idea, proviamo a buttar giù qualche cifra: lo stipendio di un operaio arriva a 600.000 lire, un quotidiano costa 650 lire, per un litro di benzina ci vogliono 1.329 lire. Arbitra il giudice di sedia David Howie, alla sua prima (e unica) finale di Wimbledon, più celebre per la quasi perfetta omonimia con il cantante che per altro, Stardust sul seggiolone. Terreno in condizioni perfette (oddio, perfette… Già allora, come farà poi notare Galeazzi durante un cambio di campo, tiene banco la questione del manto erboso, una sorta di "terba" ante litteram. Con la differenza che il consumo è distribuito dal fondo verso rete, a formare una sorta di H rovesciata, tanto per far capire come si giocava allora).
Le apparenze vengono confermate dai primi giochi. Boris apre con una volèe e porta a casa comodamente il primo turno di servizio, il suo avversario gioca un secondo game tremebondo, da museo degli orrori tennistici: poche prime, tre errori a rete più che gratuiti e, dulcis in fundo, un doppio fallo, che consegna al tedesco il primo break. Da lì in poi, sei turni senza palle break, che portano Boris a servire per il set sul 5-3. La tensione si fa sentire e il ragazzino apre con un doppio fallo, ma reagisce da campione: due ace e due prime vincenti e primo set in cascina, in 36 minuti. Galeazzi intravede le stimmate del predestinato, e si lascia andare.
Il secondo set si apre quasi con la fotocopia del primo, ma a parti invertite. Curren, che appare finalmente un po' più sciolto, conserva facilmente il servizio, mentre Becker, che fallisce anche nel suo marchio di fabbrica, la volèe in tuffo, deve fronteggiare due palle break (non consecutive, le prime del match). Il "quasi" è una differenza non da poco, perché il tedesco riesce ad annullarle e a portare a casa il game, pur senza l'aiuto diretto del servizio, e la partita procede regolarmente fino al fatidico settimo game. Serve Curren, Boris vola sullo 0-40, tre palle break consecutive che sembrano una seria ipoteca sul match; l'unica vera occasione ce l'ha sul 15-40, quando fallisce un passante fattibile. Poi l'ex sudafricano serve bene e riesce a superare il momento di difficoltà. Nel gioco successivo Becker commette altri due doppi falli ma, come nel nono game del primo set, risponde immediatamente con altrettanti ace. Si arriva al tie break, il tedesco ottiene subito un prezioso minibreak e gira in vantaggio per 4-2 ma, dopo il cambio di campo, subisce cinque punti consecutivi e si vede costretto a consegnare il secondo set all'avversario.
Sono trascorsi 93 minuti di partita e la situazione è in perfetta parità. Ora il ragazzino mostra qualche piccolo segno di nervosismo, si scompone, inizia a protestare per le cattive condizioni del terreno. Galeazzi fa notare come, ad un'eccellente gestione degli spostamenti laterali, specie a rete (calzante il paragone con il portiere di calcio), non corrisponda un'altrettanto efficace corsa in avanti: il fisico massiccio almeno in questo si fa sentire.
Come nei precedenti set, anche nel terzo si parte con un gioco tenuto in scioltezza (da Becker) e con un faticoso secondo game, dove Curren annulla una palla break prima di piazzare due ace e portarsi in parità. Si arriva così al settimo game, allo scoccare delle due ore di gioco, uno dei momenti più intensi di tutto il match. Curren vola sullo 0-40 e, al secondo tentativo, strappa il servizio all'avversario con un gran passante di rovescio; la situazione iniziale si è capovolta, il match sembra completamente girato, l'ex sudafricano torna ad essere il favorito, il giovane tedesco appare inevitabilmente destinato a soccombere. Ma trova la forza di reagire da autentico fuoriclasse: dopo il cambio campo si scatena e ottiene l'immediato controbreak, passando per tre volte il rivale a rete. Si carica e porta a casa il game successivo a zero, realizzando la bellezza di tre ace.
Curren, in qualche modo, trova la forza di trascinare il set al tie break, annullando ben quattro set point (uno nel decimo, tre nel dodicesimo gioco), ma ha il linguaggio del corpo della vittima sacrificale: Becker, che di contro non sta fermo un attimo e ha negli occhi la voglia di vincere, conquista i primi sei punti del gioco decisivo e contiene agevolmente il ritorno dell'avversario, che può soltanto annullargli altri tre set point, prima di cedere per sette punti a tre. Sono passate due ore e trentadue minuti di gioco: Boris esulta, in tribuna mamma e papà applaudono, il pubblico (che ha ormai adottato il ragazzino) festeggia, il tono di Galeazzi riprende vigore, il destino del match è scritto.
E infatti Becker, che ha approfittato della sosta per cambiare la maglietta sporca di "terba" (a causa dei numerosi tentativi di volèe in tuffo, non tutti coronati da successo), strappa immediatamente il servizio a Curren in apertura di quarto set, con un passante implacabile. Il secondo gioco si conferma momento critico per chi deve servire, e Boris deve fronteggiare due palle break, che annulla con l'aiuto del servizio. E' il canto del cigno dell'ex sudafricano, l'ace numero diciassette del tedesco che cancella il secondo vantaggio ne è testimonianza. Nei turni di servizio successivi Becker procede spedito, il suo avversario fatica e deve annullare anche un match point sul 3-5. Quando il giovane tedesco va a servire per il match, per citare testualmente Galeazzi, "si ha la sensazione che il successo non gli possa sfuggire". Apre con un doppio fallo, come nel primo set, ma con l'aiuto del servizio si porta sul 40-15, con due match point a disposizione. Sciupa il primo con un altro doppio fallo, ma poi mette a segno un servizio vincente che gli regala il titolo, dopo tre ore e diciotto minuti di gioco.
E' l'apoteosi, il diciassettenne Boris Becker, numero venti del mondo e non compreso tra le teste di serie, è il primo tedesco a trionfare a Wimbledon. Una sorpresa notevole, se si pensa che all'inizio del torneo la sua vittoria pagava settanta volte la posta, più o meno come il successo dell'Hellas Verona nel campionato di calcio appena concluso. Il Centrale di Wimbledon è tutto per lui, mamma e papà non stanno più nella pelle (l'architetto Becker senior, in particolare, scatta continuamente foto, come un giapponese al Colosseo), Tiriac e Bosch capiscono di avere per le mani un diamante grezzo. Il Duca di Kent scende in campo dalle tribune accompagnato dalla consorte e consegna la Coppa, sogno di ogni tennista, ad un raggiante Boris Becker, che la solleva al cielo e la bacia. Il collegamento si conclude qui e la linea può passare allo studio: la storia ormai è scritta.
Sono passati trent'anni e forse è il caso di tralasciare le considerazioni inquietanti che un tale lasso di tempo insinua in chi quel pomeriggio passato davanti alla tv lo ricorda benissimo. Come ricorda benissimo di avere preso, subito dopo la finale, la sua racchettina e di essersi precipitato in cortile, per cercare di replicare contro il muro il micidiale servizio del nuovo eroe, avveniristico e un po' robotico, come il Mister Zed di Pronto Raffaella. E così, salendo sulla DeLorean per ritornare al futuro e alle magie di Wawrinka, è stato naturale mettere nell'autoradio la cassettina smagnetizzata e masticata di L'estate sta finendo, il vero tormentone di quelle lontane vacanze 1985 e, canticchiando le parole "sto diventando grande, lo sai che non mi va", ho ripensato al fatto che, a posteriori, è andata proprio così. Poi ho aperto gli occhi, ho guardato mio figlio Francesco, che ha la stessa età che avevo io allora, e gli ho detto di goderseli fino in fondo, i suoi insipidi, spensierati e meravigliosi dodici anni.
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